Autostrade, privatizzazioni, politica

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Sembra incredibile ma è proprio così: le convenzioni che regolano il rapporto tra lo Stato e le 22 società concessionarie, per lo più a maggioranza privata, che gestiscono circa 6.000 km della rete autostradale su 7.400 km complessivi, non sono mai state rese pubbliche e sono state da sempre secretate. Questo buco nero sull’informazione, in aperta violazione con tutte le norme sulla trasparenza (in questo caso ancor più dovuta anche perché si tratta dell’affidamento a soggetti privati di infrastrutture di interesse nazionale costruite con soldi pubblici), ha spianato la strada a gestioni in cui ha prevalso una selvaggia speculazione finanziaria da parte dei gestori privati. In sostanza: oltre al mancato rispetto dei piani d’investimento a discapito della sicurezza e della qualità della rete autostradale, le tariffe sono state utilizzate non in funzione del finanziamento della necessaria manutenzione e di una maggiore sicurezza o anche di un corretto guadagno rispetto alla quota di capitale investito, ma come bancomat nelle tasche degli italiani per garantire un’elevata rendita finanziaria propria e dei soci, alcuni dei quali sono investitori internazionali.

La tragedia del Ponte Morandi ha rivelato aspetti di una realtà sconosciuta ai più perché secretata dagli addetti ai lavori: il fronte dei concessionari, i ministeri competenti (che non operando i dovuti controlli si sono rivelati incompetenti) e una classe politica subalterna agli interessi dei gruppi economici privati che detengono il reale controllo del Paese, sia sul piano finanziario sia su quello dell’informazione. Non a caso i maggiori quotidiani si sono prontamente schierati contro la revoca della concessione ad Autostrade, con editoriali che puntavano a indebolire l’azione del Governo, utilizzando argomenti quali il rischio di contenziosi con penali miliardarie, il ritorno allo statalismo, il rischio occupazionale per gli addetti.

Come ha sottolineato Claudio Giorno (https://volerelaluna.it/economie/2020/07/17/atlantia-vs-cassa-depositi-e-prestiti-chi-ha-vinto-la-partita-a-porte-chiuse/) l’inchiesta penale sulle responsabilità del crollo del Ponte Morandi pare essersi persa nelle nebbie e probabilmente naviga verso la prescrizione per alcuni reati, ma c’è un’altra inchiesta che la magistratura, così ben strutturata nella repressione dei movimenti di opposizione e “buonista” nei confronti dei poteri forti, si guarda bene dall’aprire perché avrebbe conseguenze dirompenti. Eppure i dubbi sono più che leciti: fu solo per idiozia oppure per connivenza oppure per corruzione oppure per favoritismi erogati con raccomandata con ricevuta di ritorno, che funzionari dei Ministeri competenti accettarono la clausola che in caso di revoca della concessione prima della scadenza, anche per giusta causa, dava il diritto al concessionario di riscuotere da parte dello Stato un indennizzo per garantire comunque i mancati introiti fino alla scadenza contrattuale? Chi sono i politici responsabili di aver avallato una serie di norme contrattuali che anche un bambino riconosce come un capestro per l’interesse pubblico e uno splendido assist per le operazioni finanziarie dei privati? Non lessero le convenzioni? Lessero e condivisero venendo meno al ruolo di garanti dell’interesse pubblico? Questa inchiesta non si farà mai ma questo aspetto della vicenda concessioni autostradali è la cartina di tornasole del malgoverno della “cosa pubblica” e della malafede di molti politici e funzionari statali.

La deliberazione del 18 dicembre 2019, n. 18/2019/G della Corte dei Conti, pur tardivamente, emette un drastico giudizio negativo su come sono state gestite e assegnate le concessioni autostradali, che si può riassumere nella mancata salvaguardia dell’interesse pubblico a favore delle speculazioni finanziarie private. Con concessioni ventennali affidate senza gara di appalto, proroghe automatiche delle stesse, anche in evidente presenza del mancato rispetto dei piani d’investimento e della mancata manutenzione delle tratte assegnate con gravissime ricadute sulla sicurezza: la tragedia del Ponte Morandi è, purtroppo, solo la punta di un iceberg rispetto al grave degrado in cui versa la rete autostradale italiana, dove molti viadotti e gallerie ormai mostrano l’usura dovuta al tempo e al traffico. In linea con le concessioni affidate senza gara si è lasciato sviluppare anche un sistema, ovviamente oggi difficile da smantellare, che permette alle società concessionarie di affidare a loro società collegate fino al 60% dei lavori programmati sulla rete creando un meccanismo, non virtuoso, che garantisce ulteriori guadagni ai titolari delle concessioni. In questo il Gruppo Gavio, per importanza secondo gestore autostradale, è stato maestro.

Si può aggiungere che le convenzioni che regolano le concessioni, ancora oggi, non sono completamente pubbliche perché gli allegati più significativi, che riguardano gli aspetti finanziari, sono secretati. Oppure si può fare un amaro confronto con la situazione europea: in Germania autovetture e moto non pagano alcun pedaggio come in Belgio, Olanda e nei Paesi Scandinavi; in Gran Bretagna si paga un pedaggio solo su un numero limitato di tratte; alcuni Stati utilizzano la “vignetta autostradale” che, con il pagamento di una una cifra fissa e irrisoria rispetto alle nostre tariffe, permette di viaggiare liberamente e per determinati periodi di tempo sulle autostrade; in Francia si paga a consumo, come in Italia, in base ai km percorsi ma gli investimenti sulla rete autostradale sono di ottimo livello non solo come sicurezza e manutenzione ma anche come servizi.

Il passaggio dall’immediata revoca della concessione ad Aspi, controllata da Atlantia della famiglia Benetton, a un accordo che prevede, gradualmente, l’uscita della famiglia trevigiana dal controllo di Autostrade non è ottimale (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/07/18/autostrade-la-truffa-e-servita/). Ma in ogni caso il problema principale oggi è un altro e non è stato affrontato: manca il riconoscimento politico che le privatizzazioni autostradali, come quelle della telefonia, hanno dimostrato che, in assenza di un reale controllo e della partecipazione diretta da parte dello Stato, le concessioni relative ad appetibili infrastrutture di interesse nazionale si riducono, semplicemente, a operazioni di finanza speculativa e ladroneggiante a danno della comunità.

La soluzione, e cioè la chiusura della stagione infausta delle privatizzazioni e la riaffermazione del prioritario interesse della collettività (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2020/07/20/un-ruolo-di-pubblica-utilita-dopo-la-sbornia-delle-privatizzazioni/), però, non sta all’interno di forze politiche che, dimostrandosi imprevidenti o complici degli interessi delle lobbies economiche, hanno imposto al Paese le privatizzazioni. La soluzione va cercata soprattutto in un ribaltamento culturale nei cittadini che, negli anni del berlusconismo a cui il centrosinistra è stato subalterno, sono stati derubati della consapevolezza del diritto al bene pubblico con il falso messaggio pubblicitario che solo il privato è bello e funzionale. Non è così.

E se il privato è bello lo è solo per l’interesse finanziario dei gruppi di potere economico in un sistema in cui i cittadini sono solo limoni da spremere.

Gli autori

Giovanni Vighetti

Giovanni Vighetti vive a Bussoleno ed è esponente del Movimento No Tav

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