Ritrarsi dall’urbano: la vera grande opera

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Stefano Boeri non mi dovrebbe stare tanto simpatico: già candidato alle primarie per le comunali di Milano contro Giuliano Pisapia, poi suo assessore per un breve periodo, è divenuto celebre per una invenzione graziosa e contro natura, il “bosco verticale”, cioè il grattacielo che ospita piante e alberi a ogni piano. A me il bosco continua a sembrare più opportuno orizzontale. Però ora Boeri se ne esce, su Repubblica, dicendo una cosa rivoluzionaria, la proposta migliore che ho fin qui visto su quel che ci aspetta nella “fase due” del contagio. Un’idea che certo non poteva concepire il super-manager Colao, che vive a Londra dirigendo da lì la task force del Governo.

L’idea è «una campagna per facilitare la dispersione, e anche una ritrazione dall’urbano, per lasciare spazio ad altre specie viventi». Tradotto: favorire il più possibile la migrazione dalle grandi città verso i piccoli paesi: «L’Italia è piena di borghi abbandonati, da salvare. Abbiamo un’occasione unica per farlo», dice l’architetto.

E perché lo dovremmo fare? Beh, di questi tempi meglio stare un po’ più lontani gli uni dagli altri, e di sicuro è meglio respirare aria buona. Non c’è solo il virus, ma le concause, spiega Boeri: «Tanto per cominciare, i dati sulle polveri sottili, che fanno paura. La fragilità polmonare di chi vive in aree ad alta densità di particolato, è facilmente assimilabile al contagio. Nelle città serve un progetto che parta dalla riduzione forte delle auto, e quindi della sezione stradale, e un deciso passaggio all’elettrico, con incentivi, rottamazioni». (Non si citano, qui, le ricerche secondo cui le polveri sottili non sono solo “assimilabili”, ma fanno da tappeti volanti per il virus).

Ma, aggiunge Boeri, la tendenza a lasciare le città è già forte, per esempio in Inghilterra: molti vanno, appena possono, nelle seconde case, che potrebbero diventare le prime, il posto dove in effetti si abita. E chi non ha una seconda casa? A rispondere a questa domanda sono le associazioni dei piccoli comuni montani (Uncem) e quella dei borghi più belli d’Italia. Esistono 5800 paesi con meno di 5 mila abitanti, 2300 dei quali in stato di abbandono, per i quali «io penso – dice ancora Boeri – a un grande progetto nazionale». Le due associazioni, che da decenni cercano di far notare come tutelare i piccoli comuni sarebbe tutta salute (in senso letterale) per il Paese, approfittano dell’occasione e, sempre su Repubblica, interloquiscono con l’architetto.

«Che il futuro sia nei borghi come dice Stefano Boeri ‒ dice Marco Bussone, presidente di Uncem ‒ è essenziale nella logica del risparmio del consumo di suolo, dell’efficienza energetica, di una rifunzionalizzazione degli spazi, di economie circolari che sappiano dare risposte alla crisi climatica e non soltanto alla crisi della pandemia». Uncem riunisce 3.850 comuni montani per oltre la metà della superficie italiana, 10 milioni di abitanti. Certo bisognerebbe, sostiene Bussone, che venisse applicata una politica fiscale adeguata e anche che internet arrivasse davvero dappertutto (fin qui i gestori di internet non investono sulle aree meno popolate perché ci guadagnano meno, ovviamente, un po’ come la sanità pubblica ha via via chiuso presidi sanitari e piccoli ospedali sparsi, abbattendo, come in Lombardia, i filtri tra l’epidemia e gli ospedali).

La presidente dell’Associazione borghi autentici d’Italia, Rosanna Mazzia, aggiunge: «I borghi italiani sono luoghi in cui si vive meglio e diversamente dalle grandi città, a misura d’uomo; sono luoghi del pensiero e della lentezza, quella lentezza che rappresenta la cifra dell’Italia artigianale, dell’agricoltura di qualità, della tutela della biodiversità, del paesaggio sospeso tra città e campagna, tra mare ed entroterra».

Allora, proviamo a immaginare questo «grande progetto nazionale». Si tratterebbe di una grande, anzi grandissima opera frantumata in migliaia di piccole opere: un lavoro sistematico sui borghi per ristrutturare le case e proteggerle dai terremoti; un lavoro di riassetto del territorio e delle acque, e di rimboschimento, per evitare frane e alluvioni e dare spazio alla fauna, cioè alla biodiversità; un piano di promozione dell’agricoltura non tossica e che ricerca le coltivazioni antiche e migliori; un progetto di sostegno a piccole imprese rigorosamente non inquinanti che potrebbero, con una buona connessione alla rete, interloquire con ogni soggetto utile alla produzione e alla vendita; un incentivo ai giovani che vogliano trasferirsi in questi borghi (cosa che già accade spontaneamente, specie nell’agricoltura); un riassetto delle piccole ferrovie locali, uccise dall’alta velocità, che ha assorbito tutti gli investimenti; un impulso a un turismo diradato e rispettoso e “lento”… L’elenco è lungo.

Quanto costerebbe, un piano simile? Probabilmente meno del tunnel Tav in Val di Susa e del tunnel Tav sotto Firenze sommati, ma di sicuro una frazione minore dei 400 miliardi di liquidità che il Governo ha garantito a tutte le imprese in modo indiscriminato (in Francia, almeno, hanno deciso di non dare soldi alle imprese che abbiano sede nei paradisi fiscali, per esempio l’Olanda, dove appunto pagano le tasse, si fa per dire, Enel, Eni, Fca eccetera).

Infine, domanda chiave: quante persone, e quante professionalità, potrebbero dedicarsi a questo piano di restauro del territorio, a partire dalle zone collinari che sono la maggioranza, in Italia? Quanti posti di lavoro nell’edilizia, in agricoltura, nell’ingegneria ambientale, nella connessione delle reti, nelle nuove piccole industrie…? E quante case in cui abitare?

Se in Italia esistessero degli ambientalisti capaci di influenzare l’opinione pubblica e i Governi, e una sinistra che non si limiti paradossalmente ad essere presente nel Governo ma assente da ogni altro ambito, il piano che propone Boeri diventerebbe la spina dorsale del dibattito sulla “fase due”, e magari tre o quattro.

Gli autori

Pierluigi Sullo

Pierluigi Sullo, giornalista dal 1974, prima con il “Quotidiano dei lavoratori”; dal 1977 e per 22 anni a “il manifesto” (di cui è stato vicedirettore durante la direzione di Luigi Pintor); dal 1999 e per dodici anni direttore del settimanale “Carta”, di cui è stato co-fondatore. Ha pubblicato diversi libri, tra i quali "Postfuturo", saggio sulla crisi della modernità, il libro collettivo "Calendario della fine del mondo" (2011) e il romanzo "La rivoluzione dei piccoli pianeti" (2018).

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One Comment on “Ritrarsi dall’urbano: la vera grande opera”

  1. Gent.mo e stimatissimo Pierluigi Sullo,
    condivido pienamente il suo articolo tranne che la frase “se ci fossero degli ambientalisti veri”…e vorrei chiederle se sappia quanti progetti, petizioni, lettere e richieste sono state presentate alle Istituzioni di ogni ordine e grado (e da ultimo, a Conte, per ripartire dopo la Pandemia “non come prima”), per realizzare proprio tutto ciò che ha prospettato nel suo articolo? Crede che l’opinione pubblica non apprezzerebbe che venissero ripopolati i paesi che si stanno svuotando e che si smettesse di progettare autostrade inutili (manifestazioni affollatissime ma finora snobbate dai decisori politici…che continuano imperterriti a proporre ricette stantie, antieconomiche, sprecone ma arrogantemente ciechi davanti a soluzioni sensate e sostenute da numerosissimi cittadini ) e questo è solo un esempio…potrei citargliene molti altri, …cosa resta da fare ancora per smuovere i cocciuti neoliberisti che preferiscono mandare un Paese intero in malora piuttosto che rinunciare ai loro dogmi ormai palesemente falliti? Dobbiamo darci fuoco come i bonzi del Vietnam? Dica Lei cosa debbano fare “gli ambientalisti veri” per farsi dare retta (ascoltare non basta).. quanto alla sinistra…non so che dire da quando ha sposato pure lei i suddetti dogmi e taccia di “nimby” ogni legittima protesta ed organizza iniziative di facciata senza poi passare ai fatti concreti…
    Mi scusi dello sfogo ma sono davvero seccata che oltre al danno ci arrivino anche le beffe e proprio da uno come Lei che per anni ho letto sulla sua rivista “Carta”.
    Distinti saluti

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