La politica non c’è. Che si fa?

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Gli interventi di Tomaso Montanari (Dopo le elezioni, il partito necessario che non c’è) e di Riccardo Barbero (Il partito che non c’è e il percorso per arrivarci) hanno affrontato il tema dell’assenza oggi in Italia (analogamente a quanto succede in tutta Europa, ma in maniera ancora più marcata e drammatica) di una qualunque forza istituzionale che possa essere un riferimento credibile per un popolo della sinistra che ancora vuole cambiare l’ordine delle cose e che pure è presente e attivo nelle realtà sociali e sul territorio.

Concordo pienamente con quanto scritto, ma vorrei aggiungere che forse questa assenza durerà molto a lungo, e che dobbiamo attrezzarci per un lunga marcia, come si diceva una volta in un Paese lontano.

Il rapporto fra realtà sociali e politica istituzionale è andato completamente a gambe all’aria: non c’è né cinghia di trasmissione né delega (né tantomeno dialogo), semplicemente la seconda è totalmente impermeabile a ogni stimolo e assorbita dal problema assillante di garantire la propria sopravvivenza, in un quadro in cui l’esistente è la sola realtà possibile. Il tempo sembra essersi fermato, lo stato comatoso sembra uniformare tutto.

Questi decenni hanno visto la crisi del meccanismo per cui i movimenti ponevano nella pratica e nelle lotte la necessità di cambiare e di spostare i rapporti di forza; questi obiettivi, almeno in parte, pur fra mediazioni e compromessi, trovavano poi una risposta nella politica istituzionale. Tutto questo non esiste più.

Le realtà associative (e forse potremmo includere anche le organizzazioni sindacali, tradizionali e non, se e quando si pongono qualche problema di capire e modificare l’esistente) non hanno più nessuna via di comunicazione con questi morti che camminano; i linguaggi sono incompatibili, gli interessi sostanzialmente lontanissimi, se non divergenti. Chiedersi che rapporto avere con queste “rappresentanze” è al momento attuale privo di senso. In assenza di alternative, per molta gente di sinistra e di buone intenzioni continueranno ad essere la riposta alla domanda “ma qualcosa bisogna ben votare”: ma è una falsa risposta, e l’unica utile è dimostrare che si può agire politicamente e incidere sulla realtà camminando con le proprie gambe, visto che non c’è all’orizzonte chi possa portarci da qualche parte.

Perché le realtà associative, mutualistiche e cooperative di base possano rispondere positivamente a questo compito è però necessario che le pratiche cambino, in particolare su due aspetti cruciali: l’organizzazione e la formazione.

Oggi le associazioni riescono in molti casi a svolgere un’azione positiva sul territorio (e quello che – come “Volere la luna” – stiamo cercando di fare a Torino a partire dalla nostra collocazione in Parella potrebbe essere un buon esempio), ma quello che colpisce è la quasi totale frantumazione di queste esperienze: ogni realtà è chiusa nel suo ambito, non c’è un confronto o un tentativo di costruire collegamenti fra le esperienze.

Manca, in generale, una riflessione direi “teorica” su quali cambiamenti siano auspicabili e quali da combattere, insomma su quale è il modello di società a cui pensiamo e che proponiamo; senza sapere dove vogliamo andare, si rischia di girare in tondo.

Se questi sono i due punti critici, si potrebbero avanzare alcune proposte, molto confuse e preliminari:

– provare a costruire momenti di confronto fra l’associazionismo (cominciando dalla realtà locale torinese), a partire dalla consapevolezza che ciascuno lavora su ambiti molto ristretti e sovente vede solo quelli: in realtà io credo che ci sia un bisogno di allargare gli orizzonti. Dalle Acli a Emergency, al Sereno Regis, alla stessa Libera ecc. Operazione difficile, perché ciascuno ha sviluppato, in mancanza di riferimenti generali, i propri distinguo e i propri steccati: penso come caso limite, ma non isolato, ad alcune realtà di centri sociali, con cui sarebbe pure importante parlare. Credo comunque che si debba provare, prendendola bassa, per non far irrigidire nessuno, ad esempio partendo da esempi concreti per discutere cosa fare. Credo che incidere sulle scelte istituzionali (che poi condizionano la vita di tutti, ogni giorno), intanto a partire dal livello locale, sia possibile, se si crea un movimento che muove le acque e disturba;

– creare momenti di formazione e di elaborazione. L’idea di costituire un “scuola di formazione politica” è forse troppo ambiziosa ma risponde a una reale necessità. Anche qui, potrebbe essere un’iniziativa che si propone a una serie di associazioni torinesi, da gestire insieme, in un’ottica “pluralista” che accetti, come punto di partenza, le differenze.

 

la foto in evidenza è di vincenzo cottinelli

Gli autori

Davide Lovisolo

Davide Lovisolo è stato docente di Fisiologia all'Università di Torino dal 1968 al 2015. Dal 1968 ha militato nei movimenti di base, è stato attivista politico in Avanguardia Operaia e poi in Democrazia Proletaria fino al 1978; dal 1980 al 1991 ha militato nel PCI. È stato uno dei responsabili del movimento per il diritto alla casa a Torino negli anni Settanta, delegato sindacale e esponente del Coordinamento Genitori torinese dal 1992 all'inizio degli anni 2000. Da anni è attivo nella cooperazione sociale.

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2 Comments on “La politica non c’è. Che si fa?”

  1. Condivido appieno.
    La personale esperienza maturata qualche anno fà nell’ambito del Comitato di coordinamento di un Circolo PD della periferia sud milanese mi ha portato a capire che troppe e insormontabili, nell’ambito di quel partito, sono le resistenze ai cambiamenti organizzativi e formativi che sarebbe necessario proporre e discutere per sviluppare un nuovo efficace modello di Sinistra. Le resistenze maggiori venivano peraltro dai titolari del doppio ruolo di dirigenti CGIL e di responsabili del Comitato di coordinamento o di vecchi saggi (temo che sia una vana speranza il cercare di coinvolgere nel rinnovamento l’ambiente sindacale). Ho desistito e ho atteso di capire se vi fossero altre realtà associative sintonizzate su tali prospettive. Ho coltivato qualche speranza seguendo a distanza prima Tomaso e Anna e poi, dopo lo stop al Brancaccio, qualche altro volonteroso, ma inutilmente. Mi piacerebbe capire se effettivamente esistono altri contesti associativi in Milano che siano sensibili ad argomentare apertamente al riguardo e ti sarei grato se potessi cortesemente segnalarmeli.
    Cordiali saluti.

  2. caro Claudio,
    grazie per il tuo commento e le tue riflessioni.
    Purtroppo sono torinese, di Milano non so niente..
    a Torino con Volere la Luna stiamo provando a fare e a riflettere. Sarebbe bello e utile sapere se a Milano ci sono esperienze simili
    un caro saluto
    Davide Lovisolo

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