Toninelli e il Tav: dopo le parole è tempo di fatti

image_pdfimage_print

Finalmente anche il tentennante ministro delle infrastrutture Toninelli, dopo discorsi elusivi e giri di parole, ha dato un segnale di vita con riferimento al Tav Torino-Lione. Per dire tre cose: 1) che il progetto della linea dovrà essere «integralmente ridiscusso» tra Italia e Francia; 2) che «nessuno deve azzardarsi a firmare nulla ai fini dell’avanzamento dell’opera, perché ciò costituirebbe un atto ostile»; 3) che il Governo non intende «subire il ricatto che scaturisce dalle scandalose scelte precedenti» e che «le opere si fanno se servono ai cittadini, non a chi le costruisce».

Cose in parte già dette (la necessità di ridiscutere “integralmente” l’opera con il Governo francese sta scritta nell’accordo di governo M5Stelle-Lega) e in parte ovvie (difficile contestare che dar corso alle procedure di avanzamento dei lavori di un’infrastruttura in discussione sia un atto ostile e che le grandi opere – come, del resto, quelle piccole – si debbano fare solo se sono nell’interesse della collettività).

Ma tanto è bastato a mandare in fibrillazione i promotori (pubblici e privati) dell’opera, l’establishment affaristico finanziario che la sostiene e i grandi media che ne sono espressione. I parlamentari piemontesi del Partito democratico hanno accusato il ministro di voler fermare le lancette del progresso e, incuranti del pericolo e immemori degli effetti boomerang delle sfide lanciate dall’immancabile Piero Fassino, lo hanno invitato a denunciare in Procura le irregolarità rilevate. L’ex ministro Lupi (quello che non distingueva un’autostrada da una ferrovia ma non disdegnava Rolex e abiti sartoriali) ha gridato allo scandalo e all’irreparabile danno per l’Italia, aggiungendo che Toninelli «spreca i soldi dei cittadini». Il commissario di governo per la Torino-Lione Foietta, con l’abituale competenza e modestia, ha fatto sapere che «forse Toninelli avrebbe davvero bisogno di vedermi» (ovviamente per ravvedersi, come Paolo sulla via di Damasco!). E intanto Stampa e Repubblica hanno continuato a evocare fantasiose penali in caso di abbandono dell’opera (rinforzando le dichiarazioni in tal senso dell’onnipresente Osvaldo Napoli, parlamentare di Forza Italia). Il tutto all’evidente fine di esorcizzare un approfondimento che, se effettuato seriamente, non potrebbe che portare all’abbandono del progetto, la cui evidente inutilità si accompagna, prima ancora dell’avvio dell’opera in senso stretto, a sprechi e passaggi amministrativi spericolati.

Anche per contrastare questa campagna mediatica conviene riassumere per l’ennesima volta i termini della questione, arricchendoli con gli ultimi sviluppi.

Primo. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione è priva di ogni utilità economica. Lo era fin dalla sua ideazione nei primi anni Novanta del secolo scorso. Lo è doppiamente oggi. La linea storica è utilizzata per un quinto delle sue potenzialità e i traffici (sia ferroviari che stradali) sulla direttrice est-ovest sono letteralmente crollati. Lo ammette ormai persino l’Osservatorio istituito presso la Presidenza del Consiglio riconoscendo che «molte previsioni fatte 10 anni fa, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, sono state smentite dai fatti». Per sostenere l’opera i proponenti sono costretti a modificarne in toto le ragioni giustificatrici adducendo la necessità di un “ammodernamento” della linea di cui non vengono documentati i benefici. Certo fino ad oggi sono stati spesi – rectius, sprecati – in opere propedeutiche alla infrastruttura vera e propria molti soldi (circa un miliardo e mezzo di euro), ma non è una buona ragione per moltiplicare gli sprechi.

Secondo. La volontà di proseguire nel progetto si spiega oggi solo con le esigenze di immagine di un ceto politico che sarebbe definitivamente travolto dall’abbandono dell’opera e con gli interessi di corto respiro di chi pensa, pur senza fondamento, che da cantieri aperti per decenni (una riedizione della Salerno-Reggio Calabria) verrebbe, comunque, un po’ di ossigeno a un sistema economico collassato. Essendo tali motivazioni poco ostensibili, le mosse dei promotori e dei loro partner politici mirano a mettere le istituzioni di fronte al fatto compiuto. E, dunque, si stanno accelerando i tempi degli appalti per i lavori sulla tratta internazionale della NLTL (per un importo complessivo di 5,5 miliardi) pur in assenza di alcuni requisiti indispensabili, segnalati in apposita diffida di tecnici e amministratori. È finalizzata a bloccare questa scelta la presa di posizione del ministro Toninelli («nessuno si azzardi a firmare nulla ai fini dell’avanzamento dell’opera»), a prima vista criptica.

Terzo. Accanto al tentativo di accelerare i lavori continua la campagna terroristica fondata sulla bufala di ingenti penali conseguenti alla rinuncia all’opera. Che di bufala si tratti è dimostrato dal fatto che nessuno ha indicato le norme o, comunque, le fonti delle asserite penali che, semplicemente, non sono previste in alcun documento sottoscritto dall’Italia né in alcun accordo bilaterale tra Italia e Francia e che, per altro verso, non derivano da leggi ordinarie in materia di appalti, anche perché, ad oggi, non sono stati banditi né, tanto meno, aggiudicati appalti per opere relative alla costruzione del tunnel di base.  

A questo punto due considerazioni si impongono.

Anzitutto, è tempo che il ministro e il Governo passino dalle parole ai fatti. La diffida rivolta a TELT perché non assuma, in questa fase, impegni di spesa (sia pur fatta “a mezzo stampa” e non con atti formali) è un primo passo. Importante ma insufficiente anche perché, come si è detto, il via libera agli appalti non è affatto scongiurato. Occorre, dunque, aprire immediatamente con il Governo francese il confronto sull’opportunità di proseguire nell’opera. Non senza rilevare che la Francia non ha mai nascosto i propri dubbi al riguardo e che tali dubbi sono destinati a crescere se l’Italia mette sul tavolo del confronto, insieme all’inutilità dell’opera, l’evidente iniquità di una distribuzione delle spese per la tratta internazionale (57,9 per cento a carico dell’Italia e 42,1 per cento a carico della Francia benché il tunnel insista per l’80 per cento in territorio francese) prevista al solo scopo di rendere appetibile l’impresa per un partner riluttante.

Contemporaneamente è necessario che, di fronte alle dichiarazioni del ministro di aver trovato «un verminaio di sprechi, connivenze corruttive, appalti pilotati, varianti in corso d’opera che hanno fatto esplodere i costi», la magistratura (ordinaria e contabile) non si sottragga agli accertamenti di competenza. Ciò è stato ripetutamente richiesto, con esposti specifici, argomentati e corredati da ampia documentazione, dal movimento No Tav, dai suoi tecnici, da amministratori della Valle. Fino ad oggi la Procura di Roma, competente in relazione al luogo delle decisioni politico-amministrative, ha omesso ogni accertamento, addirittura considerando quegli esposti «non riguardanti notizie di reato» (sic!) e come tali iscrivendoli fin ab initio nei propri registri. La speranza è che – come si dice – il tempo sia galantuomo…

Gli autori

Livio Pepino

Livio Pepino, già magistrato e presidente di Magistratura democratica, dirige attualmente le Edizioni Gruppo Abele. Da tempo studia e cerca di sperimentare, pratiche di democrazia dal basso e in difesa dell’ambiente e della società dai guasti delle grandi opere. Ha scritto, tra l’altro, "Forti con i deboli" (Rizzoli, 2012), "Non solo un treno. La democrazia alla prova della Val Susa" (con Marco Revelli, Edizioni Gruppo Abele, 2012), "Prove di paura. Barbari, marginali, ribelli" (Edizioni Gruppo Abele, 2015) e "Il potere e la ribelle. Creonte o Antigone? Un dialogo" (con Nello Rossi, Edizioni Gruppo Abele, 2019).

Guarda gli altri post di: