Ecuador: quando il fallimento della sinistra spiana la strada al liberismo

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In un mondo che vira pericolosamente a destra non poteva fare eccezione l’Ecuador, che alle elezioni di metà ottobre ha visto il successo di Daniel Noboa, imprenditore di 35 anni, figlio dell’uomo più ricco del paese (quell’Alvaro Noboa che per ben cinque volte aveva tentato senza successo la scalata alla presidenza della nazione), con studi di management a New York, fondatore di una serie di aziende nel solco del monopolio familiare sulla esportazione di banane.

Queste elezioni sono figlie di una situazione particolare, in quanto il nuovo presidente starà in carica per soli 18 mesi, il periodo che mancava, per concludere il mandato, a Guillermo Lasso, anch’egli di destra, che ha sciolto l’Assemblea federale nel 2023 per evitare l’impeachment legato a un’inchiesta per appropriazione indebita di fondi pubblici.

Nel primo turno delle elezioni nessun candidato aveva superato la quota stabilita dalla Costituzione per diventare presidente (pari al 50% dei voti o al 40% con almeno il 10% dei voti in più del secondo candidato). Nella prima tornata Luisa Gonzales, candidata progressista di Revolucion Ciudadana, legata all’ex presidente Rafael Correa, – che aveva cavalcato l’ondata di sinistra degli inizi del 2000 in America Latina (Tabarez in Uruguay, Chavez in Venezuela, Lula in Brasile, Kirchner in Argentina, Bachelet in Cile e appunto Correa), accompagnata da tanto entusiasmo ahimè spesso mal riposto, – aveva vinto con il 33,6% dei voti, contro il 24,15% di Noboa, davanti a Christian Zurita (centrista, indicato come sostituto del candidato principale Fernando Villavicencio, giornalista che indagava sul presidente Lasso, ucciso nel corso della campagna elettorale). Zurita, anch’egli giornalista e amico fraterno di Villavicencio, aveva promosso le indagini sulla corruzione che avevano portato alla condanna di Correa a otto anni, fatto che aveva indotto Correa stesso alla fuga in Belgio. Ultimo, infine, era stato, con il 14,6%, Jan Topic, un ex legionario che aveva promesso di risolvere il problema della criminalità dilagante con mano d’acciaio. Le votazioni si erano svolte in uno stato di allarme per la sicurezza, per i numerosi omicidi (oltre a Villacencio altri uomini delle istituzioni, sindaci e amministratori anche del partito di Gonzales). Il programma di Revolucion Ciudadana prevedeva un aumento degli investimenti pubblici e dell’occupazione e la lotta alla criminalità, portata avanti con decisione da Luisa Gonzales, avvocato di 46 anni. Noboa, per parte sua, propugnava il libero mercato e, anch’egli, la consueta lotta alla criminalità.

Dopo il primo turno c’è stata la dichiarazione di appoggio a Noboa da parte di tutti gli altri candidati: più in termini di alleanza contro il “correismo” che di comunità di intenti e di programmi, anche perché l’eccessiva personalizzazione del partito già di Correa faceva passare in secondo piano le buone doti mostrate da Gonzales, vissuta come una propaggine di Correa stesso. Per questo il ballottaggio ha visto la vittoria di Noboa con il 52,3% a fronte del 47,7 di Gonzales. Al successo ha contribuito Angela Lavinia Valbonesi, moglie di Noboa e influencer con un enorme seguito, che con l’uso di Tik tok e altri social ha raggiunto un notevole numero di persone, soprattutto tra i giovani.

Due punti sono decisivi per comprendere l’attuale situazione dell’Ecuador: la criminalità e il correismo.

La criminalità è legata al fatto che i porti dell’Ecuador sono diventati un nodo strategico nel traffico di droga, per cui sono nate e si sono sviluppate organizzazioni al soldo dei cartelli stranieri, soprattutto colombiani e peruviani, e della mafia albanese. Manta al centro, Puerto Bolivar a sud ed Esmeralda a nord sono diventati porti di transito e smercio, dando vigore a organizzazioni criminali locali come los Cochoneros, capeggiati da Fito, legati al cartello messicano di Sinaloa e accusati dell’omicidio del candidato presidenziale Villavicencio. Guayaquil, invece, è il luogo preferenziale di passaggio della droga tra Colombia ed Ecuador. A seguito di queste dinamiche l’Ecuador, paese considerato una volta estremamente sicuro, ha visto il tasso di omicidi passare dal 5,6 ogni 100.000 abitanti del 2016 al 25,3 del 2022 e Quito è considerata una delle 15 capitali più violente del mondo.

Quanto agli effetti del correismo valgono le parole di Pablo Davalos, economista, già ministro nel primo governo Correa (presidente dal 2007 al 2017), dimessosi in disaccordo con le politiche di Correa nel campo dell’ambiente e nel rapporto con il movimento indigeno. Rispetto all’ambiente, Correa ha puntato in maniera discutibile sull’estrattivismo, devastando il paese con trivellazioni petrolifere e miniere a cielo aperto. Nel rapporto con la Conaie, la potente confederazione nazionale degli indigeni dell’Ecuador, che aveva contribuito in maniera sostanziale alla prima virata a sinistra del Pese all’inizio del 2000 arrivando ad avere due ministri nel precedente governo di Gutierrez (rivelatosi anch’egli una gran delusione), lo scontro è avvenuto (e continua ad avvenire) sia sull’ambiente che sulla violazione dei territori indigeni. Le attività estrattive sono iniziate in aperto conflitto con indigeni e ambientalisti con l’oleodotto del 2002 e lo scempio del bosco di Mindo, una delle zone con maggiore biodiversità del pianeta. Altro motivo di scontro tra Correa e la Conaie è legato all’iniziativa del presidente di fermare i fondi per l’università indigena. A ciò si aggiungono, per spiegare la sconfitta del correismo, il suo arroccamento, che ha impedito di cercare alleanze, e la posizione pro vita di Luisa Gonzales, che l’ha portata in rotta di collisione con il movimento delle donne.

Contemporaneamente al voto per eleggere il presidente si è svolto il referendum per bloccare le trivellazioni petrolifere nel Parco Amazzonico Yasuni, dichiarato dall’Unesco riserva della biosfera nel 1980, luogo in cui la devastazione è iniziata nel 2016 per voler dell’allora presidente Correa. Il referendum, benché nessun partito importante lo abbia sostenuto, è stato vinto con il 60% dei voti.

Noboa ha promesso una consultazione popolare sulle priorità da affrontare tra tre mesi ma, nel frattempo (dopo aver vinto in 16 provincie su 24), si trova ad affrontare alcuni temi spinosi: la disoccupazione, che ha spinto ad emigrare, nel 2022, 114.000 persone e, nei primi sette mesi del 2023, altre 35.000, attraverso la foresta de Darien che collega, senza strade, l’Ecuador con la Colombia e poi con il Panama: 25.000 chilometri quadrati di foreste pluviali, paludi e montagne, considerata una delle zone più pericolose del mondo (giaguari, serpenti velenosi, corridoio per il traffico di droga e la marcia di profughi in fuga da tutto il pianeta, compresi africani, medio orientali, caraibici, asiatici diretti verso gli Stati Uniti); il traffico di droga, in quanto – come si è detto – l’Ecuador è diventato paese di transito, stoccaggio e distribuzione di cocaina in arrivo da Colombia, Perù e Messico; la violenza, con 5.320 omicidi nei primi sette mesi del 2023; il deficit fiscale che è il 4% del PIL.

Tali sfide sono rese ulteriormente difficili dalla frammentazione dell’Assemblea federale, l’organo legislativo della confederazione, composta da 137 membri, che dura in carica quattro anni e che, dopo le elezioni, vede 52 membri di Revolucion Ciudadana, 28 di Construye, 15 di Adn (il partito di Noboa), 14 dei cristiano sociali e 4 del movimento indigeno Pachakutik più altri poco significativi: una frammentazione che rende precaria la governabilità, suscitando più di un dubbio sulla reale possibilità di una ripresa del paese.

Gli autori

Ugo Zamburru

Ugo Zamburru, psichiatra , è appassionato di America latina, di persone, di libertà e di solidarietà. È stato inventore e instancabile animatore, per oltre dieci anni, del Caffè Basaglia, crocevia e luogo di incontro per chi, a Torino e non solo, sogna un mondo diverso e si impegna per realizzarlo.

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