Volerelaluna.it
12/07/2023 di: Toni Muzzioli
Ognuno ha avuto le sue brave delusioni, in questa guerra russo-ucraina che si avvia ormai a compiere un anno e mezzo. Se è vero – come almeno ci narra una ampia letteratura giornalistica sulla quale è peraltro lecito dubitare – che i russi non si aspettavano la capacità di resistere delle strutture statali ucraine nonché la fermezza dell’appoggio Usa-NATO e dunque hanno dovuto abbandonare la speranza di una guerra rapida e “indolore”, non minore è stata la delusione delle potenze occidentali – su questo invece siamo certi perché testimoni diretti – di fronte all’illusione che il “regime di Putin” sarebbe crollato sotto i colpi di maglio delle nostre sanzioni economiche. Qualcuno ricorderà a tale proposito le incaute previsioni di un ormai dimenticato segretario del PD, che pronosticava il crollo dell’economia russa «in qualche giorno»…
Le cose non sono andate proprio così. Un po’ di acqua sotto i ponti è passata, e ormai, anche nella stampa mainstream, capita di trovare il riconoscimento che tutta la strategia delle sanzioni contro la Russia è fallita e perfino che l’avvicinamento della Russia alla Cina e alle altre potenze asiatiche starebbe funzionando abbastanza bene. Del resto, pare proprio che quel che sta accadendo sia un vasto ed epocale processo di sganciamento di una consistente parte del mondo dalle grinfie economico-monetarie dell’Impero Usa (di «secessione del Grande Sud geo-strategico» ha parlato l’economista francese Jacques Sapir, un osservatore attento delle cose russe: https://www.youtube.com/watch?v=w_Cz_eFC9Yw). Un processo di cui la guerra russo-ucraina sarebbe allo stesso tempo un effetto e un acceleratore: un effetto nel senso che la pressione esercitata sulla Russia dall’inclusione dell’Ucraina nell’Occidente allargato serviva a spingere la Russia alla guerra per poi provare una “soluzione finale” nei suoi confronti e imprimere un freno anche al suddetto processo; e un acceleratore perché proprio il tentativo di strangolamento economico avviatosi nel febbraio 2022 (che aveva alle spalle comunque molti anni di sanzioni) ha costretto la Russia ad abbandonare ogni indugio e a lanciarsi definitivamente nel partenariato con la Cina, per non parlare dell’ormai aperto impegno russo nell’intensificazione delle relazioni geo-strategiche con l’Africa, di cui è testimonianza anche plasticamente impressionante il discorso di Putin di fronte a 3.000 delegati di 54 paesi africani, durante la Conferenza parlamentare Russia-Africa del marzo scorso (https://www.youtube.com/watch?v=y8nBd2T2W4U). Fa parte di questa operazione la progressiva e rapida “yuanizzazione” delle riserve valutarie russe (a discapito ovviamente del ricorso al dollaro). Una data fa epoca, in questo senso: è il 3 ottobre 2022, quando alla Borsa di Mosca, per la prima volta, gli scambi rublo-yuan hanno superato quelli rublo-dollaro. Ed è in generale dall’inizio della guerra, di fronte alla scelta di “guerra economica totale” sferrata dal blocco Usa (in particolare l’espulsione dal sistema di pagamenti SWIFT) che Mosca decide di ricorrere sempre più abbondantemente alla valuta cinese, non solo nel campo degli scambi commerciali, ma ora anche nel risparmio delle famiglie (A Mosca prove di yuan, “ISPI online”, 13 gennaio 2023, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/mosca-prove-di-yuan-37252).
E non di sola Russia si tratta: sotto la pressione della tensione internazionale causata dalla guerra, la tendenza alla contestazione dell’egemonia del dollaro da parte di vaste aree del mondo ha subito un’accelerazione notevole: solo negli ultimi mesi si registra l’accordo tra Brasile e Cina per contabilizzare i loro scambi commerciali evitando il dollaro (e il ricorso a quello stesso sistema SWIFT da cui la Russia è stata esclusa all’indomani della guerra); la notizia che Cina, Russia, Brasile, India e Sudafrica stanno lavorando a una moneta comune ancorata al valore di oro, terre rare e altre risorse strategiche, che sarà presentata al prossimo vertice dei BRICS a Durban ad agosto (Luigi Chiarello, Il commercio tra Brasile e Cina non sarà più trattato in dollari, “Italia Oggi”, 13 aprile 2023: https://www.italiaoggi.it/news/il-commercio-tra-brasile-e-cina-non-sara-piu-trattato-in-dollari-2598459); la decisione di Argentina e Brasile di attivare una moneta comune per gli scambi tra di loro e con gli altri paesi latinoamericani, riprendendo un progetto già accarezzato dal Venezuela all’epoca di Chavez (Manlio Dinucci, Si allarga la ribellione all’impero del dollaro, “Voltairenet.org”, 23 aprile 2023: https://www.voltairenet.org/article219198.html). Come ha osservato Pino Arlacchi, d’altra parte, ciò che si è visto in questa guerra, come il blocco di 300 miliardi di dollari delle riserve russe («una misura ultraradicale, quasi senza precedenti, dato che un provvedimento analogo fu preso solo contro la Germania nazista e dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale»), ha spinto anche ex alleati di ferro degli Usa a mettersi nell’ottica della de-dollarizzazione, avvicinandosi ai BRICS e alla Russia: «Se pensate che anche l’Egitto, i paesi del Golfo e perfino Israele hanno deciso di ridurre la quota delle loro riserve in dollari, avete la portata di cosa stia avvenendo. La loro sensazione è che ciò che è capitato alla Russia oggi, domani può succedere a qualunque altro paese» (Alessandro Bianchi, Pino Arlacchi a l’AD: I BRICS hanno sfondato. Ma in Italia nessuno ne parla, “L’Antidiplomatico”, 9 marzo 2023: https://www.lantidiplomatico.i/t/dettnews-pino_arlacchi_a_lad_i_brics_hanno_sfondato/).
Certo, di qui a parlare di declino dell’impero americano, di tramonto del dollaro, di formazione di un nuovo assetto unipolare, ce ne passa. Però grandi movimenti “tettonici” ormai stanno terremotando il cosiddetto ordine globale attuale (che poi è un “ordine-per-noi”, dal momento che in questi tre decenni noi occidentali abbiamo esportato disordine in giro per il mondo!), spingendo fortemente un sempre crescente numero di paesi alla ricerca di una alternativa. Come ha scritto Lucio Caracciolo nell’editoriale dell’utilissimo numero di “Limes” dedicato alla crisi della globalizzazione, «siamo lontani dalla transizione sistemica verso un nuovo ordine internazionale, almeno altrettanto dal produrre le condizioni per cui questa America possa restaurare l’egemonia geoeconomica in degrado» (L’importanza di non essere globali, “Limes”, n. 4/2023, p. 17).
È chiaro che, di tutto questo colossale processo di riposizionamento geopolitico e geoeconomico il viaggio di Xi Jinping in Russia nel marzo scorso ha rappresentato la sanzione ufficiale e “cerimoniale”.
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Tra coloro che hanno colto, correttamente, il processo di cui abbiamo appena parlato, insomma il progressivo formarsi di un’alternativa alla globalizzazione a guida Usa, è molto diffusa una lettura “deterministica”, che tende a dare per inevitabile tale affermazione, e non solo tra gli osservatori più orientati in senso marxista (e dunque più a rischio “per natura” di esagerazioni deterministiche). Nell’ultimo della serie di ottimi contributi che sta dando alla comprensione della crisi russo-ucraina, Barbara Spinelli, per esempio, ha scritto: «inutile temere il passaggio dall’unipolarismo al multipolarismo: sta già succedendo, benvenuti nella realtà» (L’Occidente: un’oasi che ci fa feroci, “Il Fatto quotidiano”, 8 marzo 2023).
Ora, è certamente vero che il processo in questione è poderoso e strutturale, e non sarà facile fermarlo (aggiungo anche, per fortuna!). E tuttavia non bisogna neppure pensare che sia di per sé inarrestabile. La storia reale è aperta. E sarebbe singolare non accorgersi, proprio oggi, della possibile efficacia della guerra come strumento capace di alterare gli equilibri che si stanno formando in ambito economico. Ed è proprio in una situazione di questo tipo che oggi ci troviamo. Diciamola così: il tentativo dell’Occidente imperialista (ovvero: gli Usa, accompagnati da una variopinta schiera di utili idioti, tipo noi europei) di spegnere, o comunque far arretrare bruscamente, il suddetto processo, colpendo ora la Russia, “anello debole” che si è fatto trascinare nello scontro aperto, ma avendo sempre a mente l’obiettivo grande retrostante, la Cina (1). Ed è vero che la guerra è stata scatenata dalla Russia, ma solo chi ha le fette di salame sugli occhi ignora che è stata accuratamente preparata e provocata dalla NATO (Benjamin Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, prefazione di Luciano Canfora, Roma, Fazi Editore, 2023).
Gli Usa del resto hanno sempre saputo, e hanno sempre dichiarato nei loro documenti ufficiali, che la loro primazia militare globale, conseguita e mantenuta a partire dal secondo dopoguerra, è essenziale al fine di evitare l’emergere di competitori geopolitici sullo scenario mondiale. Scriveva, per esempio, su “Foreing Affairs” nel 1993, il generale Colin Powell, poi divenuto Segretario di Stato durante la prima amministrazione Bush jr.: «Non possiamo dirigere senza le nostre forze armate. La potenza economica è essenziale, l’abilità politica e diplomatica è necessaria, la forza dei nostri convincimenti e valori è fondamentale per qualsiasi successo possiamo conseguire. Ma la presenza delle nostre armi per sostenere questi altri elementi della nostra potenza è cruciale. Le nostre armi non devono essere seconde a nessuno» (in Manlio Dinucci, Il potere nucleare. Storia di una follia da Hiroshima al 2015, Fazi Editore, 2003, p. 101).
Cosa di meglio, dunque, che una bella guerra, o una bella serie di guerre e di destabilizzazioni di vario genere, per impedire il formarsi della nuova egemonia? Cosa di meglio di una voragine fumante in Ucraina, capace non solo di spezzare durevolmente il nesso Germania-Russia (chiodo fisso di strateghi come Zbigniew Brzezinski), ma anche di ostacolare pesantemente il progetto ambizioso di “nuova via della seta” (la famosa BRI – Belt and Road Initiative) concepito da Xi? Per non dire del ricompattamento fulmineo degli alleati (vecchi e nuovi) degli Usa nel momento del pericolo supremo?
Non sarebbe stupefacente, allora, scoprire che l’attuale strenuo impegno (ancorché “da remoto”) dell’Occidente allargato nella guerra russo-ucraina non abbia niente a che vedere con la difesa dell’indipendenza (per tacere della “democrazia”…) ucraina, bensì con il bisogno degli Stati Uniti di mantenere la propria posizione di predominio mondiale. A qualunque costo.
NOTE
(1) Osserva Pino Arlacchi (Guerra, la posta in gioco è la fine dell’impero Usa, “Il Fatto quotidiano”, 6 luglio 2023): «L’élite Usa è ben consapevole che il suo tempo è scaduto e che il mondo è diventato multipolare. Arrivata l’ora del declino, Washington cerca ora di ritardarne la fase terminale usando i mezzi a sua disposizione. E facendolo pagare, per quanto possibile, ai propri sudditi e alleati. A cominciare dagli europei, trascinati in una battaglia autolesionista contro la Russia che dovrebbe rivolgersi presto, nelle intenzioni di Washington, contro il trofeo più ambito, la Cina, ormai potenza globale».
Il testo rielabora parte dell’articolo Una «guerra senza fine e senza fini», apparso sul sito web del gruppo Ideeinformazione di Milano (https://www.ideeinformazione.org/2023/06/28/una-guerra-senza-fine-e-senza-fini/ )