L’accordo per salvare gli Stati Uniti dal default, cui il 5 giugno lo sfondamento del tetto del debito avrebbe altrimenti dato luogo, è stato raggiunto. Il risultato però, per quanto celebrato da Biden come una grande vittoria per tutti gli americani, rappresenta ancora una volta una sconfitta per gli americani più deboli a tutto vantaggio di quelli più ricchi. I vincitori (scontati) di questo impasse sono innanzitutto – e non avrebbero potuto non esserlo – i rappresentanti della potentissima lobby delle armi.
Si tratta del noto complesso militar-industriale da cui già il presidente Dwight Eisenhower nel suo messaggio di addio il 17 gennaio 1961, al termine dei suoi due mandati, aveva invano messo in guardia i suoi concittadini. «Questa combinazione di un gigantesco establishment militare e di una grande industria degli armamenti è una novità nel panorama americano» – aveva detto il presidente. – «L’influenza totale – economica, politica e persino spirituale – si fa sentire in ogni città, in ogni sede statale e in ogni ufficio del governo federale […] Nelle sedi di governo, dobbiamo guardarci dall’acquisizione di un’influenza ingiustificata, voluta o meno, da parte del complesso militare-industriale. Il potenziale per la disastrosa ascesa di un potere mal riposto esiste e persisterà. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i processi democratici. Non dobbiamo dare nulla per scontato». Quanto da allora le cose siano andate in senso diametralmente opposto a quello auspicato da Eisenhower è noto. Mai come oggi, però, la presenza di un Segretario di Stato quale Tony Blinken, di un capo della National Intelligence come Avril Haines – prima donna a ricoprire quella carica –, o ancora di un capo del Pentagono come l’ex generale Lloyd Austin – primo uomo nero mai nominato in quel ruolo –, al di là della patina di political correctness che ne ha ammantato la nomina, denuncia in maniera palese l’operare di quel meccanismo di revolving door fra governo e grandi corporation delle armi che svela il dominio del complesso militare industriale sulla politica paventato da Eisenhower. (1)
Ovvio, quindi, che nell’accordo di diminuzione delle spese federali per i prossimi due anni, a fronte di una pausa fino al gennaio 2025 di un tetto cui sottostare per l’amministrazione in cerca di denaro in prestito (che per ora era fissato a 31. 4 trilioni di dollari), quelle militari siano state esentate da una riduzione di crescita. È invece previsto che esse aumentino fino a 886 miliardi di dollari il prossimo anno e arrivino a 895 miliardi nel 2025: si tratta di cifre senza precedenti, che rappresentano circa il 40% della spesa militare mondiale (più alta di quella dei 10 paesi successivi nella classifica messi insieme: https://www.commondreams.org/opinion/military-spending-debt-crisis ) e che danno la misura delle preoccupanti prospettive belliche sul piano globale che gli Stati Uniti nutrono per l’imminente futuro di tutti noi. Sono le spese sociali (le così dette non defense discretionary spending) che, viceversa, hanno subito i tagli per il 2024 e che vedranno una misera crescita dell’1% nel 2025. Ciò che, data la più alta inflazione, significa però anche per quell’anno un loro taglio.
Chi è stato colpito sono i percettori dei così detti food stamps – ossia dei buoni alimentari concessi agli indigenti – fra i 50 e i 54 anni senza figli a carico cui, a differenza di prima, sarà richiesto di trovare un lavoro per poterli ricevere. Fino ad oggi solo agli adulti indigenti fra i 18 e i 49 anni è stato chiesto di lavorare un certo numero di ore alla settimana per potere ottenere i buoni pasto. Il risultato stimato è che negli Stati Uniti centinaia di migliaia di persone in una fase avanzata della vita, in gran numero donne, verranno private del cibo. Inoltre, un mutamento tecnico, che in alcuni Stati potrebbe determinare un cambiamento in peggio della misura, è previsto anche per il pur misero sussidio alle mamme con bambini piccoli, che già Clinton si era incaricato di rendere temporaneo e non più permanente in un’ottica di passaggio dal welfare al workfare. A 15 anni di distanza, quella politica aveva prodotto un raddoppio del numero delle mamme con figli piccoli che vivevano con 2 dollari al giorno e, mentre il 60% delle precedenti percettrici del sussidio avevano trovato lavori poverissimi, il 20% aveva addirittura perso qualsiasi connessione con la realtà lavorativa. Penalizzare ancora loro pare oggi davvero un crudele accanimento.
Ancora, sono gli studenti a pagare il fio di un debito troppo alto, cresciuto da 3.5 trilioni (pari al 35% del PIL) nel 2000, a 24 trilioni (pari al 95% del PIL) nel 2022, per aumentare ancora l’anno successivo. Se il debito fosse rimasto al 35% del PIL, nel 2022 sarebbe stato di 9 trilioni. Di quei 15 trilioni in più, 8 – cioè più della metà – sono da addebitare alle guerre (Watson Institute della Brown University: https://watson.brown.edu/costsofwar/figures/2021/BudgetaryCosts). Ciònonostante tocca agli studenti rinunciare alla sospensione delle tasse universitarie, che finora era stata loro accordata a partire dal periodo pandemico. Ricominciare a pagare quelle tasse significa sborsare somme da capogiro, se si pensa che nelle università della Ivy League esse possono arrivare fino a 80.000 dollari per anno e, per quanto ci siano modi per ottenere delle borse per i meritevoli e gli indigenti, la cifra non copre mai interamente la tassa. È dunque l’istruzione, ormai ovunque sostanzialmente privatizzata, ad essere colpita, laddove sono i ragazzi meno abbienti a subire i contraccolpi maggiori. Altro che due anni di Community College gratuiti come era stato promesso da Biden in campagna elettorale!
A tutto ciò fa spudoratamente da contrappunto la riduzione del budget dell’Internal Revenue Service (corrispondente alla nostra Agenzia delle Entrate) destinato a coprire le spese della lotta all’evasione fiscale (dei ricchi). Senza contare il via libera dato (per la gioia del Senatore democratico Joe Manchin della West Virginia) al gasdotto della Mountain Valley – da tempo strenuamente osteggiato dagli ambientalisti e dagli abitanti della zona – ibito a trasportare dalla West Virgina alla Virginia, per 300 miglia, quel gas di scisto divenuto particolarmente redditizio per i ricchi imprenditori che vi fanno affari proprio grazie alla guerra in Ucraina e alle sanzioni comminate alla Russia (e a noi stessi).
Un accordo scellerato, dunque, anche se presentato dal Presidente come un raro esempio di collaborazione bipartisan (https://www.nytimes.com/2023/06/02/us/politics/biden-debt.html) e come una vittoria per tutti gli americani perché i titoli di Stato statunitensi non crolleranno più e la tesoreria potrà continuare a pagare i suoi debiti. Si tratta certamente di un accordo migliore rispetto a quello che si prospettava quando i repubblicani con a capo Kevin Mc Carthy chiedevano che i couch potatoes (letteralmente patate sul divano) – i nostri divanisti insomma, quelli che non hanno voglia di fare niente ed è per questo che sono poverissimi – fossero spronati a darsi da fare attraverso nuove regole, che imponessero loro di lavorare un certo numero di ore a settimana o al mese se volevano essere ancora curati gratis, se volevano cioè ottenere il Medicaid (la sanità privata pagata dal pubblico). Condizionare l’assistenza sanitaria allo svolgimento di un lavoro per un certo numero di ore, per escludere proprio i più deboli dalla possibilità di essere curati, è un vecchio progetto di Trump (https://volerelaluna.it/mondo/2018/09/27/stati-uniti-guai-ai-poveri-eppur-qualcosa-si-muove/), che peraltro le Corti di giustizia avevano a suo tempo stoppato, ma che questa volta sarebbero state costrette ad accettare perché la decisione sarebbe provenuta dal Congresso. L’aver evitato (per ora) una simile inciviltà non significa però che questo accordo, così com’è, non pesi tutto sulle spalle dei più deboli, avvantaggiando i più forti.
Avrebbe potuto Joe Biden seguire una strada differente? Molti ritengono di sì (cfr. Bernie Sanders: https://www.commondreams.org/news/sanders-biden-debt-ceiling-14th-amendment). Prima del 1917 non esisteva un tetto al debito stabilito dal Congresso, perché quest’ultimo (che ha il power of the purse, ossia il potere della borsa) finanziava una per una tutte le spese che autorizzava. Dopo quella data il Congresso stabilì che il presidente potesse in via di principio sempre vendere in autonomia obbligazioni di Stato per finanziare qualsiasi spesa autorizzata (e non finanziata) dal Congresso, qualora non vi fossero altri fondi per sostenerla, purché non si superasse un tetto massimo stabilito dal Congresso stesso. Da allora il Presidente si può trovare nell’assurda situazione per cui, da un lato, è obbligato a dare esecuzione a una spesa autorizzata ma, dall’altro, se il tetto del debito è superato, non può farlo a meno di violare il tetto prestabilito. È per questo che in molti ritengono che il tetto al debito imposto dal Congresso sia illegittimo, tanto più che il XIV emendamento recita che «la validità del debito pubblico degli Stati Uniti […] non può essere messa in discussione», ciò che imporrebbe al presidente un dovere costituzionale di pagare sempre i creditori. Invece di usare la frusta contro i poveri d’America, forte del XIV emendamento Biden avrebbe quindi potuto sfondare unilateralmente il tetto del debito e sfidare sul punto la Corte Suprema.
Biden però – nella migliore delle interpretazioni – ha mancato di coraggio e ha così permesso alla destra americana di utilizzare il tetto del debito quale scusa per colpire ancora una volta i deboli e avvantaggiare i forti. Basti pensare che il progetto che i repubblicani hanno in cantiere per le prossime settimane è quello di rendere permanenti i tagli alle tasse che Trump aveva concesso ai ricchi fino al 2025. Una mossa del genere significherebbe aggiungere 2.5 trilioni al debito pubblico nei prossimi dieci anni (https://www.commondreams.org/news/cbo-extend-trump-tax-cuts), laddove il taglio odierno secondo le stime del New York Times porterebbe a un risparmio nello stesso periodo di 860 miliardi (https://www.nytimes.com/2023/05/29/us/politics/debt-ceiling-agreement.html). Ciò che conta, quindi, non è quanto si spende, ma per cosa si spende ed assicurarsi sempre che si tolga a chi non ha per dare a chi ha già troppo (e ben lo sappiamo anche noi che tagliamo il reddito di cittadinanza, ma vogliamo anche eliminare Tobin tax e super bollo, che in fondo non sono che un “pizzo di Stato”…). Da un Presidente che si era candidato a diventare il nuovo Franklin Delano Roosevelt ci si sarebbe davvero aspettato molto di più!
Note
(1) Tony Blinken – noto per aver sempre abbracciato la linea interventista più dura possibile in materia di politica estera, dalle invasioni in Afghanistan e in Iraq all’operazione in Libia, fino alla richiesta di pesanti interventi militari contro la Siria – uscito dall’amministrazione Obama, forte della sua esperienza governativa, nel 2018 co-fondò una società di consulenza, la WestExec Advisors, che offriva i suoi servizi alle più importanti società di high tech, aerospaziali e in generale del settore militare privato, fra cui (secondo un’indagine di The American Prospect bit.ly/39WZ7Dv) la Winward, società israeliana di elevata tecnologia di guerra. Dello staff della società di “informata” consulenza faceva parte anche Avril Haines, nota non solo per il suo ruolo nella strategia di guerra con i droni inaugurata da Obama, ma anche per aver coperto le torture dei prigionieri perpetrate durante la presidenza di George W. Bush (Jacobin, 23 novembre 2020, bit.ly/3aL7vVM). L’ex generale Lloyd Austin, poi, oltre ad avere fortissimi legami col mondo militare da cui da troppo poco tempo si è congedato, ha ampiamente partecipato al sistema di revolving door fra pubblico e privato. Prima di diventare capo del Pentagono ha seduto, infatti, nei consigli di amministrazione delle più disparate società, ma soprattutto in quello della Raytheon Technologies, leader nella costruzione di armamenti per il Pentagono stesso.
quanto sono fantastici i miliardari filantropi che non perdono occasione per lamentare una tassazione troppo bassa dei loro stessi redditi?
li vediamo spesso pubblicamente fare affermazioni quasi marxiste di giustizia fiscale, di tassare i ricchi.
applauditi dal popolo.
Nella realta dei fatti, a dispetto delle loro “lamentele”, al congresso é passato con Trump nel 2017 un maxi taglio alle imposte per i superricchie adesso, se questo taglio verra confermato dal 2025 a l 2033 produrra un buco, apprendo dall articolo,
di 3,5 trilioni, ovvero 3,5 miliardi di miliardi. credevo di aver letto male, invece é proprio cosi.
una cifra mostruosa anche per gli Stati Uniti.
un regalo a 18 zeri per i superricchi. inclusi i primi 10 che da soli hanno piu ricchezza della meta piu povera del pianeta.
per fortuna adesso ci sono i democratici al potere.
toglie letteralmente il pane dalla bocca da chi non ha risorse necessarie nemmeno per mangiare.
e poi lo spettacolo di opera buffa in cui il milardario di turno “lamenta” una tassazione troppo bassa continua.
i poveri sono benvenuti e possono applaudire liberamente.