Il 31 luglio scorso, cinque giorni dopo il suo incontro a Washington con il segretario di Stato Anthony Blinken, il premier kosovaro Albin Kurdi annunciava che i documenti e le targhe automobilistiche del distretto di Mitrovica, in cui si trovano tutte le istituzioni della minoranza serba, sarebbero diventate kosovari. Nello stesso giorno un comunicato urgente della NATO – KFOR (Kosovo Force) dava atto che la situazione di sicurezza era tesa e dichiarava: «KFOR è pronta a intervenire se è a rischio la stabilità nel nord del Kosovo». Si mobilita la diplomazia dell’Unione Europea, troppo impegnata nel sostegno all’Ucraina per fronteggiare un altro conflitto e ottiene soltanto un rinvio. Il 1° novembre il governo kosovaro dispone che entro aprile 2023 i nove mila autoveicoli dei serbi perdano la targa KM, Kosovska Mitrovica, e siano immatricolate come RKS, Repubblica Kosovara; per gli inadempienti, sanzioni pecuniarie, l’imposizione di una targa temporanea e infine il sequestro del veicolo.
Il direttore della polizia del Nord Kosovo si rifiuta di applicare la normativa ed è sospeso dall’incarico. L’Unione Europea chiede l’immediato ritiro del provvedimento e di nuovo richiama il Kosovo al rispetto degli impegni presi a tutela della minoranza serba: la creazione di una “Comunità associativa” tra i Comuni serbi e il riconoscimento delle autonomie locali, come stabilito dagli accordi di Bruxelles del 2013 tra Belgrado e Pristina con la mediazione della UE. Anche per l’ambasciatore USA a Belgrado l’avvio immediato del processo di creazione dell’unione dei Comuni serbi è «un obbligo legale vincolante per il Kosovo». Con una medesima richiesta il 5 novembre i serbi annunciano le dimissioni di massa da tutti i settori del pubblico impiego. Si dimettono l’unico membro del Governo (il ministro per le Comunità), parlamentari, sindaci, poliziotti, amministrativi e per ultimi, il 7 novembre, i magistrati e le guardie di frontiera. Dal 9 al 12 dicembre, l’arresto di alcuni ex agenti di polizia serbi e l’annuncio di elezioni anticipate al 18 dicembre (poi, all’ultimo, rinviate) provocano manifestazioni e blocchi stradali per impedire alle forze speciali di Pristina di compiere arresti e operazioni di controllo. Secondo i serbi, le elezioni anticipate sono lo strumento per sostituire sindaci, magistrati e agenti di polizia con elementi albanesi. Il presidente serbo Aleksandar Vučić dopo aver chiesto inutilmente l’intervento di KFOR e di EULEX (Missione UE per lo Stato di diritto in Kosovo) a difesa della popolazione serba ha prospettato l’invio di soldati e poliziotti ai valichi di frontiera per presidiare i siti religiosi ortodossi e tutelare la popolazione (il Rapporto del Consiglio d’Europa del 2010 documenta la distruzione di circa mille monasteri e storici luoghi di culto ortodossi e di numerose case di serbi). La premier serba Anna Brabić condanna la politica di Pristina e dichiara che mai la Serbia accetterà l’annessione della Mitrovica.
La guerra umanitaria della Nato. Kos, in serbo-croato, significa merlo e la “terra dei merli” è il cuore dell’identità nazionale serba. La battaglia della Piana dei Merli (1389) contro l’Impero ottomano, una sanguinosa sconfitta che annientò la nobiltà serba, è il tema del più importante poema epico nazionale. L’attuale Kosovo è nato dalla “guerra umanitaria” scatenata dalla NATO senza autorizzazione ONU (il Governo D’Alema dispiegò ingenti mezzi con spese elevatissime) tra il 23 marzo e il 4 giugno 1999 con bombardamenti su obiettivi civili della Serbia anche con uranio impoverito. La guerra è analizzata da Noam Chomsky nel saggio Il nuovo umanitarismo militare. Lezioni dal Kosovo. Attraverso vastissima documentazione Chomsky dimostra l’inconsistenza delle accuse alla Serbia di pulizia etnica nei confronti degli albanesi islamici della regione del Kosovo e la volontà della presidenza Clinton di creare un’enclave geostrategica americana nel cuore dei Balcani. Gli USA usarono l’UCK, Esercito di liberazione del Kosovo, nato nel 1993 con base in Svizzera, un’organizzazione mafiosa che si finanziava con traffici d’armi, droga, esseri umani, con estorsioni e rapimenti. Alle violenze dell’UCK seguirono la reazione serba e la guerra civile. Chomsky mette a confronto l’impegno della presidenza Clinton a protezione della popolazione islamica albanese da una presunta operazione di pulizia etnica, alla opposta politica nei confronti dei palestinesi e dei kurdi. Negli anni ’90 gli USA sostennero con armamenti e forze speciali la guerra di sterminio della Turchia contro il popolo kurdo. Dopo aver bombardato Belgrado, gli aerei turchi distruggevano i villaggi del Kurdistan. Il Kosovo nel 1999 divenne protettorato internazionale di ONU (UNMIK Missione per le Nazioni Unite in Kosovo) e NATO. Nel 2008 ha unilateralmente dichiarato la propria indipendenza, riconosciuta da 215 Stati, tra i primi l’Italia, ma non da 5 Paesi della UE.
Il premier Thaci a processo per traffico di organi. Il clima conflittuale creato da Pristina coincide con la prima condanna emessa dalla Corte dell’Aja (17 dicembre) a un ex ufficiale dell’UCK condannato a 26 anni di carcere per atrocità commesse nei confronti di connazionali accusati di collaborazionismo durante gli eventi del 1999. Pristina non accetta la sentenza che ritiene “politica” e teme l’esito di altri processi per crimini di guerra pendenti nei confronti di esponenti dell’UCK. Tra essi, il processo contro il leader dell’UCK e tre volte premier, fino al suo arresto nel 2020, Hashim Thaci. Thaciè è accusato di avere gestito tra il 1998 e il 1999, con altri esponenti dell’UCK, prigioni segrete in cui erano detenuti in condizioni disumane serbi e rom poi fatti sparire. La procuratrice generale del Tribunale penale internazionale per la Jugoslavia Carla del Ponte aveva per prima segnalato “fatti aberranti” a carico dell’UCK. Per sollecitare le indagini aveva presentato nel libro La caccia. Io e i criminali di guerra (2008) le prove da lei raccolte con investigatori del TPIJ (Tribunale speciale per la Jugoslavia) e di UNMIK in presenza di un pubblico ministero del Governo dell’Albania. Le prove – spiegava Del Ponte in un’intervista (swissinfo.ch, 16 dicembre 2012, Buenos Aires) – riguardano sequestri e sparizioni di persone in Kosovo: il rapimento di 300 serbi, bambini e donne compresi, nel 1999, deportati dal Kosovo in Albania e «uccisi nell’ambito di un traffico organizzato per procurarsi e commerciare organi umani». Ulteriori indagini hanno individuato altre vittime, un centinaio di rom e di albanesi “collaborazionisti”. Dalla denuncia della magistrata sono partite le inchieste del Consiglio d’Europa pubblicate nel Rapporto 2010 e sfociate nelle incriminazioni da parte della Corte dell’Aja. Il Rapporto accerta che nel traffico di organi era coinvolto l’ex premier del Kosovo Hashim Thaci, descritto come capo di un’organizzazione mafiosa, colpevole di assassinii e di altri crimini anche come mandante. Fu Hashim Thaci, nel suo ruolo di premier, a volere e a dichiarare l’indipendenza del Kosovo.
Il 51° stato americano. La rivista Esquire chiama il Kosovo “il 51° Stato americano”. A Pristina piazze, vie, negozi, monumenti sono dedicati a Clinton, Bush, Albright, a luoghi ed eventi americani. Si rende omaggio agli States nell’abbigliamento (tuxedo e stivali oppure tailleurs “stile Hillary”), in architettura, con mini-imitazioni della Casa Bianca, nell’arredamento, con un trionfo di tessuti stars and stripes. Costituzione, inno, bandiera sono stati dettati dagli USA. Tuttavia l’enclave americana spicca per l’elevato numero di estremisti islamici in rapporto alla popolazione. Dopo la sconfitta dell’ISIS, il Kosovo ha accolto i suoi tagliagole contando su programmi di recupero e destando una certa preoccupazione nell’Unione Europea.
Camp Bondsteel e il petrolio del Mar Caspio. La più grande base all’estero dell’esercito americano è Camp Bondsteel, sotto il comando della KFOR. In un articolo in una rivista tecnica il colonnello Robert L. McClure rivela che la base fu progettata con mesi di anticipo sulla prima bomba nel cielo di Belgrado. L’acquisto di un terreno agricolo di 1.000 acri di terra coltivabile si perfezionò nel giugno 1999, appena concluse le operazioni militari contro la Serbia. Camp Bondsteel è descritto come un gigantesco complesso da fantascienza. «Soltanto due cose sulla terra si possono vedere dallo Spazio: Camp Bondsteel e la Grande Muraglia cinese» scherzano i suoi residenti. Ed è ancora in via di espansione. Le ipertecnologiche infrastrutture sono costruite da ditte appaltatrici del ministero della Difesa. La base, forte di 3700 unità, sorge nel sud-est del Kosovo al confine con la Macedonia, in prossimità di una rete di oleodotti e di corridoi energetici di rilevanza vitale, tra i quali l’oleodotto transbalcanico in costruzione da parte degli USA. Alcuni mesi prima della guerra umanitaria della NATO il Washington Post aveva pubblicato l’editoriale di un esperto di geopolitica americano il quale affermava: «Con il Medio Oriente sempre più fragile ci servono basi e diritti di sorvolo nei Balcani per proteggere il petrolio del Mar Caspio».
Se il piccolo Kosovo continuerà a non rispettare gli accordi di Bruxelles e a provocare la popolazione serba, una reazione da parte di Belgrado pare inevitabile. E di nuovo l’Europa sarà chiamata a schierarsi, di nuovo si alzeranno catastrofici venti di guerra.