Il 27 novembre 2022 il presidente Andrés Manuel López Obrador (AMLO) ha organizzato una parata per celebrare i suoi primi quattro anni di mandato, in risposta all’affollatissima manifestazione #ElINENoSeToca (l’INE non si tocca) convocata da varie organizzazioni della società civile e da alcuni partiti di opposizione un paio di settimane fa. In questa manifestazione ampi settori della cittadinanza avevano espresso la loro protesta contro la proposta di riforma costituzionale presentata dal presidente il 28 aprile 2022, che mira, tra l’altro, a eliminare l’Istituto Nazionale Elettorale (INE) – ente pubblico indipendente incaricato di organizzare e controllare le elezioni – per sostituirlo con un nuovo organo, i cui membri sarebbero eletti “direttamente dal popolo”. In realtà, questo non è l’unico obbiettivo della proposta, che prevede anche di ridurre le dimensioni del Parlamento nazionale, riformare la legge per le elezioni politiche e ridimensionare il finanziamento pubblico ai partiti.
Il sistema elettorale messicano è il prodotto di una serie di accordi raggiunti dalle forze politiche rappresentate nell’assemblea nazionale e il risultato di rivendicazioni e richieste provenienti “dal basso”, dalla cittadinanza e dai partiti minoritari, basate su diagnosi di problemi concreti. Mai prima d’ora, nella storia democratica del Paese, un emendamento costituzionale in materia elettorale era stato presentato “dall’alto”, ossia dal Governo, ed elaborato unilateralmente dal partito al potere, espressione della volontà del presidente. L’attuale proposta di riforma origina dalla campagna sistematica di discredito e ostilità condotta dal presidente contro l’INE e, sebbene si sia intensificata dal pulpito presidenziale, risale a molto prima del suo arrivo al governo. Nelle elezioni del 2006, in particolare, insoddisfatto dei risultati, l’allora candidato AMLO aveva messo in discussione la legittimità dell’intero processo elettorale e con ciò la credibilità dell’autorità elettorale, accusata di frode. Ancora oggi, il presidente López Obrador continua a negare i risultati delle elezioni del 2006.
Ma in cosa consiste il progetto di riforma costituzionale e quali sono i suoi nodi problematici? Come accennato, il progetto comprende una serie di riforme di ampia portata che, se adottate, avranno gravi conseguenze per le prossime elezioni generali del 2024. Basandomi sul parere della Commissione di Venezia, che ha recentemente formulato un’opinione in merito (https://www.venice.coe.int/webforms/documents/?pdf=CDL-AD(2022)031-e), concentro l’attenzione su due elementi dell’iniziativa particolarmente preoccupanti: la creazione di una nuova autorità elettorale nazionale e la riduzione del numero dei parlamentari nonché l’adozione di un sistema di liste di partito per eleggere i membri della Camera Bassa.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la riforma mira a eliminare l’INE e a sostituirlo con l’Istituto per le Elezioni e i Referendum (INEC), un’istituzione centralizzata, che assorbirebbe le funzioni degli organi elettorali statali, ma con minori poteri di controllo sull’operato dei partiti politici (soprattutto per quanto riguarda la selezione delle candidature) e sul registro dei votanti. Tuttavia, non sembra essere questo il punto più singolare del progetto, ma la scelta di sostituire l’attuale metodo di designazione del Consiglio Generale dell’Istituto (da parte della Camera dei deputati a maggioranza dei due terzi) con l’elezione diretta dei componenti da parte dei cittadini. Il medesimo sistema verrebbe esteso all’elezione dei giudici della Sala Suprema del Tribunale Elettorale del Potere Giudiziario della Federazione (TEPJF), cioè il massimo organo giurisdizionale in questa materia, incaricato di risolvere le controversie elettorali e di garantire i diritti politici dei cittadini. Anche in questo caso, scomparirebbero i tribunali elettorali locali, sostituiti da un unico tribunale centrale che concentrerebbe su di sé le funzioni svolte dalle giurisdizioni di ogni entità federale. Per quanto possa sembrare paradossale e sorprendente, il progetto presidenziale prevede inoltre che sia lo stesso INEC a organizzare il processo di elezione dei propri membri e dei componenti del Tribunale Elettorale. Come ha notato la Commissione di Venezia, ciò, oltre ad essere inusuale, crea rischi per l’imparzialità del funzionamento dell’autorità elettorale nazionale. Inoltre l’elezione tramite voto popolare dei consiglieri dell’INEC e dei magistrati del Tribunale Elettorale politicizzerebbe impropriamente questi organi pubblici, minando la credibilità delle elezioni e la professionalità e l’imparzialità del massimo organo di garanzia dei diritti politici.
Per quel che riguarda il congresso, un punto chiave della proposta di riforma è la riduzione del numero di parlamentari, che attualmente sono 500 per la Camera bassa e 128 per la Camera alta e vengono eletti con un sistema elettorale misto (in parte maggioritario e in parte proporzionale). Nello specifico, si propone di eliminare i deputati e i senatori eletti nei distretti uninominali e di mantenere esclusivamente quelli eletti con il sistema proporzionale. Se la riforma sarà approvata, la Camera dei Deputati avrà 300 membri e il Senato 98. Sebbene l’adozione di un sistema proporzionale possa essere attraente, le dimensioni relativamente ridotte delle circoscrizioni (si stima che in ogni distretto verrebbero eletti circa 10 deputati, anziché gli attuali 40) provocherebbero una sovrarappresentazione dei partiti più grandi e una sottorappresentazione di quelli più piccoli. A questo effetto distorsivo della rappresentanza va poi aggiunto quello determinato dalla drastica diminuzione del numero dei parlamentari. Inoltre, la previsione di liste bloccate consentirebbe ai partiti politici di avere il pieno controllo sulla selezione delle candidature con possibilità di elezione.
In definitiva, la proposta di riforma mette a rischio l’imparzialità e l’indipendenza degli organi di garanzia elettorale. Non solo. Riconfigura completamente la legge per l’elezione dei parlamentari, introducendo nuove distorsioni nella rappresentanza delle forze politiche nell’organo legislativo nazionale.
Sebbene non dispongano dei voti sufficienti in Parlamento per modificare la Costituzione in modo unilaterale e senza il concorso delle minoranze, il presidente e il Movimento di Rigenerazione Nazionale (MORENA) dispongono di un’ampia maggioranza, che potrebbe finire per imporsi sulle altre forze politiche. Al di là della loro partecipazione alla protesta #ElINENoSeToca, i partiti all’opposizione non hanno mostrato una chiara volontà di resistere all’iniziativa presidenziale. E ciò nonostante le sistematiche accuse di frode elettorale contro l’INE e i costanti tentativi di squalificare i suoi membri si siano rivelati inconsistenti. Nei suoi 30 anni di vita istituzionale, l’INE ha infatti dimostrato una capacità di tenere elezioni libere, autentiche e trasparenti, con autonomia e indipendenza dal Governo, che gli è valsa il riconoscimento internazionale, ma soprattutto la fiducia dei cittadini.
Come in altri paesi, in Messico l’autorità elettorale nazionale, una delle istituzioni pilastro della democrazia, è sotto assedio da parte del Governo, e con essa l’integrità dei processi elettorali che garantiscono la legittimità delle cariche pubbliche. Il futuro della democrazia nel Paese dipende in larga misura dal mantenimento di organismi indipendenti, imparziali e trasparenti che tutelino il corretto svolgimento delle elezioni e proteggano i diritti dei cittadini, garantendo la parità di condizione dei partiti nella competizione politica attraverso un sistema elettorale che rifletta in modo appropriato il peso di ciascuna forza politica. Spetta alla classe politica, al governo e all’opposizione, garantire che tali condizioni non si riducano a un mero elenco di buone intenzioni.