Poco si parla in Italia e in Europa, occupata con altri gravi problemi, delle prossime elezioni che si svolgeranno in Brasile quest’anno (il 2 ottobre si terrà il primo turno ed eventualmente il 30 ottobre il secondo) e che sono le più importanti per il paese dalla fine della dittatura.
È in gioco, anzitutto, l’andamento corretto e formale del processo elettorale: i sostenitori di Bolsonaro sono mobilitati da mesi e stanno facendo di tutto per creare disordini che giustifichino l’invalidazione del voto nel caso in cui Bolsonaro perdesse o non vincesse al primo turno. Da mesi Bolsonaro ripete il mantra di Trump contro le elezioni manipolate prendendo a pretesto le urne elettroniche e chiede il ritorno al voto cartaceo, che si usava 25 anni fa; anche se in questo periodo non ci sono mai state denunce sull’uso delle urne elettroniche, che sono un esempio di sicurezza e rapidità riconosciuto dal mondo intero. Lo stesso Bolsonaro è stato eletto al secondo turno con questo sistema. Bolsonaro e i suoi seguaci stanno realizzando una campagna diffamatoria contro varie istituzioni fondamentali della Repubblica, fra le quali il TSE (Tribunal Superior Eleitoral) che in Brasile è un organo autonomo che fa parte del sistema giudiziario e da decenni amministra l’intero processo elettorale.
Le proteste di Bolsonaro sono chiaramente pretestuose e non si basano su prove: in verità il suo è l’estremo tentativo di realizzare un golpe, basato su tre pilastri (oltre ovviamente all’appoggio fanatico dei suoi seguaci che si attestano attorno al 25-30%): l’esercito che fino ad oggi ne ha sempre appoggiato le pretese (con poche voci discordanti); settori della polizia militare degli Stati che i governatori fanno fatica a controllare; le famigerate milicias che controllano il territorio delle periferie soprattutto a Rio e a São Paulo. A queste tre categorie Bolsonaro ha facilitato l’accesso legale alle armi concedendo la licenza di porto di armi a milioni di persone, che si aggiungono all’arsenale illegale sparso in tutto il paese. Anche su questo Bolsonaro sta seguendo il modello Trump, con la differenza che nel momento cruciale del golpe Trump non ha avuto l’appoggio dell’esercito e del Parlamento, mentre il “capitano” potrebbe contare su queste due istituzioni.
Che Bolsonaro sia contro la democrazia e voglia fare un golpe è chiaro fin dal primo giorno di governo; che ci riesca è un’altra cosa. Le condizioni oggettive per un golpe, sia interne sia internazionali, sono molto deboli. Comunque vada, l’elezione sarà molto tesa e turbolenta, con un alto potenziale di violenza dalle conseguenze imprevedibili. Certamente esiste una forte società civile organizzata che non assisterebbe passivamente al golpe, ma che (per fortuna?) non è armata e può solo rispondere pacificamente: se ci fosse una guerra civile sarebbe un massacro perché solo una parte è armata. Per tranquillizzare la gente gli analisti politici dicono che la democrazia in Brasile è consolidata e che non c’è più posto per avventure golpiste civili-militari. Ma il bolsonarismo sta diffondendo un’ideologia autoritaria e reazionaria che sopravviverà a Bolsonaro anche se (come si spera) perderà le elezioni.
Lula sa bene quel che lo aspetta e da mesi sta cercando l’appoggio di vari partiti e personalità anche di centro e di destra, oltre che della sinistra. Tutti i sondaggi lo danno vittorioso al primo turno, ma l’elezione si vince con i voti. Nessuno sa cosa potrà accadere nei giorni delle elezioni, se una farsa o una tragedia, o entrambe. Nonostante tutto, c’è la fondata speranza che Bolsonaro perda le elezioni chiudendo così uno dei peggiori (se non il peggiore) governo della storia repubblicana del Brasile. Un grande paese, che merita molto di più.
Il Brasile non resisterebbe ad altri quattro anni di Bolsonaro.