Non ci sono state grandi manifestazioni in Brasile contro l’aggressione della Russia all’Ucraina. Tre i motivi principali.
Il primo è ovviamente la distanza geografica. La guerra è vista come qualcosa di lontano che non tocca direttamente il paese, a differenza dell’Europa che vive sotto la minaccia costante della guerra e della sua possibile estensione e ne soffre l’impatto economico, politico e sociale. Dopo i primi giorni, la guerra è sparita dalle prime pagine dei giornali brasiliani, anche se è presente attraverso le immagini televisive. C’è poi anche una distanza “culturale”: da sempre il Brasile proietta su di sé l’immagine di un paese pacifico e cordiale che non ha vissuto sul suo territorio la guerra, dimenticando che la violenza quotidiana degli ultimi anni ha provocato migliaia di morti, in una guerra civile strisciante che affligge il paese e che il governo Bolsonaro ha alimentato. Ma c’è anche un motivo politico che è preponderante.
L’estrema destra di Bolsonaro ha mantenuti buoni rapporti con la Russia: Bolsonaro era andato a Mosca a portare la solidarietà del popolo brasiliano a Putin pochi giorni prima dell’inizio della guerra. E significativamente era poi andato a visitare Orbán in Ungheria. È vero che il ministero degli esteri (l’Itamaraty) ha appoggiato le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che condannavano l’aggressione, ma con una serie di distinguo contro le sanzioni e in favore di una pace che comprenda le «ragioni delle due parti». Per parte sua, il presidente non ha mai pronunciato la parola aggressione, né citato Putin come responsabile. Infatti, Putin (e Orbán) rappresentano per Bolsonaro un punto di riferimento di quella “internazionale di estrema destra” conservatrice, autocratica e reazionaria a cui egli si ispira ideologicamente. E tuttavia anche a sinistra ci sono delle ambiguità, per motivi opposti: settori che a quanto pare sono maggioritari accusano la NATO e l’UE di essere responsabili per la guerra. Entra qui in gioco un forte antiamericanismo, secondo il quale i nemici dei miei nemici sono miei amici. Lula ha condanno con veemenza la guerra, ma non ha citato l’aggressione della Russia all’Ucraina, né Putin come responsabile e recentemente ha dichiarato che «Zelensky è responsabile al pari di Putin per la guerra», affermazione che ha suscitato critiche negli ambienti liberali, ma un grande appoggio a sinistra.
Se l’Ucraina fosse stata invasa dalla NATO, ci sarebbe stata da parte della sinistra una condanna unanime e un appoggio incondizionato al coraggioso popolo ucraino che combatte contro l’imperialismo occidentale; ma dato che in questo caso l’aggressione è avvenuta da parte della Russia, ci sono molti “se e ma”, compresa la squalifica della resistenza ucraina in quanto ispirata al neo-nazismo. L’argomento è che le invasioni degli Stati Uniti e della NATO in vari paesi (Afghanistan, Iraq, Libia, Siria…) hanno violato il diritto internazionale e causato molte morti e distruzioni ma non sono state sanzionate dalla comunità internazionale in una forma così incisiva, né i responsabili sono stati portati davanti a un tribunale internazionale come criminali di guerra. Biden – si dice – quando parla di Putin come criminale di guerra dovrebbe includere in questa categoria quasi tutti i suoi predecessori, che invasero Stati sovrani in nome della democrazia. Si finisce così per sminuire il fatto che è stata la Federazione Russa a invadere l’Ucraina e non viceversa, e che l’invasione ha posto l’Ucraina di fronte a un tragico dilemma: o la vita o la libertà. E l’Ucraina (non solo il governo, ma il popolo) ha scelto la libertà, con enormi conseguenze in termini di vite umane e distruzione materiale. È vero che la NATO, dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, aveva perso la sua ragion d’essere e avrebbe dovuto essere smantellata e sostituita da una forza militare europea (e meglio ancora da un accordo per il disarmo). Ma è anche vero che l’espansione della NATO è un pretesto di Putin per cercare di riprendere il potere dell’Unione Sovietica, non per nostalgia del comunismo, ma dell’Impero.
La situazione è complessa, ma è chiaro che siamo di fronte a un’aggressione brutale e ingiustificata contro un paese sovrano, che mantiene legami storici con la Russia: l’equidistanza e la neutralità equivarrebbero al sostegno all’invasore. Questa guerra è un’enorme tragedia che interrompe 75 anni di pace (tranne il conflitto nella ex Jugoslavia) che l’Europa aveva garantito dopo secoli nei quali era stata un focolaio di guerre. La guerra è iniziata male e non finirà bene per nessuno. Il mondo sarà diverso dopo questa guerra, se il mondo che conosciamo sopravviverà a una possibile espansione del conflitto.
La guerra ha anche fatto emergere un fatto conosciuto ma represso: perché migliaia di armi atomiche? Perché la corsa al riarmo? Perché tante armi sempre più sofisticate e distruttive? Solo per alimentare l’industria degli armamenti? Stiamo creando un rischio reale di una terza guerra mondiale, e le potenze stanno facendo un gioco pericoloso senza che si veda un minimo di buon senso. La cultura della violenza prevale sulla cultura della pace e della fraternità fra i popoli, e l’impotenza dell’ONU davanti a questa tragedia è chiara: il motivo centrale è il risorgere dei nazionalismi e dei sovranismi “l’un contro l’altro armati” invece del cosmopolitismo (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/04/19/il-fallimento-dellonu-e-le-vie-della-pace/) e del costituzionalismo mondiale (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2022/03/23/per-la-pace-in-ucraina-le-nazioni-unite-in-seduta-permanente/), che appare sempre più un’utopia necessaria in teoria, ma impotente nella pratica. Le conseguenze sono fosche e imprevedibili anche per il Brasile, perché ormai siamo tutti connessi in rete dalla globalizzazione.