Le Corti internazionali e la guerra in Ucraina

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L’ignobile aggressione militare russa nei confronti del popolo ucraino, iniziata a fine febbraio 2022, è una delle più recenti questioni geopolitiche che consentono di saggiare – se mai ce ne fosse stato il bisogno – la necessità, segnalata da tempo, di costruire una struttura giuridica solida e resistente che permetta di dirimere le controversie tra Stati attraverso gli strumenti del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, nell’ottica di imporre un «diritto alla pace» per tutti i popoli del mondo. Premesso che l’invasione russa dell’Ucraina è il tragico epilogo di un conflitto più ampio in corso tra le medesime parti dal 2014 (c.d. guerra del Donbass), è assodato che, come in tutti i conflitti, anche in questo numerosi crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati già compiuti. I “fatti di Bucha” (3 aprile 2022) ne rappresentano la manifestazione più recente e, a ben vedere, ne costituiscono l’esempio lampante, al punto che numerosi giornali inglesi hanno accusato apertamente le truppe russe di aver commesso un genocidio nei confronti della popolazione ucraina.

Poiché le autorità giudiziarie dei Paesi coinvolti in guerre e conflitti difficilmente potrebbero essere idonee a espletare indagini indipendenti in merito alle condotte criminose compiute sul proprio territorio da forze armate nemiche, la strategia degli Stati membri delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa si è concentrata altrove, con la creazione di istituzioni super partes con competenza esclusiva in materia: si tratta di tribunali internazionali che nascono, in linea di principio, per proteggere gli individui – ma anche gruppi di persone, ad es. le minoranze etniche – da eventuali gravi violazioni dei loro diritti fondamentali perpetrate dalle autorità nazionali di uno Stato. Con riferimento all’invasione russa del 2022, a livello internazionale, sono tre le Corti sovranazionali che si stanno occupando della vicenda, ciascuna secondo le proprie prerogative e i propri poteri. Va sottolineato che, in tutti e tre i casi, è stata l’Ucraina ad aver richiesto l’intervento delle istituzioni internazionali, a tutela della propria integrità territoriale.

1.

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) esercita la propria giurisdizione sugli Stati membri del Consiglio d’Europa, fondato nel 1949, e di cui sia l’Ucraina che la Russia facevano parte all’inizio del conflitto (anche se quest’ultima ne è stata espulsa il 16 marzo). Il tribunale, che ha sede a Strasburgo, giudica gli Stati membri in base al testo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Il 28 febbraio 2022, l’Ucraina, a seguito dell’invasione del proprio territorio da parte delle truppe russe iniziata quattro giorni prima, ha denunciato in seno alla Corte di Strasburgo «la massiccia violazione di diritti umani nel corso dell’aggressione militare al territorio sovrano ucraino». Il 1° marzo 2022, il presidente della Corte EDU – nell’ambito del neonato procedimento Ucraina c. Russia (ricorso n. 11055/22) – ha emesso un’ordinanza di misure provvisorie (ad interim) volta ad impedire alla Russia di cagionare un danno grave ed irreparabile alla popolazione ucraina, ossia la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura) e 8 (rispetto della vita privata e familiare) CEDU. Si è trattata della prima pronuncia giurisdizionale in merito al conflitto russo-ucraino, intervenuta in soli tre giorni dalla presentazione del ricorso. Le sollecitazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo intendevano addivenire alla cessazione immediata delle ostilità da parte delle truppe russe le quali, tuttavia, non hanno rispettato il dictum loro imposto e hanno seguitato a implementare la sedicente «operazione militare speciale» nel territorio del Donbass e zone limitrofe. D’altronde, la Russia, come sopra ricordato, è stata espulsa dal Consiglio d’Europa il 16 marzo 2022 e quindi, da quella data, non risulta più vincolata dalle decisioni – anche provvisorie – della Corte EDU. Come è stato affermato, la Corte, sebbene avesse poche chances di fermare concretamente il conflitto (e le conseguenti, gravissime, violazioni dei diritti umani), quantomeno non ha abdicato al proprio compito. 

2.

La Corte Internazionale di Giustizia (CIG), con sede a L’Aia (Paesi Bassi), costituisce, in estrema sintesi, il tribunale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e giudica gli Stati membri in base ai trattati internazionali che essi hanno ratificato nel proprio diritto interno. Anche in questo caso, il governo ucraino ha chiamato in causa la Russia innanzi al Tribunale dell’Aia, il 26 febbraio 2022, sostenendo che il governo di Mosca avrebbe falsamente affermato che si erano verificati atti di genocidio nelle zone dell’Ucraina orientale controllate dai separatisti (circostanza sulla base della quale Putin avrebbe riconosciuto l’indipendenza di tali territori e poi attuato una «operazione militare speciale» contro l’Ucraina). Il governo di Kiev ha chiesto, in primo luogo, che la CIG accertasse che non erano stati compiuti atti di genocidio da parte delle truppe ucraine ai danni dei separatisti del Donbass e, in secondo luogo, che venissero emesse misure provvisorie per far cessare immediatamente l’aggressione. La Russia ha scelto di non partecipare all’udienza del 7 marzo – rinunciando così a rappresentare oralmente le proprie ragioni in contraddittorio con i rappresentanti ucraini – ma ha depositato una memoria scritta con cui ha sostenuto la mancanza di giurisdizione della CIG nel caso di specie e la totale infondatezza della richiesta di misure provvisorie.

Con un’ordinanza del 16 marzo, la CIG ha accolto le richieste dell’Ucraina e indicato tre misure provvisorie (provisional measures) da eseguire: a) la Russia doveva sospendere con effetto immediato le operazioni militari sul territorio ucraino; b) la Russia doveva garantire che tutte le unità armate militari o irregolari, da essa dirette o riconducibili ad essa, non compissero ulteriori azioni per favorire le suddette operazioni militari; c) entrambe le parti – e quindi non solo la Russia – avevano l’obbligo di astenersi da ogni ulteriore azione che potesse aggravare o rendere estremamente difficoltosa la disputa di fronte dalla CIG. Anche in questo caso, le misure provvisorie indicate in sede internazionale sono rimaste più ineseguite. La mancata osservanza del dictum della Corte è tanto più grave se si considera che i termini ulteriori per il procedimento della causa nel merito sono stati fissati – per il deposito delle memorie delle parti – sino al marzo 2023. Nel mentre, c’è chi ha ipotizzato una presa di posizione forte da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU che possa – a partire dall’ordinanza della Corte – imporre d’autorità un negoziato e condizioni imperative, eventualmente definite dalla stessa CIG (https://www.editorialedomani.it/idee/voci/guerra-ucraina-russia-corte-internazionale-giustizia-crimini-mrv14swn).

3.

Brevissimi cenni merita, infine, il procedimento innanzi la Corte Penale Internazionale (CPI), organismo creato del 2004, che svolge le funzioni di tribunale per i crimini internazionali «di guerra» o «contro l’umanità» nei confronti di persone fisiche (e non di Stati). Essa giudica solamente in merito ai crimini commessi da singoli individui, di qualsivoglia nazionalità, nel territorio degli Stati che hanno accettato la loro giurisdizione. L’Ucraina – pur non avendo ratificato lo Statuto di Roma che ha istituito la CPI – ha riconosciuto la giurisdizione della Corte per permetterle di indagare sui crimini di guerra compiuti dalle truppe russe, e il 28 febbraio 2022 il Procuratore presso la CPI ha manifestato l’intenzione di aprire delle indagini preliminari sulla vicenda. Il 2 marzo 2022, allo scopo di velocizzare la procedura, 39 Stati Parte dello Statuto di Roma (tra i quali gli Stati membri UE) hanno chiesto alla CPI di indagare sul conflitto russo-ucraino. Gli Stati richiedenti sono poi diventati 41 con l’aggiunta di Giappone e Macedonia del Nord – l’11 marzo. Le indagini sono tuttora in corso, e hanno coinvolto tutto il blocco “occidentale” in un’azione diplomatica per supportare l’azione della CPI. Va ricordato che molti leader politici (tra cui Biden e Johnson) hanno accusato apertamente Putin di essere un «criminale di guerra», anche se, come sottolineato dal Guardian, tale “etichetta” potrà essere ritenuta fondata nel merito solamente dopo il procedimento in seno alla CPI.

4.

Ad emergere è l’esistenza, sui diritti umani, di una doppia morale (https://ilmanifesto.it/crimini-di-guerra-e-corte-penale-la-doppia-morale-dei-diritti-umani), vale a dire l’atteggiamento di alcuni Stati che, prima, hanno promosso la creazione di organismi sovranazionali per tutelare le prerogative fondamentali di ogni individuo e, successivamente, non vi hanno aderito (ad es. gli Stati Uniti, la Russia o Israele rispetto alla CPI; o, ancora, la Russia nei confronti del Consiglio d’Europa) o non ne hanno sostenuto l’attività (si pensi alla mancata presenza degli Stati europei all’interno delle procedure innanzi la CEDU o la CIG, anche in funzione di supporto). Va vista con favore l’azione degli Stati Parte diretta a velocizzare la procedura innanzi la CPI, ma la doppia morale si manifesta anche qui nella sua più ampia espressione, dato il silenzio assordante dell’Occidente in vicende analoghe. In ogni caso, altre sembrano essere le priorità delle potenze mondiali. Come è noto, infatti, quasi tutti gli Stati membri UE/NATO si sono immediatamente attrezzati per l’invio di armi alla popolazione ucraina (commettendo un tragico errore: https://volerelaluna.it/commenti/2022/03/22/inviare-armi-allucraina-e-un-tragico-errore/), invece di privilegiare la strada diplomatica e la parallela partecipazione al giudizio innanzi la CEDU e la CIG. Così facendo, hanno lasciato il campo a Turchia (non certo una democrazia liberale!) e Israele (autore, come risulta dalle sentenze della CIG, di violazioni del diritto internazionale nei confronti della popolazione palestinese e attualmente sotto indagine da parte della CPI), che sono divenuti soggetti privilegiati per i negoziati di pace. Al contrario, Papa Francesco – in un sussulto di fortissima indignazione per tutte le guerre del mondo – ha annunciato che potrebbe andare a Kiev nei prossimi giorni, restituendo una centralità ai princìpi universali di pace, fratellanza e dignità umana che dovrebbero in primis influenzare le politiche degli Stati membri.

Fintantoché la strada maestra dell’Unione europea sarà influenzata in toto da politiche belligeranti suggerite dagli alleati americani, sarà difficile per le Corti internazionali rilanciare i propri valori universali di libertà, pace e solidarietà tra i popoli. Tuttavia, l’azione dei tribunali sovranazionali risulta a fortiori sempre più necessaria, in quanto le loro statuizioni – come si è visto – seppure non rispettate, forniscono al dibattito pubblico una chiave “universalistica” di cui si sente la mancanza.

Gli autori

Lorenzo Bernardini

Lorenzo Bernardini (l.bernardini2@campus.uniurb.it) è dottorando di ricerca in Global Studies nella Università degli studi di Urbino «Carlo Bo»

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