L’attacco aereo turco avvenuto il 17 agosto contro un ospedale a Shengal (Iraq nord occidentale, governatorato di Ninawa) ha provocato la morte di otto persone e ne ha ferite altre quattro. L’ospedale serviva contemporaneamente popolazioni di diverse etnie e fedi religiose, yazide, arabe, cristiane. In questo ospedale, venivano curate madri, bambini, uomini e donne di Shengal. È stato bombardato non una, ma quattro volte. Le persone della zona circostante hanno rischiato la vita per recuperare i feriti e i caduti sotto le macerie. L’obiettivo dell’attacco erano i malati, i medici, il personale infermieristico, i combattenti delle YBS (unità di protezione del popolo) responsabili della sicurezza dell’ospedale, non ultimo le stesse strutture sanitarie ed ospedaliere rimaste miracolosamente in piedi dopo gli attacchi dell’Isis del 2014. Si è trattato di un vero e proprio crimine contro l’umanità passato sotto un incredibile e assordante silenzio.
Il giorno prima, la Turchia aveva bombardato il centro di Shengal poco prima della visita del primo ministro iracheno, Mustafa al Kadhimi, che avrebbe incontrato rappresentanti dell’amministrazione autonoma yazida. Nell’attacco, sono stati uccisi il comandante delle YBS, Said Hesen, suo fratello e un altro combattente YBS, mentre tre civili sono rimasti feriti. Si è trattato di un chiaro avvertimento all’Iraq, da parte di Erdogan, affinché venga lasciata mano libera su questa regione strategica.
Tutto questo avviene nel 7° anniversario dell’attacco genocida dello Stato islamico contro la popolazione kurdo yazida in nord Iraq. Ricordiamo che allora più di 5 mila persone indifese sono state trucidate e uccise dall’Isis, un numero pari, se non superiore, di donne e ragazze sono diventate “prede” di guerra dei miliziani islamisti che le hanno stuprate e vendute come schiave sessuali sui mercati di Raqqa e di Mosul, mentre i ragazzini sono stati arruolati e indottrinati dai miliziani come bambini-soldato. Un’enorme massa di persone è stata costretta alla fuga dalla propria terra: queste le tragiche esperienze vissute dal popolo yazida e questi numeri sarebbero ben maggiori se non fossero intervenuti in aiuto a quel popolo, il Pkk kurdo di Turchia e le unità di protezione del popolo siriane, Ypg e Ypj, che hanno creato un corridoio umanitario grazie al quale centinaia di migliaia di civili yazidi hanno potuto mettersi in salvo.
Oggi, sono ancora 2.871 le persone scomparse a Shengal. Mentre si scavano le fosse comuni disseminate su tutta l’area e si recuperano i resti dei corpi, tornano alla spicciolata le ragazze dal campo profughi di al-Hol, in Siria, mescolate alle “mogli del Califfato” o dalle abitazioni di chi le ha rinchiuse e adesso le rivende ai loro famigliari per migliaia di dollari. La ricostruzione poggia sugli sforzi di Ong e associazioni, italiane e straniere, che recuperano scuole, cliniche e servizi per le famiglie che cominciano a far ritorno alle loro case.
Nel 2018, un’attivista yazida, Nadia Murad, fu insignita del Premio Nobel per la pace, dopo essere stata rapita e resa schiava sessuale dai miliziani dell’Isis. Ma il mondo sembra essersi scordato velocemente dei massacri e delle sofferenze della comunità yazida di Shengal.
Oggi, nel silenzio dei media, è in corso una nuova guerra in Iraq, contro la comunità yazida, contro il vicino Campo di Makhmour e sui monti Qandil, ad opera dell’esercito turco che ha occupato parti del territorio iracheno installando proprie postazioni militari.
Fermiamoli, prima che sia troppo tardi, l’esempio dell’Afghanistan sta lì ad insegnarcelo!
Noi firmatari del presente appello, chiediamo che:
1. sul solco delle indicazioni delle Nazioni Unite, che indicano ufficialmente quello compiuto dall’Isis a Shengal come “genocidio”, anche l’Italia riconosca il genocidio del popolo yazida, così come già fatto dai Parlamenti di Belgio e Olanda;
2. venga riconosciuta dal nostro Parlamento l’Amministrazione autonoma di Shengal;
3. si condanni la Turchia per i massacri già compiuti a Shengal e si applichi finalmente la legge 185/1990 contro la vendita di armi alla Turchia come Paese belligerante che viola apertamente i diritti umani.
1) Gian Giacomo Migone – già presidente Commissione Esteri Senato (1994-2001) – Torino
2) Alessandra Mecozzi – presidente associazione Cultura è Libertà – Roma
3) Maurizio Acerbo – Segretario nazionale PRC – Roma
4) Salvatore Palidda – docente universitario, saggista – Genova
5) Marco Rovelli – scrittore e cantante – Livorno
6) Livio Pepino – presidente Volere la luna – Torino
7) Giorgio Riolo – Rete Alternative – Milano
8) Manfredi Lo Sauro – ARCI – Firenze
9) Carmine Malinconico – Giuristi Democratici – Nola
10) Angelo Cutolo – Giuristi Democratici – Nola
11) Renato Franzitta – Laboratorio “Andrea Ballarò” – Palermo
12) Alfonso Di Stefano – Rete antirazzista catanese – Catania
13) Antonella Bundu – consigliere comunale “Sinistra Progetto Comune” – Firenze
14) Antonio Olivieri – copresidente Associazione Verso il Kurdistan – Sale (Al)
15) Giuliana Ortolan – Donne in Nero – Novara
16) Amalia Navoni – Comitato Acqua Pubblica – Milano
17) Angela Dogliotti – Centro Sereno Regis – Torino
18) Adriano Bracone – Anpi – Voghera
19) Massimo Gallina – vicepresidente Anpi – Vigevano
20) Sara Soldi – biologa – Fidenza
21) Anna Maria Bruni – attrice e regista – Roma
22) Massimo Torelli – Firenze Città Aperta – Firenze
23) Claudio Lombardi – Associazione Amicizia italo-palestinese – Firenze
24) Ennio Cabiddu – Associazione Sardegna Pulita
25) Patrizia Sterpetti – presidente Lega Internazionale Donne per la Pace e la Libertà – Roma
26) Antonia Sami – Wilpf Italia – Roma
27) Mirella Cravanzola – Pax Cristi – Torino
28) Luigi Piccioni – docente universitario – Pisa
29) Anna Maria Ori – storica – Carpi
30) Franco Zunino – presidente ARCI – Savona
Seguono centinaia di sottoscrizioni. Per aderire all’appello, che sarà chiuso e inviato al presidente del Consiglio, al Ministro degli Esteri e alle Commissione esteri di Camera e Senato il 15 settembre, scrivere a antonioolivieri@libero.it, indicando attività e città di residenza.