Il Perù ha un nuovo presidente: la necessità della speranza

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Dopo una campagna elettorale polarizzata da due partiti radicali che riflettono la situazione politica nel mondo (https://volerelaluna.it/mondo/2021/04/20/elezioni-in-peru-non-resta-che-piangere/), Pedro Castillo è stato dichiarato vincitore dalla Giunta delle Elezioni Nazionali del Perù.

Gli attori principali del secondo turno sono stati, da un lato, la destra radicale, alleata con nuovi attori politici che nascondono i tratti del fascismo sessista e razzista con espressioni altisonanti dirette a galvanizzare i cosiddetti “duri” che esigono sicurezza per mantenere i loro privilegi coloniali (la maggioranza del voto della capitale Lima e dei peruviani residenti all’estero, che si sentono superiori alle classi popolari e difendendo pervicacemente interessi privati ​​usando la paura della popolazione verso il comunismo, il terrorismo e il chavismo) e, dall’altro, una sinistra radicale, divisa, debole e anch’essa maschilista, senza grandi leader ma che nelle Ande peruviane ha preso piede e si è sentita rappresentata da un contadino professore, Pedro Castillo, rondero, ex sindacalista, strettamente legato alla chiesa evangelista (dotata di un forte radicamento popolare), che per pochi voti di scarto, 44.263, ha vinto il secondo turno elettorale (8.836.380 contro gli 8.792.117 ottenuti da Fujimori).

Dei due contendenti nel secondo turno Keiko Fujimori, che per la terza volta ha perso la corsa alla presidenza, è la leader del partito Fuerza Popular, espressione diretta della continuità del vecchio movimento Fujimori, come dimostra la comparsa in dirittura d’arrivo di un audio nel quale Montesinos, il sinistro ex capo dei Servizi Nazionali di Intelligenza sotto la Presidenza di Alberto Fujimori, che, dal carcere in cui è detenuto, ha cercato di favorirla e di manipolare la giunta elettorale nazionale per indurla ad annullare i voti e il processo elettorale che non l’ha favorita. L’altro contendente, Pedro Castillo, era il candidato del partito Peru Libre guidato da Vladimir Cerron, un marxista radicale, che riflette l’insoddisfazione e l’esaurimento di una popolazione punita da anni di corruzione e indifferenza e che ha subito drammaticamente gli effetti della pandemia, abbandonata in una situazione di povertà estrema e di grandi disuguaglianze, la cui campagna elettorale è stata non per caso rea invisibile dai media. La vittoria di Castillo è stata dunque anche quella delle reti sociali che non si sono fatte ingannare da una stampa sfacciatamente faziosa in favore della destra, che, questa volta, ha fallito il suo obiettivo.

Senza dubbio è stata una competizione elettorale interessante che impone una nuova lettura di una situazione in cui siamo prossimi alla fine della politica e che vede le nostre democrazie fortemente minacciate da poteri non scelti dalla gente che ha sempre meno possibilità di farlo. Dell’ignoranza politica e ideologica della maggioranza della popolazione sono responsabili le burocrazie dei partiti politici che non costruiscono né organizzano sul territorio forze capaci di interpretare il contesto e di dialogare in modo costruttivo. Ciò costituisce un attacco contro la democrazia poiché produce istituzioni pubbliche deboli (senza il controllo di una stampa libera) e una corruzione radicata a tutti i livelli, favorita da gruppi che riflettono nel voto la loro preferenza per la corruzione piuttosto che per il comunismo. Dall’altra parte c’è una sinistra divisa, che sogna ancora la dittatura del proletariato ma manca dell’organizzazione e della visione per sopravvivere e confrontarsi con una realtà globalizzata che richiede risposte più strategiche per incanalare l’insoddisfazione della gente attraverso percorsi di dialogo, di pace e di giustizia sociale. Siamo alle porte della celebrazione del Bicentenario dell’Indipendenza del Perù. Ma abbiamo ancora molta strada da fare per essere veramente liberi. Non può esserci libertà, infatti, dove regnano le disuguaglianze e gli abusi impuniti dei potenti e dove la libertà sindacale è soffocata nelle aziende e nelle istituzioni pubbliche con modalità aberranti tipiche dei secoli passati. Oggi la distanza tra capitale e lavoro è sempre più acuta e il conflitto sociale, se non convogliato verso un dialogo democratico e costruttivo, può portare a una guerra civile atroce. Le nostre democrazie sono minacciate e non solo in Perù. Come direbbe il nostro illustre poeta Vallejo: «Ci sono ancora molte cose da fare fratelli!».

Nonostante queste riflessioni, oggi più che mai necessarie, speriamo che il nuovo Presidente sia all’altezza della situazione e che sappia far fruttare le sue capacità, pur forgiate in un sindacalismo che si è allontanato dall’ala radicale per negoziare benefici a favore di tutti, compresi i suoi più accaniti nemici. Abbiamo un Paese bellissimo, uno dei più belli del mondo, con una natura generosa e una popolazione vivace e positiva ma stanca di promesse tradite. Spero, signor professore Presidente, che non dimentichi le sue radici, che governi senza paura, con un’umiltà e un’intelligenza si rifletta nelle sue azioni. Abbiamo tante persone capaci e intelligenti nel Paese a cui può dare opportunità e spazi per aiutarla a gestire una situazione difficile. Molti sono disponibili e vogliono farlo. Solo allora, passo dopo passo, colpo dopo colpo, vedremo la luce in fondo al tunnel e forse un giorno il suo slogan «non più poveri in un paese ricco» sarà qualcosa di più che uno slogan di campagna elettorale.

Gli autori

Carmen Benitez

Carmen Benitez è stata sino a pochi mesi fa funzionaria dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro nella sede regionale per l'America Latina di Lima in Perù, dedicandosi prevalentemente alle attività di sostegno e formazione rivolte alle organizzazioni dei lavoratori.

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