Domenica 4 luglio si è insediata la Convenzione Costituzionale che dovrà riscrivere la Costituzione del Cile dopo quella ereditata dalla dittatura di Augusto Pinochet. Ne fanno parte 155 membri eletti alcuni mesi or sono (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/05/21/il-cile-volta-pagina/). Sia l’elezione della nuova Costituente che la sua composizione sono una indubbia espressione di quel vasto e determinato movimento ideale e sociale che ha caratterizzato le lotte in Cile negli ultimi due anni, a partire dall’appello dell’8 agosto 2019 che diede vita all’esperienza di Unidad Social, agli scioperi generali dell’autunno e alle più imponenti manifestazioni di donne nel mondo avvenute nel marzo 2020 (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/10/27/cile-una-nuova-aurora/).
In continuità con la passione e la determinazione che ha prodotto le condizioni per il rinnovamento della legge fondamentale, molte persone si sono riunite già domenica mattina alle 7,30 nelle piazze e nelle vie circostanti al luogo dove doveva insediarsi la Convenzione. Ciò ha fornito al ministro dell’interno in carica, Rodrigo Delgado, e ai Carabineros l’occasione per intervenire con la forza (come è scritto nel loro comunicato, firmato Orden y Patria, «realizzando servizi preventivi attorno alla sede dell’ex Congresso»). Si è venuta così a creare una situazione in cui i Costituenti avrebbero dovuto svolgere le loro funzioni circondati dalle forze dell’ordine impegnate in interventi preventivi contro i manifestanti. L’inizio dei lavori è stato allora sospeso su richiesta di molti membri della Convenzione che hanno sollecitato l’intervento del governo per il ritiro delle forze di polizia e solo quando questo è avvenuto, alle ore 12, sono iniziati i lavori con il primo adempimento: l’elezione del Presidente della Convenzione.
Si è proceduto a due votazioni. Nella prima ha ricevuto più voti Elisa Loncòn Antileo, donna, mapuche, docente e accademica universitaria, candidata dal Popolo-Nazione Mapuche e sostenuta al primo turno dai Movimenti Sociali Costituenti, candidati della Lista del Popolo, Popoli Indigeni (Aymara, Lickanantay, Rapa nui), Fronte Ampio e Collettivo Socialista. Nel secondo turno di votazioni si sono aggiunti i voti di Isabel Godoy, candidata del Popolo Colla, che nel primo turno di votazioni era stata sostenuta dai Popoli Indigeni (Diaguita, Kawéshkar, Yagán e Chango), dal Partito Comunista e da settori della la Lista del Popolo. Elisa Loncòn è stata eletta con 96 voti, seguita dal candidato della destra, Harry Jürgensen, con 33 voti e dalla candidata degli Indipendenti non neutrali e dei settori della Concertazione, Patricia Politzer, con 18.
Nel suo breve discorso di insediamento Elisa Loncòn ha iniziato in idioma mapuche, il mapudüngun: un discorso potente per rendere giustizia a 500 anni di colonizzazione, esclusione e sterminio «delle nostre prime nazioni». Il messaggio era chiaro: «questa Convenzione che oggi devo presiedere trasformerà il Cile in un Cile plurinazionale, in un Cile interculturale, in un Cile che non vìola i diritti delle donne, i diritti delle badanti, in un Cile che si prende cura della Madre Terra, in un Cile che pulisce le acque, contro ogni dominazione, ecco perché, tutti voi fratelli ascoltate, il sogno è gigantesco: stabilire un nuovo rapporto tra il popolo mapuche, le nazioni originarie e tutte le nazioni che compongono questo Paese». Aggiungendo poi il dovere di «espandere la democrazia […] Dobbiamo espandere la partecipazione, dobbiamo convocare ogni angolo del Cile per seguire questo processo, renderlo un processo trasparente che possano vederci fino all’ultimo angolo nelle nostre città e nelle nostre lingue native che sono state ignorate durante tutto ciò che è stato lo Stato-nazione cileno».
Elisa Loncòn Antileo ha imparato fin da piccola ad ascoltare le storie. Passava ore dentro la sua ruka nella comunità mapuche di Lefweluan, nella regione dell’Araucanía, assimilando ogni storia che usciva dalla bocca di suo padre, di sua zia o di un altro parente. Quell’incanto per la parola la portò, diversi anni dopo, ad approfondire i suoi studi sul mapudüngun come lingua madre e a rivitalizzarlo in diversi spazi accademici e territoriali, sempre nel contesto dell’espropriazione subita dal popolo mapuche per mano dello Stato. Con una laurea come professoressa di inglese presso l’Università della Frontiera di Temuco e un corso presso l’Università di Santiago, svolge lezioni come esperta di interculturalità nei corsi per diplomi post-laurea presso università di vari paesi. Nella Convenzione Costituente Elisa Loncòn occupa uno dei 17 posti riservati ai popoli nativi (sette dei quali sono per i rappresentanti del popolo mapuche) all’interno della Convenzione Costituzionale.
Pubblichiamo qui la sua intervista di qualche settimana fa alla rivista Brecha di Montevideo (https://brecha.com.uy/): Le nazioni originarie contribuiranno alla rifondazione del Cile.
(Fulvio Perini)
Quali ostacoli hai conosciuto nell’elezione dei popoli indigeni?
Questo processo è storico perché le nazioni originarie non hanno mai partecipato a qualsiasi altra Costituzione cilena. Il sistema era definito dall’élite politica, non da noi, e aveva una serie di limitazioni. Il governo, ieri come oggi, non si è assunto impegni per la promozione di candidati indigeni. Come candidati per la Convenzione Costituente abbiamo lavorato cinque mesi con la base elettorale, ma era impossibile raggiungere tutti i territori. Abbiamo provato a farlo tramite i social, ma lo strumento digitale, pur importante, è anche una barriera quando non c’è internet nelle zone rurali come nei settori sociali più marginali delle stesse città. La gente ha votato molto disinformata e altri non hanno votato, soprattutto a causa della cattiva immagine della lotta mapuche. Abbiamo agito in un contesto che tendeva a negarci eppure siamo stati in grado di far eleggere sette componenti del popolo Mapuche, le cui candidature sono state proposte dalle rispettive organizzazioni di base per difendere i diritti delle nazioni originarie.
La plurinazionalità è una richiesta storica, ma come affermarla nella Costituzione senza che sia qualcosa di meramente dichiarativo? E quali altre questioni si presentano come priorità?
Stiamo dando avvio a una discussione per un Cile plurinazionale e interculturale, dove si presume che le nazioni native abbiano diritti collettivi diversi da quelli della società cilena. Plurinazionalità e interculturalità sono princìpi che dovranno essere presenti e influenzare le nuove norme costituzionali. Uno Stato plurinazionale riconosce le nazioni preesistenti allo Stato cileno che sono organizzate e rispettano i diritti della madre natura. Con questa definizione, il principio della plurinazionalità deve improntare le istituzioni cilene, che dovranno incorporare questo concetto e l’esercizio di tali diritti nei territori. Nella domanda particolare del popolo Mapuche, chiediamo il riconoscimento del diritto alla terra e al territorio. Questo riconoscimento sarà rilevante, perché non ci dovranno perseguitare mai più per le manifestazioni per la restituzione delle nostre terre. Un popolo senza terra non esiste, non può progettare il proprio futuro. Eravamo e siamo proprietari del Wallmapu. Il Cile dovrà riconoscere questo spazio territoriale, perché è un diritto della nazione Mapuche. Questo non significa mettere un confine. Non implica fare uno Stato all’interno di un altro Stato, ma condividere un’istituzionalità plurinazionale nella quale i popoli indigeni possano esercitare i loro diritti. Nella nuova Costituzione, l’autonomia della nazione mapuche deve essere riconosciuta.
Ritiene che ci sia un sentimento condiviso tra le esigenze delle nazioni originarie e quelle del popolo cileno?
Si deve comprendere che le esigenze delle nazioni originarie sono correlate a quelle del popolo e diventano comprensibili se sono parte delle richieste del popolo cileno. La domanda di autonomia dei territori originari rafforza la discussione sul decentramento regionale. Così puoi dialogare. Ad esempio, il riconoscimento dei diritti della natura è qualcosa di urgente per la popolazione cilena, soprattutto ora in una fase di pandemia. I popoli indigeni hanno sempre difeso la natura, ma l’arrivo degli spagnoli ha imposto il pensiero eurocentrico per cui la Terra è una risorsa naturale gestita dall’uomo. Se la società cilena non interrompe questo modo di sfruttare la natura, le difficoltà per il futuro saranno forti in termini di salute e di benessere. Questa richiesta di protezione della natura è condivisa con il popolo del Cile. Ovviamente gli uomini d’affari hanno una politica diversa, ma sono in minoranza. Non rappresentano i sentimenti delle persone e la loro etica non pone al centro la difesa della dignità umana.
Come immagina il funzionamento della Convenzione Costituzionale?
È fondamentale che questo processo sia una discussione trasparente e pubblica, che i popoli sappiano quali argomenti vengono discussi e che abbiano istanze di partecipazione alla Convenzione tramite i loro rappresentanti. Io, per esempio, rappresento la Voce Plurinazionale, che è una coalizione all’interno del popolo mapuche. Mi piacerebbe, come piacerebbe alle persone che mi hanno scelto, che la Convenzione si riunisse nei territori. Non può essere tra quattro mura a Santiago, perché questo tende a negare tutto ciò che le ha dato origine: uno sfogo sociale in cui la gente ha detto “basta” a un modello e a una metodologia binaria, dove chi ha potere definisce e il resto rimane ai margini.
Come consideri la composizione della Convenzione: molti mestieri o professioni, persone delle regioni e assenza di collegi d’élite?
Mi sembra che, in qualche modo, si sia rotto il recinto stabilito dai partiti politici che volevano imporre le proprie regole del gioco per la Convenzione facendo nuovamente emergere la volontà e i metodi dei territori, in base ai quali i candidati sono stati scelti dalle assemblee, anche in forma autoconvocata come i cabildos. Anche noi abbiamo i nostri metodi partecipativi, comunitari e collettivi. Si riporta così un modo di comprendere la società, che non è omogenea e risponde a diversi interessi.
Considerando tutte le restrizioni imposte, come sta personalmente vivendo questo momento storico per i popoli originari all’interno della Convenzione?
Il nostro contributo è inestimabile, storico; portatore di una memoria, di identità e conoscenze che si è cercato di cancellare, come nazioni originarie abbiamo la possibilità di contribuire in modo sostanziale alla rifondazione del Cile. Non si tratta solo di portare richieste, ma di contribuire al dibattito, con valori e paradigmi non tipici della cultura cilena. La visione della natura come madre non è parte della cultura cilena, che la percepisce come una risorsa. Così il Cile si arricchirà e la democrazia si espanderà.
Infine, che opinione ha del fatto che non tutti i costituenti delle popolazioni indigene sono per le trasformazioni sociali? Come affronterete questo problema?
Sappiamo che ci sono rappresentanti dei popoli indigeni che hanno orientamenti neoliberali. Ma non dobbiamo perderci in questo gioco, perché le posizioni egemoniche sono interessate a cooptare persone originarie per i propri gruppi, da manipolare, come hanno sempre fatto. Dobbiamo essere coerenti nel difendere i diritti delle nazioni originarie, difendendo la proprietà collettiva, che è sempre opposta alla proprietà individuale. Per vivere la nostra cultura, abbiamo bisogno della proprietà collettiva. Non sto dicendo l’intera terra, ma le zone umide, i laghi e le colline che hanno spiritualità, che influenzano il nostro comportamento. Questo deve guidare il nostro lavoro alla Convenzione; il resto sono interessi che non sono dei popoli originari. Non ho dubbi che l’élite politica cercherà disperatamente di mantenere il controllo, ma dobbiamo avere l’intelligenza e l’etica collettiva per le quali i nostri popoli ci hanno dato il mandato.
La traduzione è di Fulvio Perini