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20/04/2021 di: Carmen Benitez
Analisti politici, giornalisti e l’opinione pubblica in generale commentano i sorprendenti risultati delle elezioni peruviane svoltesi domenica 11 aprile per eleggere il presidente della Repubblica, due vicepresidenti, 130 parlamentari e 5 parlamentari andini per il periodo 2021-2026.
Imprevedibilmente, negli ultimi otto giorni, le preferenze di voto si sono ribaltate e le urne hanno mandato al secondo turno, previsto per il 6 giugno, Pedro Castillo (Peru Libre) con il 19,09% dei voti e Keiko Fujimori (Fuerza Popular) con il 13,36%. Questi dati sono stati annunciati dall’Ufficio nazionale dei processi elettorali (ONPE) al 99,5% dei risultati elaborati. Seguono Rafael Lopez Aliaga (Renovacion Popular) con l’11,70% dei voti, Hernando de Soto (Avanza País) con l’11,59%, Yohny Lescano (Acción Popular) con il 9,10%, Veronika Mendoza (Juntos por el Perù) con il 7,86%, Cesar Acuña (Alianza por el progresso) con il 6,034% e George Forsyth (Victoria Nacional) con il 5,62%. Dei 23 partiti che hanno presentato candidati alla Presidenza della Repubblica, solo questi, al momento, superano la barriera del 5% richiesta per legge per essere rappresentati al Congresso; qualche altro probabilmente verrà aggiunto alla fine del conteggio. Secondo gli ultimi dati pubblicati il resto dei partiti ha ricevuto complessivamente meno del 15% dei voti.
L’assenteismo pari al 29,79% evidenzia una certa apatia politica. Le ragioni alla base di questa astensione sono state individuate nel deficit di governance dovuto ai continui conflitti tra l’Esecutivo e il Congresso. Tanto che l’ex presidente Kuczynski si è dimesso nel 2018 a causa di accuse di corruzione dovute alla pubblicazione di alcuni video e audio. La stessa sorte è toccata nel 2020, cinque mesi prima delle elezioni generali, al suo successore, Martin Vizcarra, di cui la sessione plenaria del Parlamento ha dichiarato l’incapacità morale permanente. Sono, poi, intervenute, a cinque giorni dall’assunzione della carica, le dimissioni del suo successore Merino sostituito a sua volta, da Sagasti che attualmente esercita temporaneamente la Presidenza. Si noti che in una settimana si sono susseguiti alla massima carica ben tre presidenti della Repubblica: Vizcarra, Merino e Sagasti. Un altro problema che ha scoraggiato la popolazione sono i continui scandali dovuti all’elevata corruzione degli ultimi governi, con ex presidenti in carcere o sotto processo come Fujimori, Toledo, Humala e Kuczinsky. Anche la seconda vincitrice di queste elezioni, Keiko Fujimori, è indagata per vari delitti.
In questo quadro di instabilità e debolezza democratica, non può esserci una leadership che riunisca le varie correnti politiche del Perù, e queste elezioni riflettono una frammentazione politica con molti partiti tutti poco rappresentati nel Congresso. Nelle elezioni di domenica 11 aprile, infatti, nessuno dei candidati supera il 20% dei voti e quindi i loro rappresentanti al Congresso non avranno la maggioranza e saranno costretti a stringere alleanze assai difficili nel clima di sfiducia generale e data la bassa qualità delle istituzioni democratiche (nelle quali non si cerca un dialogo per il bene del Paese ma una negoziazione di mercato che risponde a interessi corporativi e personali in un momento in cui la crisi politica, economica, sociale e sanitaria distrugge le speranze della popolazione più vulnerabile). Come direbbe il valzer di Chabuca Granda: «e rimane piangente, il fiore di cannella».
Chi sono i candidati andati al secondo turno?
Per molti, la vera sorpresa è Pedro Castillo, di Peru Libre, 51 anni, professore a Cajamarca, leader dei ronderos organizzati secondo antiche tradizioni di ronde contadine sorte all’epoca del terrorismo di Sendero Luminoso. Sono giuridicamente costituite come organizzazioni comunitarie che possono dialogare con lo Stato e provvedere alla risoluzione dei conflitti e ad altre operazioni delle comunità rurali e indigene secondo il sistema giuridico e costituzionale (sebbene siano noti diversi casi di travalicamento di tali poteri). Pedro Castillo, accusato da un ex ministro del governo Fujimori di avere rapporti con Sendero Luminoso e altri movimenti collegati, ha più volte negato questo legame che non è stato mai sorretto da prove. Nella sua campagna ha ribadito che promuoverà lo sviluppo delle ronde contadine dando loro un budget per combattere la criminalità. Ovviamente, il sostegno dei ronderos organizzati all’interno e in territori lontani dalla capitale è stato fondamentale nella sua campagna. Castillo è anche un dirigente sindacale della Federación del Magisterio: nel 2017 ha guidato il più grande sciopero degli insegnanti ottenendo buoni risultati in una trattativa condotta dal sindacato ribellatosi alla direzione burocratica di una corrente controllata dal partito comunista. Sicuramente il voto e la campagna silenziosa della sua base sindacale sono stati fondamentali alle urne. Tra le dichiarazioni della sua campagna elettorale più contestate dalla sinistra, ci sono la contrarietà alla parità di genere (spregiativamente chiamata «ideologia di genere»), alla legge sull’aborto e al matrimonio gay. Questa posizione coincide con quella del candidato della destra estrema, Rafael Lopez Aliaga, del Partito popolare per il rinnovamento, chiamato da alcuni il “Bolsonaro peruviano”, il quale, dopo l’annuncio dei risultati, ha detto di avere su questo punto posizioni coincidenti con quelle di Castillo. Questa dimensione, quindi, potrebbe aprire spazi per eventuali alleanze, anche se è ancora troppo presto per dirlo. In ogni caso essa potrebbe svolgere un ruolo importante nel secondo round. Nel suo piano di governo Castillo propone il cambiamento del modello economico, con rafforzamento della partecipazione dello Stato all’economia attraverso riforme strutturali (compresa quella costituzionale che porterebbe a un’economia di mercato popolare), la riforma agraria e la nazionalizzazione di settori strategici come l’estrazione mineraria, il gas, il petrolio, l’energia idroelettrica e le comunicazioni. Per quanto riguarda la sicurezza sociale, propone di rafforzare il sistema pensionistico nazionale e la graduale eliminazione degli amministratori privati e attribuisce grande importanza al salario minimo e a una revisione di tutti gli accordi commerciali. Egli minaccia, inoltre, di sciogliere il Congresso se le sue riforme non saranno approvate e di sciogliere la Corte costituzionale qualificata come mafiosa. In sintesi, Castillo è l’espressione del Perù dimenticato e delle regioni più povere contro il voto della capitale che guarda all’estero ma non all’interno del Paese. Anche per questo la sua candidatura è rimasta invisibile per tutta la campagna e nella capitale non ha ottenuto molti voti, essendo, appunto, la sua forza elettorale costituita dai territori decentrati delle province del Paese.
La traiettoria della seconda candidata, Keiko Fujimori, è meglio conosciuta. Dal 2016 Keiko controlla il Congresso peruviano, anche se ha perso consensi negli ultimi tempi, a causa delle accuse di corruzione e delle manovre politiche sbagliate del suo partito, Fuerza Popular, responsabile della crisi politica e istituzionale del Paese. Attualmente è in corso contro di lei un processo nel quale l’indagine della Procura è già conclusa ed è ora di fronte al giudice per accuse di criminalità organizzata, riciclaggio di denaro e altri reati. Keiko cerca per la terza volta di raggiungere la presidenza dopo aver trascorso quindici mesi in carcere preventivo per presunto riciclaggio di denaro nelle precedenti campagne elettorali. In caso di vittoria alle elezioni, il processo sarebbe sospeso fino al 2026. Nei suoi discorsi durante la campagna elettorale ha promesso «una mano dura per salvare nuovamente il Paese» e ha chiamato a raccolta i nostalgici di suo padre, l’ex presidente Fujimori, condannato nel 2007 a 25 anni di reclusione per gravi e massicce violazioni dei diritti umani commesse durante il mandato di governo (1990-2000), crimini di omicidio con tradimento, rapimento aggravato e lesioni gravi. In precedenza era stato giudicato colpevole anche dei reati di appropriazione indebita, appropriazione di fondi pubblici e falso ideologico a danno dello Stato. Keiko ha già annunciato che se sarà eletta presidente, concederà l’indulto al padre. Nel suo piano di governo propone un programma nazionale di salvataggio e ricostruzione a undici assi con misure a breve, medio e lungo termine per la creazione di occupazione e la riattivazione economica, attraverso l’iniziativa privata, lo sviluppo del settore agricolo e la promozione dell’acquacoltura. Sottolinea inoltre la necessità di equilibrare i conti fiscali e la promozione della sicurezza dei cittadini. Per quanto riguarda la sicurezza sociale, si propone di garantire il risparmio privato e propone, tra le altre misure, una riprogettazione dei sistemi pensionistici.
Come si vede, i risultati del primo turno riflettono un Perù polarizzato e intrappolato tra due tendenze radicali, peraltro coincidenti nel contrasto della “ideologia” o uguaglianza di genere, di per sé molto grave per tutte le donne e le ragazze del paese. La sessa sorte toccherebbe alle altre minoranze sessuali che vedrebbero i loro diritti più ridotti e soffocati. Questa è la foto del lato conservatore del Perù “moderno”. Nessuno dei due candidati, inoltre, garantisce la governabilità del paese. Se Castillo vincesse difficilmente avrebbe, nel Congresso, la maggioranza per far approvare le sue proposte e, a causa della fragilità democratica, alcuni pensano che in futuro potrebbe verificarsi un colpo di Stato o un processo di sua destituzione promosso dal Congresso. D’altra parte, se vincesse Keiko, si riprodurrebbero gli stessi vizi che hanno causato la più grande crisi politica del Paese, verrebbe sospeso un importante processo contro di lei e sarebbe garantito l’indulto al più grande dittatore del Paese. Ci troviamo, dunque, tra l’incudine e il martello o – come dice mio fratello con il quale ho avuto di recente un’accesa conversazione ‒ dobbiamo scegliere tra la peste e il colera.