Morti che ci riguardano

image_pdfimage_print

Il report pubblicato in questi giorni da Front Line Defenders (https://www.frontlinedefenders.org/sites/default/files/fld_global_analysis_2020.pdf) denuncia che nel mondo sono state uccise nel 2020 ben 331 persone che si battevano per i diritti umani e, spesso, per la salvaguardia del loro territorio, specialmente in America Latina e in Africa. Una bella cifra che dovrebbe essere sbattuta in faccia a coloro che criticano la sindrome di Nimby…

Ma, al di là di questa considerazione marginale, un’altra deve essere fatta: di questi eroi pressoché nessun media si occupa. Così, la gente, se va bene, ricorda Chico Mendes, e crede che la sua sia stata una uccisione isolata. La realtà, come visto, è ben più drammatica. Perché i media non si occupano di queste stragi? Probabilmente giocano più fattori: faccio due ipotesi.
Inconsapevolmente potrebbe esserci una componente razzista. Gli uccisi sono in buona parte indigeni e gli indigeni sono considerati inferiori ai bianchi, e, in particolare, agli occidentali. Se viene ucciso Giulio Regeni è sacrosanto avere enne notizie, servizi, approfondimenti, inviati, conferenze stampa; su chi muore proteggendo il proprio territorio può calare il silenzio.
Ma ci può essere un’altra componente più o meno inconsapevole: queste morti sono in buona parte danni collaterali del nostro sviluppo. In fondo, ci può stare che per deforestare, per creare pascoli, per aprire una nuova miniera d’oro, per estrarre altro petrolio, per coltivare oppio ci siano anche dei morti: è lo sviluppo che avanza.

Ma, a parte la carenza dell’informazione, vi è un altro aspetto da considerare: non è perché queste morti avvengono dall’altra parte del mondo che non ci riguardano. Certo, è vero che la stragrande maggioranza degli omicidi avviene in paesi non democratici o pseudo-democratici, ma spesso noi occidentali usufruiamo dei beni contro la cui depredazione i locali combattevano. E qui subentra il concetto di “responsabilità”, che implica anche una revisione del concetto di “libertà”: noi siamo liberi di fare benzina, di acquistare un gioiello d’oro, di mangiare carne, ma è un po’ come il battito d’ali della farfalla di Lorenz: le conseguenze si possono verificare a migliaia di chilometri da noi. Facile dire che la nostra libertà cessa dove comincia quella altrui, ma nel mondo globalizzato occorre superare il concetto di vicinanza.

Per chi volesse approfondire la tematica delle lotte degli indigeni contro le multinazionali consiglio il libro Guerre interne, di Joseph Zarate; tre piccole storie, passate naturalmente inosservate, che denunciano la crudeltà dello sviluppo (http://ilparatesto.altervista.org/guerre-interne-joseph-zarate-gran-via/?doing_wp_cron=1615122910.3317859172821044921875).

Gli autori

Fabio Balocco

Fabio Balocco, nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (in quiescenza), ma la sua passione è, da sempre, la difesa dell’ambiente, in particolare montano. Ha collaborato, tra l’altro, con “La Rivista della Montagna”, “Alp”, “Meridiani Montagne”, “Montagnard”. Ha scritto con altri autori: "Piste o peste"; "Disastro autostrada"; "Torino. Oltre le apparenze"; "Verde clandestino"; "Loro e noi. Storie di umani e altri animali"; "Il mare privato". Come unico autore: "Regole minime per sopravvivere"; “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino”; "Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni"; "Per gioco. Voci e numeri del gioco d'azzardo". Collabora dal 2011, in qualità di blogger in campo ambientale e sociale, con Il Fatto Quotidiano.

Guarda gli altri post di: