Il Perù, l’ex capitale degli Incas, si è risvegliato da un apparente letargo a seguito della decisione del Congresso di destituire il Presidente della Repubblica Vizcarra accusandolo di atti di corruzione, tutti da dimostrare, risalenti all’epoca in cui era governatore di Moquegua. Vizcarra aveva assunto l’incarico nel marzo 2018 a seguito delle dimissioni del presidente Kukzynski, accusato di favoreggiamento, di cui era vicepresidente e avrebbe dovuto guidare il Paese fino alle prossime elezioni dell’aprile 2021. La mozione che ne ha dichiarato l’incapacità permanente è stata approvata dal Congresso il 9 novembre, con 105 voti a favore, 19 contrari e 6 astensioni. Il presidente destituito è stato sostituito da Merino de Lama, ex Presidente del Congresso.
La decisione è intervenuta in un momento in cui il Congresso ha perso ogni legittimità e credibilità perché più della metà dei parlamentari hanno procedimenti giudiziari in corso per corruzione, riciclaggio, favoreggiamento ecc.
E non c’è solo questo. Nel settembre 2019 Vizcarra, a seguito del secondo voto contrario nella fiducia al Consiglio dei Ministri, aveva sciolto il Congresso: un Congresso che, tra l’altro, stava bloccando le indagini sul caso Odebrecht che hanno portato all’arresto di tre ex presidenti Toledo, Humala e Kukzynski e al suicidio dell’ex presidente Alan Garcia. Inoltre Vizcarra aveva varato una riforma dell’istruzione che prevedeva la sospensione, per mancanza dei necessari requisiti, della licenza a decine di università private, molte delle quali proprietà di parlamentari dell’attuale Congresso. Ciò aveva creato un forte risentimento nei suoi confronti. Non è certo un caso che, appena un giorno dopo la sua destituzione, la Commissione per l’Istruzione del Congresso abbia messo all’ordine del giorno la discussione di cinque progetti di legge per ridare la licenza a tali università.
Dopo la destituzione di Vizcarra, nonostante il Perù sia uno dei paesi più colpiti dalla pandemia, milioni di cittadini provenienti da tutte le regioni sono scesi in piazza per protestare contro una decisione che molti definiscono un colpo di Stato. Illustri giuristi e la stampa libera accusano, infatti, Merino e la maggioranza del Congresso di avere fatto ricorso in modo illegittimo all’art. 117 della Costituzione che prevede le cause di destituzione del presidente della Repubblica.
Alla base della esplosione sociale e delle grandi manifestazioni c’è la stanchezza della popolazione per la corruzione della classe politica (che spesso agisce in complicità con altri poteri, come la magistratura). Basti pensare che nell’ottobre 2018 Keiko Fujimori, leader del partito Forza Popolare che aveva la maggioranza nel Congresso, è stata arrestata con l’accusa di riciclaggio per finanziare la sua campagna elettorale.
La mobilitazione ha visto ancora una volta come protagonisti i giovani, definiti “giovani del bicentenario”, che hanno subito una repressione selvaggia da parte delle forze armate e della polizia a cui il nuovo presidente Merino, imprimendo al Governo una forte virata autoritaria, ha assicurato l’impunità per le lesioni e addirittura le uccisioni provocate con l’uso di armi o di altri mezzi di contenzione nella repressione delle manifestazioni. Al momento ci sono già due vittime di 22 e 24 anni e più di 100 arrestati. Le organizzazioni internazionali, hanno espresso preoccupazione per le azioni della polizia negli eventi che si sono verificati dal 9 novembre, compresi gli arresti di alcuni manifestanti adolescenti. Anche l’ONU ha ricordato al Governo il dovere di rispettare il Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Nonostante la repressione le proteste non si sono fermate e sono continuate in maniera insistente costringendo Merino a rinunciare alla Presidenza appena cinque giorni dopo averla assunta.
A questo punto si è creata una nuova crisi politica. Tra l’altro si aspetta l’imminente decisione del Tribunale Costituzionale che deve verificare la legittimità della revoca di Vizcarra. Le organizzazioni sindacali, la stampa libera, centinaia di movimenti sociali, accademici, avvocati, gruppi indigeni stanno sostenendo con dichiarazioni pubbliche la necessità di porre fine alla corruzione e di rinnovare il Paese attraverso un processo costituente. Chiedono, ispirandosi all’esperienza cilena, la formazione di un’Assemblea del popolo per avviare tale processo. Ed è sempre più evidente la necessità, per un processo democratico sostenibile nel tempo, di una soluzione politica comprensiva di un dialogo sociale con nuovi attori che godano di una riconosciuta legittimazione.
La società civile non si fermerà. La gioventù peruviana ha dato l’esempio ai vecchi partiti. E risuona la frase pronunciata nel 1888 dal grande peruviano Gonzalez Prada (Que vengan árboles nuevos a dar flores nuevas y frutas nuevas! los viejos a la tumba, los jovenes a la obra!, “Che nuovi alberi producano nuovi fiori e nuovi frutti! I vecchi alla tomba, i giovani al lavoro!”) per invocare il rinnovamento della classe politica.