Generalmente, parlando degli Stati Uniti (spesso identificati sbrigativamente con l’America), i nostri media, soprattutto nell’era pre-Trump, hanno definito questo grande e contraddittorio Paese come la «più grande democrazia del mondo». Non sono d’accordo. Come ha osservato il sociologo argentino Atilio Borón, la parola «democrazia» non compare neppure una volta nel testo costituzionale del 1787, a differenza della parola «libertà», intesa in maniera alquanto astratta (https://www.alainet.org/es/articulo/200838); inoltre, secondo l’opinione del politologo Robert Dahl, esso sarebbe caratterizzato dalla presenza di elementi aristocratici, come l’elezione indiretta dei senatori e del presidente, carica che – come si è visto – può essere attribuita a chi ha raccolto una quantità minore di voti popolari.
Ma passiamo alla questione della pandemia, che ha provocato quello che gli statunitensi chiamano lo shutdown il 22 di marzo. Oggi, 26 aprile, sappiamo – secondo i dati forniti dalla John Hopkins University ‒ che negli Stati Uniti i morti positivi al coronavirus sarebbero circa 52.000, mentre i contagiati si avvicinerebbero al milione. Di fonte a questa drammatica situazione Donald Trump si è divertito con una proposta, da lui stesso definita sarcastica, secondo la quale per combattere il virus si potrebbe fare un’iniezione di disinfettante. Dinanzi a tali prese di posizione non troviamo risposta alla sacrosanta e altrettanto banale domanda: come è possibile che le élites americane abbiano potuto mettere il loro paese di tali mani? Ho raccolto da colleghi che vivono negli Stati Uniti e a New York, principale epicentro della malattia, le notizie che darò sulla situazione emergenziale di quel Paese, anche se debbono essere costantemente aggiornate.
Un primo aspetto da sottolineare è che Trump ha anteposto le esigenze economiche alla necessità di prendere misure per isolare il virus, come il confinamento e i tamponi a vasto raggio. Neppure dopo gli interventi dell’Organizzazione mondiale della salute e i primi segnali del contagio, Trump e i governatori dei vari Stati hanno approntato misure preventive; oltre a ciò, in più occasioni il presidente ha dichiarato che il Paese era preparato ad affrontare ogni emergenza e che non era stato costruito per rimanere paralizzato senza produrre. Inoltre, ha mostrato di sostenere con i soliti twitter le proteste dei lavoratori bianchi, probabilmente in maggioranza suoi elettori, per sollecitare la riapertura delle attività produttive.
In secondo luogo, elementi aggravanti della situazione stanno nel sistema sanitario e farmaceutico nazionali che non forniscono l’assistenza medica universale come dovrebbe avvenire in tutti i paesi civili. Vediamo la testimonianza del sociologo Juan Cruz Ferre, intervistato dalla Rete internazionale Izquierda Diario, di cui cura l’edizione statunitense. Cruz Ferre afferma che negli Stati Uniti il sistema sanitario è completamente mercificato: ciò significa che hanno accesso alle cure solo coloro che le possono pagare o che hanno un salario che comprende le spese sanitarie, assai spesso escludendone alcune. Prima che scoppiasse l’epidemia vi erano 30 milioni di persone prive di assistenza sanitaria e circa 55 milioni che potevano godere solo di alcune cure secondo criteri stabiliti dalle assicurazioni. A tutti questi bisogna aggiungere coloro che in seguito alla crisi hanno perso il lavoro (forse altri 26 milioni di persone) e con esso il diritto all’assistenza medica. Se ti ammali ti faranno gratuitamente il test, ma poi dovrai pagare il trattamento, che nei casi più gravi può arrivare a 20.000 dollari. Anche nel caso in cui tu abbia l’assicurazione, ci sono delle spese che essa non copre che possono ammontare in media a 1.500 dollari. Se ti rechi in un ospedale perché sei malato, non ti rifiutano le cure anche se non sei assicurato, ma poi ti manderanno a casa il costo del trattamento e sarai perseguito da agenzie organizzate allo scopo fino a che non avrai saldato il conto.
Secondo dati statistici negli Stati Uniti circa il 25% della popolazione non può curarsi perché non è in grado di pagare le spese mediche, un altro 56% ha seri problemi ad affrontare i costi di una malattia.
L’infermiera, di origine asiatica, Tre Kwon, operante nell’ospedale Sinai di New York, ci dà invece informazioni sulle modalità delle cure, facendo presente la mancanza di tutti quei dispositivi sanitari indispensabili a salvaguardare la salute del personale medico e dei mezzi per disinfettare gli strumenti. Fatto confermato da altre proteste realizzatesi presso altre strutture sanitarie, per esempio a Brooklin, dove i lavoratori hanno protestato perché debbono lavorare fino a 16 ore senza nemmeno mangiare e portandosi mascherine improvvisate da casa. Tre Kwon, un’infermiera sindacalizzata, sottolinea che, data la scarsità dei respiratori, dinanzi ad un paziente giovane e non affetto da altri problemi si dà la preferenza a quest’ultimo lasciando a se stesso un paziente di più di 60 anni con una precedente storia clinica. Fa anche notare che molti infermieri e medici si sono ammalati, vedendosi rifiutare il diritto di restare a casa per 14 giorni, e trovandosi costretti a tornare al lavoro solo dopo 3 giorni, magari con la febbre a rischio di infettare il personale sano.
Un terzo fattore che ha inciso sulla diffusione del virus tra la popolazione è che settori come quello del fast food hanno continuato a lavorare, impedendo ai lavoratori di proteggersi dall’eventuale contagio. In seguito alla diffusione della malattia tra questi ultimi, alcuni di essi si sono messi in sciopero accanto ai lavoratori della distribuzione e della logistica, come i dipendenti della celebre Amazon, che tra l’altro in questo periodo ha registrato guadagni miliardari. Purtroppo, l’attuale pandemia non agisce democraticamente, dato che colpisce soprattutto i lavoratori più esposti, come quelli del commercio, quelli che lavorano in nero e che non possono mettersi in malattia, e i membri delle comunità afroamericane e latine, mentre sono più sicuri tutti coloro cui è consentito rimanere a casa con un reddito sicuro. Coloro che chiudono le loro attività produttive e commerciali per la flessibilità lavorativa possono, poi, disfarsi senza nessun problema dei loro dipendenti, che non hanno diritto a nessun sussidio di disoccupazione. Si è cercato di dare una soluzione al problema, tenendo conto che il numero dei disoccupati ha superato quello record raggiunto durante la grande depressione: il congresso ha stanziato la vertiginosa cifra di 2.200 bilioni dollari, ma di essi soltanto il 25% andrà ai lavoratori stremati da questa crisi e che fanno lunghissime file per ottenere qualcosa da mangiare da associazioni caritatevoli. Il resto andrà alle banche e alle grandi corporazioni, mentre i lavoratori dovranno accontentarsi per ora di 1.200 dollari, assegnati da un’agenzia non in grado di rispondere rapidamente alle richieste e sufficienti appena a sopravvivere per 15 giorni (http://www.laizquierdadiario.com/LID-Internacional-Como-se-convirtio-Estados-Unidos-en-el-centro-de-la-pandemia-mundial).
Da questo drammatico quadro emerge che gli Stati Uniti sono un paese caratterizzato da forti disuguaglianze, che non garantisce ai suoi cittadini il rispetto di diritti essenziali come quello alla vita e alla salute e quindi, nella sostanza, antidemocratico e antipopolare. A seguito del ritiro dalla campagna elettorale di Bernie Sanders, del resto alquanto moderato (per esempio, non hai mai criticato le sanzioni contro Cuba e il Venezuela), molti statunitensi, come Tre Kwom, auspicano che si costituisca un partito equidistante da democratici e repubblicani, strettamente legati al potere economico e politico oligarchico, e che operi per realizzare un radicale cambio della struttura sociale del Paese e nella sua politica estera.