Il 27 marzo 2020 è stata pubblicata in Portogallo l’Ordinanza Interministeriale n. 3863-B/2020 per determinare la gestione delle prenotazioni e degli appuntamenti per il rilascio o il rinnovo dei permessi di soggiorno, in modo da garantire inequivocabilmente i diritti di tutti i cittadini stranieri con procedure pendenti presso il Servizio per gli Stranieri e le Frontiere – SEF, nell’ambito di COVID-19.
Con questa Ordinanza, nel caso di cittadini stranieri che hanno presentato richieste ai sensi della Legge sull’immigrazione (n. 23/2007, del 4 giugno, nella sua versione attuale) o che hanno presentato richieste ai sensi della Legge di asilo (n. 27/2008, del 30 giugno, modificata dalla legge n. 26/2014, del 5 maggio), la permanenza nel territorio portoghese è considerata regolare, a condizione che il SEF abbia ricevuto la richiesta di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno prima del 18 marzo incluso, quando fu dichiarato lo stato di emergenza nazionale.
La ricevuta della domanda presentata al SEF o la prenotazione per consegnare la domanda costituiscono così documenti che attestano la regolarità del cittadino straniero in territorio nazionale. Questi documenti sono considerati validi in tutti i servizi pubblici, nello specifico ai fini di: ottenere il numero utente per accedere ai servizi pubblici, avere accesso al servizio sanitario nazionale o altri diritti di assistenza sanitaria, accedere a prestazioni di assistenza sociale, firmare contratti di affitto e di lavoro, aprire conti correnti bancari e attivare servizi pubblici essenziali.
Va osservato che tutti gli sportelli del SEF sono chiusi dal 30 marzo al 30 giugno e che l’assistenza diretta è prevista (previa autorizzazione del direttore regionale competente) solo per i casi considerati urgenti. Secondo l’Ordinanza, le situazioni che possono essere considerate urgenti sono quelle di chi ha bisogno di viaggiare o dimostra l’urgente e indifferibile necessità di assentarsi dal territorio nazionale per motivi imponderabili e inevitabili e di chi ha subito furto, rapina o perdita di documenti. Il SEF procederà alla riprogrammazione degli appuntamenti previsti a partire dal 1º luglio, in ordine cronologico e garantendo così la parità di trattamento dei cittadini stranieri (https://imigrante.sef.pt/covid-19/).
Infine, l’articolo 16 del Decreto-Legge n. 10-A/2020, del 13 marzo, prevede che i visti e i permessi di soggiorno scaduti dopo il 24 febbraio 2020 sono validi fino al 30 giugno dello stesso anno e devono essere accettati dalle autorità pubbliche per tutti gli scopi legali.
L’Ordinanza Interministeriale in esame è una iniziativa utile nell’ambito di COVID-19, visto che riguarda la necessità di ridurre i rischi per la salute pubblica negli sportelli, sia per i lavoratori del SEF che per i migranti. La sua importanza per la salute riguarda anche l’accesso al sistema sanitario nazionale per i migranti che sono equiparati ai cittadini portoghesi.
In condizioni normali, gli stranieri che non hanno un permesso di soggiorno devono pagare tutte le spese sanitarie sostenute (come se avessero usufruito del servizio sanitario privato). Fanno eccezione i casi delle malattie trasmissibili (per es. HIV o tubercolosi) che rappresentano un pericolo o una minaccia per la salute pubblica (https://www.dgs.pt/ficheiros-de-upload-2013/manual-de-acolhimento-no-acesso-ao-sistema-de-saude-de-cidadaos-estrangeiros-pdf.aspx). Lo straniero irregolare che si trova in questa situazione, dovrebbe presentare il certificato di residenza rilasciato dal Comune che attesta la sua residenza in territorio portoghese da almeno novanta giorni. Gli sportelli dei Comuni però – come si è detto – sono chiusi da quando è stato dichiarato lo stato de emergenza (18 marzo), con assistenza diretta solo per i casi considerati urgenti, per cui non sarebbe possibile ai migranti irregolari accedere facilmente al servizio sanitario. Di qui il cambiamento provvisorio realizzato con l’Ordinanza nell’ambito di COVID-19.
L’Ordinanza è ancora più rilevante per l’accesso ai benefici sociali (assistenza sociale). Nella normalità anche se un migrante irregolare riesce a iscriversi al sistema di Previdenza Sociale e contribuisce con le tasse, non è coperto dal regime di protezione sociale, poiché per accedere ai benefici deve aver un permesso di soggiorno in Portogallo. Con la regolarizzazione provvisoria nell’ambito del COVID-19, i migranti con procedure pendenti al 18 marzo hanno la possibilità di chiedere l’assistenza sociale, inclusa quella creata durante la pandemia: per esempio il beneficio per l’isolamento profilattico, il congedo di malattia, la disoccupazione, l’assistenza a figli minorenni malati o a casa per chiusura scuole (https://covid19estamoson.gov.pt/medidas-excecionais/#trabalhadores).
L’Ordinanza prevede anche che i migranti con procedure pendenti possano firmare contratti di affitto. L’importanza di questa previsione non consente solo di avere un alloggio, ma assicura anche gli altri diritti di locazione previsti nei contratti. Inoltre, il Decreto-Legge n. 10-A/2020 ha vietato gli sfratti durante il periodo dello stato di emergenza e attualmente il Parlamento ha inviato per la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica una proposta di legge per sospendere il pagamento degli affitti e la prescrizione dei contratti fino a 30 giorni da quando lo stato di emergenza sarà finito. Ciò vuol dire che la possibilità di firmare un contratto d’affitto garantisce protezione più ampia a questi stranieri.
Tuttavia, l’effetto dell’Ordinanza Interministeriale è anche limitato.
Solo coloro che avevano una richiesta pendente al SEF fino al 18 marzo (incluso) sono presi in considerazione da questa regolarizzazione provvisoria. I migranti che non hanno potuto prenotare o avere appuntamenti prima della dichiarazione dello stato di emergenza dovranno aspettare fino al 1º luglio per iniziare le loro procedure, rimanendo vulnerabili durante la lotta contro il COVID-19. Inoltre, i migranti che rientrano nelle situazioni previste dall’Ordinanza non hanno accesso totale ai diritti come se fossero veramente regolarizzati, visto che non possono accedere ai servizi non previsti nella misura, per esempio il rilascio della patente di guida.
Va osservato anche che, essendo una misura provvisoria, le domande per il rilascio o il rinnovo dei permessi di soggiorno saranno valutate dopo il 1º luglio. Ciò vuol dire che alcuni migranti regolarizzati provvisoriamente potranno tornare allo status di irregolari, se la decisione finale del SEF in merito alla domanda risulterà negativa.
Infine, è importante ricordare che nel 2019 il SEF, a causa della mancanza di risorse umane, si è trovato in difficoltà a fissare le prenotazioni degli stranieri che chiedevano il rilascio o il rinnovo dei permessi di soggiorno (https://tvi24.iol.pt/sociedade/17-08-2019/sef-nao-aceita-mais-marcacoes-para-atendimento-de-imigrantes-ate-ao-final-do-ano). Dopo il 1º luglio è probabile che la situazione torni a complicarsi a causa delle riprogrammazioni, previste dall’Ordinanza Interministeriale, dei rinnovi dei documenti scaduti dopo il 30 giugno (in conseguenza del disposto nell’articolo 16 del Decreto-Legge n. 10-A/2020), che si andranno ad aggiungere ai casi che dovrebbero arrivare normalmente.
I meccanismi di regolarizzazione in Portogallo sono presenti nella legislazione da molto prima dell’Ordinanza. Tuttavia, la questione dell’applicazione della legge è sempre stata il “tallone d’Achille” portoghese, in cui la burocrazia e la mancanza di risorse umane trovano sempre un modo per limitare o ostacolare il pieno accesso ai diritti, sia permanenti che provvisori. Se la situazione del COVID-19 porta a garantire inequivocabilmente i diritti di tutti i cittadini stranieri, bisognerebbe anche valutare come questi diritti saranno protetti e accessibili dopo lo stato di emergenza.
da http://www.coordinamentomigranti.org
Il Covid-19 rende impossibile ignorare il lavoro migrante. Per mandare avanti la vita di quarantena milioni di badanti garantiscono la cura degli anziani, donne migranti puliscono ospedali, operai giunti da ogni parte del mondo fanno funzionare le fabbriche, i magazzini della logistica, fanno arrivare le merci nei supermercati e persino i cibi sulle tavole. In Italia come in Europa, in questa lunga primavera appesantita dal corona virus, governanti, imprenditori e grandi catene della distribuzione ripetono preoccupati che c’è bisogno di lavoratori migranti per lavorare la terra e raccoglierne i frutti. In questa situazione la ministra Bellanova, che ipotizza una sanatoria per regolarizzare chi non ha i documenti, è la peggior amica dei migranti, soprattutto di quelli impiegati in agricoltura che dovrebbero lavorare per miseri voucher. Bisogna diffidare di chi ti spinge al lavoro proponendo improvvisamente una sanatoria o una regolarizzazione in cambio del tuo sfruttamento più intensivo e magari della tua vita. Molti, come lei o diversamente da lei, hanno riscoperto la parola magica della sanatoria, che una volta nominata accende nei migranti speranze e li predispone a sacrifici di tutti i tipi. La sola voce di una sanatoria fa nascere un mercato drogato di titoli di residenza e di contratti di lavoro. Ciò nonostante anche all’interno della crisi sanitaria, si trova chi pensa che i migranti debbano essere sanati. Ma davvero ciò che oggi dobbiamo chiedere una sanatoria? Davvero possiamo permettere che la legge Bossi-Fini sia la normalità dello sfruttamento del lavoro migrante, affidando a una sanatoria o una regolarizzazione estemporanea la gestione dell’emergenza? Davvero i migranti devono essere “premiati” occasionalmente per qualcosa che fanno comunque tutti i giorni?
Sull’isola di Lesbo, migliaia di donne e di uomini lottano contro le politiche migratorie europee che li trattano come se fossero loro il virus. Su tutte le frontiere si sono aumentati i controlli, quelle esterne all’Europa sono serrate e il trattato di Schengen è sospeso. Quello che si è presentato come il governo della discontinuità ha deciso di dichiarare l’Italia un porto non sicuro. Sembrerebbe lo scenario ideale per tutti i sovranisti che odiano i migranti, eppure mai come adesso si chiede ai migranti di restare nei paesi dove sono arrivati per continuare a lavorare. Ora sono le braccia che garantiscono che il cibo arrivi nei supermercati e le mani che curano gli anziani… e poco importa che corrano il rischio di essere contagiati anche quando non lavorano perché sono ammassati nelle strutture di accoglienza. Chi vive in questi luoghi è in pericolo di contagio anche quando sta “a casa”. In Germania ci sono state rivolte e dovunque c’è insofferenza. I CRA francesi, in cui vivono centinaia di migranti, sono teatro di proteste e scioperi della fame da una decina di giorni, per ottenere una chiusura immediata dei centri e una ridistribuzione dei migranti in luoghi più sicuri. Il governo spagnolo ha dovuto chiudere i centri di identificazione ed espulsione. In Italia, il sovraffollamento dei centri come il Mattei di Bologna mette in pericolo la vita di migranti e operatori.
Al tempo del corona virus, molti migranti hanno perso il lavoro, altri sono costretti a usare le loro ferie per coprire la chiusura delle attività. Molti altri invece sono costretti a lavorare per un padrone che gli dà un salario misero e in uno Stato che gli dà un permesso di soggiorno che rimane breve e precario. In Emilia-Romagna, come in Lombardia, dalle strutture di accoglienza si va a lavorare tutti i giorni e tutte le notti, come e più di prima: cooperative e agenzie interinali utilizzano i richiedenti asilo per sostituire i lavoratori della logistica malati, assenti o in sciopero. Mentre la distribuzione dovrebbe essere limitata ai beni essenziali, i padroni dei magazzini vogliono che il lavoro continui per smistare merci di ogni tipo. Molte donne migranti lavoratrici domestiche si ritrovano da un giorno all’altro non solo senza lavoro ma anche senza casa, altre non sanno come sostenere i loro figli in mancanza di salario e senza sussidi e quindi sono costrette a lavorare a rischio di contagio.
Chi ha un permesso scaduto o in via di scadenza, chi ha ricevuto un diniego e attende l’esito del ricorso è abbandonato a se stesso, senza la possibilità di trovare un regolare contratto di lavoro, né una casa in affitto in cui proteggersi dal virus, in alcuni casi senza una valida tessera sanitaria. Attualmente le procedure per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno sono sospese, e i permessi in scadenza sono prorogati fino al 15 giugno. Ma, finita questa emergenza, sarà ancora richiesto avere un contratto di lavoro e un determinato reddito? Quando torneremo alla normalità, i migranti e le migranti che durante l’emergenza hanno perso il lavoro o hanno visto ridotto orario e salario dovranno ancora sottostare ai requisiti di legge per rinnovare il permesso? Cosa succederà ai tanti richiedenti asilo messi al lavoro per garantire i consumi “essenziali” di chi ha una casa per difendersi dal virus? Le commissioni territoriali considereranno le loro storie di sfruttamento come eroiche? Concederanno il diritto di restare? A quali condizioni? Che cosa se ne faranno i migranti e le migranti della normalità visto che loro vivono sempre nell’eccezione?
Molti hanno visto nella regolarizzazione in Portogallo una politica da seguire. In realtà, mentre cercava di controllare la diffusione del virus, il governo portoghese ha anche badato alle esigenze della raccolta nei campi visto che il permesso concesso varrà soltanto fino a luglio. Anche per altri governi europei in questo momento la necessità non è espellere, ma trattenere donne e uomini migranti la cui forza sta anche nella scelta di muoversi: tornare nel paese di provenienza o restarci, scioperare e assentarsi dal lavoro o rifiutare il lavoro a chiamata sono azioni individuali, ma praticate in massa che esprimono il rifiuto di lavorare in determinate condizioni, mettendo in gioco la propria vita per pochi soldi. Il governo italiano – come quello francese – sta cercando disperatamente di contrattare con l’est Europa la forza lavoro necessaria per far fronte alle esigenze della grande fabbrica verde del mezzogiorno e non solo. Gli accordi non tarderanno ad arrivare. Qualche forma di sanatoria magari verrà varata o più semplicemente saranno riaperte le quote di ingresso per lavoro stagionale e di cura. Misure temporanee, limitate e funzionali allo sfruttamento che coesistono con quelle europee di militarizzazione dei confini esterni. Per tutti questi motivi la rivendicazione di un permesso di soggiorno europeo incondizionato rimane centrale nella lotta transnazionale del lavoro migrante. Non è più possibile rivendicare la sanatoria in un solo paese sperando che gli altri governi europei seguano l’esempio portoghese o che queste misure possano essere applicate anche finita l’emergenza. Per sottrarre il lavoro migrante alla sua condizione di normale eccezione è necessario smontare il ricatto che le politiche europee impongono sulle vite dei migranti, sapendo che l’infame mercato che avviene sulla frontiera turca e i respingimenti nel Mediterraneo sono il presupposto del loro sfruttamento quotidiano. Solo un permesso di soggiorno europeo può farla finita con le normative europee e le legislazioni nazionali che fanno dipendere il permesso di soggiorno dal contratto di lavoro e dal reddito. Solo in questo modo, dopo tante chiacchiere al vento di esponenti del governo, si può pensare seriamente di abolire le leggi Salvini e di farla finita con la Bossi-Fini: questa è la rivendicazione che dobbiamo avanzare se vogliamo che la regolarizzazione non riproduca la condizione dello sfruttamento del lavoro migrante.