Il summit dei capi di stato e di governo dei BRICS (acronimo che designa congiuntamente Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) svoltosi a Brasilia il 13 e 14 novembre è stato accolto con un certo scetticismo. Jim O´Neill, l’economista che ha creato l’acronimo, ha messo in dubbio l’importanza del gruppo, dicendo addiritura che se essa non avesse avuto luogo nessuno lo avrebbe notato.
Una delle ragioni di un certa perdita di dinamismo dei BRICS è proprio la contrazione del ruolo del Brasile a partire dal 2015, dopo la crisi politica che si è abbattuta sul paese. Ho preso parte al percorso BRICS dall’inizio del gruppo nel 2008 e posso testimoniare che fino al 2014 il Brasile era, se non il motore, certamente uno dei motori del gruppo. Era un paese che proponeva, formulava e guidava negoziati. Un Brasile attivo e impegnato è mancato ai BRICS. Ma, infine, l’irrazionalità ha dei limiti. Il governo brasiliano ha abbandonato la gratuita ostilità verso la Cina, suo principale partner commerciale, ed è in corso un riavvicinamento fra i due paesi. A breve sembra che risulterà chiaro che l’allineamento agli USA e le concessioni unilaterali fatte dal governo brasiliano (ad esempio l’accesso alla base di Alcantara e la vendita a prezzi stracciati della Embraer) non portano gli effetti attesi.
Non è necessario ricapitolare le disillusioni che il goveno brasiliano ha avuto nel suo immaginato rapporto speciale con il governo Trump. Era assolutamnete prevedibile. Gli americani non rispettano, e neppure capiscono, comportamenti servili. E trattano con disprezzo i propri satelliti. Mi sono stancato di vedere ciò negli otto anni in cui ho lavorato a Washington, dal 2007 al 2015, sia nel FMI che nelle riunioni del G20. Il Brasile allora era altro, e si comportava come il grande paese che è.
Un incontro dei paesi BRICS al più alto livello politico ha sempre importanza.
Non si deve dimenticare che il gruppo riunisce quattro dei cinque giganti del mondo. Solo cinque paesi fanno parte allo stesso tempo della lista dei dieci maggiori Pib, territorio e popolazione. Questi cinque sono gli Stati Uniti e i quattro BRICS originali, cioè Brasile, Russia, India, Cina. Per questo, tra l’altro, ho intitolato il libro che ho pubblicato da poco “Il Brasile non sta nel cortile di nessuno” (ed. Boitempo).
Sono ben cosciente che il Brasile non si sta comportando al livello delle sue dimensioni. Da qualche tempo, e mi spiace dirlo, il nostro paese è un gigante con l’atteggiamento di un nano. Atteggiamenti non di rado umilianti, che dimostrano assenza di consapevolezza dell’importanza del paese stesso e di come funzionano le relazioni internazionali.
Due aspetti della politica estera hanno contribuito in particolare a pregiudicare nel 2019 la presidenza brasiliana dei BRICS e a svuotare in una certa misura il summit di Brasilia: l’allineamento del governo Bolsonaro agli Stati Uniti e, in collegamento a ciò, la cattiva conduzione delle relazioni con i vicini sud ameircani. Il Brasile è al momento visto come un paese senza voce e opinione proprie e ha perso l’influenza nella regione. Stona anche rispetto alle politiche estere della maggioranza dei paesi dei BRICS, che apprezzano la propria capacità di agire in modo autonomo e respingono, di conseguenza, allineamenti automatici. Si è quindi spezzata una tradizione stabilita nei summit dei BRICS, il cosiddetto outreach regional, cioè l’invito a paesi della regione per un dialogo con i leaders dei BRICS. Ad esempio nel 2014 al summit di Fortaleza presieduto da Dilma Rousseff erano presenti tutti i leaders dell’America del Sud, senza eccezioni. Adesso, le divergenze fra Brasile da un lato e Cina e Russia dall’altro riguardo al Venezuela e ad altre questioni hanno fatto venir meno l’outreach regional.
La situazione potrà cambiare? Difficilmente il Brasile sotto Bolsonaro tornerà a svolgere il ruolo che ha avuto nei BRICS e nella politica internazionale in generale. Ma è possibile che la posizione del paese migliori almeno un po’. C’è già stato qualche segnale nel summit di Brasilia. Ad esempio Bolsonaro in alcune dichiarazione ha dato segnali di equidistanza nella guerra commerciale USA-Cina. Il comunicato finale della riunione firmato dai leaders dei BRICS rinnova l’impegno per il multilateralismo e per l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico incontro tendenza con quanto auspicato dal governo Trump.
Il Brasile adesso passa la presidenza a rotazione alla Russia che guiderà le attività il prossimo anno. Ma nel 2020 spetterà al Brasile una decisione cruciale per il gruppo: l’indicazione del presidente del Nuovo banco di sviluppo/NBD, più noto come Banco dei BRICS. Questo banco è il meccanismo più importante creato dai cinque paesi. A Fortaleza è stato deciso che il Brasile avrebbe avuto il diritto di indicare il secondo presidente del NBD, con mandato di cinque anni a partire dal luglio 2020.
Il NBD procede in modo più lento di quello sperato, come ho spiegato in modo dettagliato nel mio libro. Uno dei motivi è la scelta infelice della prima amministrazione del banco, guidata dall’indiano K.V. Kamath, che non ha visione, guida e iniziativa adeguata. Sotto un comando debole, il NBD non ha ancora mostrato le sue potenzialità nella maggior parte delle aree. Fra 2020 e 2021 tutta l’alta amministrazione, il presidente e i quattro vicepresidenti, saranno sostituiti come previsto dagli accordi. I BRICS hanno così l’ opportunità di rilanciare e ridinamizzare questa che è la principale realizzazione pratica fino ad ora.
Traduzione di Teresa Isenburg (da Carta Capital)