Lula Livre

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Finalmente. L´8 novembre, dopo un anno e sette mesi, l’ex presidente del Brasile Luis Inácio Lula da Silva è uscito dalla cella della Polizia Federale di Curitiba nello Stato del Paraná, dove si trovava dal 7 aprile del 2018. La sua liberazione è un effetto della decisione del giorno prima del Supremo Tribunal Federal (con funzioni altresì di Corte Costituzionale) che ha dichiarato non eseguibile la sentenza di condanna prima del passaggio in giudicato (trânsito em julgado), ovvero del terzo e ultimo grado di giudizio, in forza dell’art. 5, comma LVII della Costituzione del 1988 secondo cui «nessuno sarà considerato colpevole fino al passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna» («Ninguém será considerado culpado até o trânsito em julgado de sentença penal condenatória»). La decisione revoca un provvedimento anteriore dello stesso tribunale, del 2016, che consentiva la detenzione dei condannati in secondo grado. Nei due casi la differenza di voti è stata la stessa: 6 a 5 a favore nel 2016, e 6 a 5 contrari in quella attuale (decisivo il voto del presidente Dias Toffoli).

Ma le vicende giudiziarie del presidente Lula non sono finite. Egli è stato condannato per avere, secondo l’accusa, beneficiato di un appartamento su tre piani sulla costa di San Paolo messo a sua disposizione da una delle società di costruzioni coinvolte nello scandalo della corruzione di Petrobras e si aspetta fra pochi giorni la sentenza relativa a un altro affaire, relativo a presunti favori a un’impresa in cambio della ristrutturazione di una proprietà rurale. Ci sono inoltre altri cinque processi in corso con una imputazione di corruzione.

Lula è stato accusato dal pool dell´operazione Lava-Jato di essere il capo di un’organizzazione criminale che avrebbe dirottato miliardi di reais attraverso un traffico di influenza fra imprese pubbliche (in primis la gigante statale Petrobras) e imprese private, con l´intermediazione di dirigenti pubblici e agenti politici. Ma l´accusa non è mai riuscita ad addurre prove convincenti di queste accuse: dopo tre anni di indagini non sono stati trovati fondi all´estero o conti bancari e nemmeno beni immobili che proverebbero l’arricchimento. Il valore commerciale dell’appartamento e della proprietà rurale è ridotto e la pena a cui è stato condannato esorbitante (da 9 a 12 anni) mentre il patrimonio personale di Lulae, che prima della prigione era tornato a vivere nello stesso appartamento della città industriale di San Bernardo do Campo dove viveva prima di diventare presidente, è modesto e compatibile con la sua condizione di ex presidente.

La difesa di Lula ha ripetutamente presentato ricorsi contro il pool della Lava-jato formato dal pubblico ministero, dalla polizia federale e dal giudice di primo grado Sergio Moro, per evidente parzialità. I ricorsi non sono mai stati accolti dai tribunali superiori; ma recentemente il sito Intercept Brasil del giornalista Glenn Greenwald ha pubblicato conversazioni private fra il pubblico ministero, la polizia e il giudice Moro che rivelano una combine fra le tre istituzioni. Di fatto era il giudice Moro che dirigeva, orientava e comandava l´operazione con interventi volti ad aggravare la posizione di Lula, esercitando allo stesso tempo la funzione di magistrato istruttore e giudicante. In vari interventi Luigi Ferrajoli ha messo in evidenza l’anomalia del processo non solo per la mancanza di prove, non solo per la sua accelerazione per impedire a Lula di candidarsi, ma anche per la totale e scandalosa mancanza di imparzialità. Contro Lula si è svolto un processo politico, inquisitorio, fondato su una petizione di principio: è vero tutto quello che conferma l´accusa; è falso e inaccettabile tutto quello che le smentisce» (vedi https://volerelaluna.it/rimbalzi/2018/04/08/lula-una-condanna-politica-in-un-processo-senza-regole/).

Dopo le rivelazioni dell´Intercept Brasil la tesi di Ferrajoli secondo cui Lula è stato vittima di un processo politico prende sempre più piede nell´opinione pubblica e nell´ambiente giuridico. La prossima mossa della difesa sarà quella di chiedere al Supremo Tribunal Federal l’annullamento di tutti i processi condotti dal giudice Moro per evidente parzialità e per gravi vizi di forma. Parzialità confermata quando, dopo aver ripetutamente affermato che non sarebbe mai entrato in politica, solo tre giorni dopo l´elezione di Bolsonaro Moro ha accettato la proposta del presidente di diventare il super ministro della giustizia: un conflitto di interessi gigantesco. Il giudice che aveva escluso Lula dalla campagna elettorale diventa il ministro di un presidente di cui, in quel modo, ha favorito l’elezione!

Al di là delle vicende giudiziarie, la questione principale che si pone ora è cosa farà Lula. È chiaro che l´opposizione al governo Bolsonaro, attualmente frammentata, ritrova in Lula il suo leader e catalizzatore “naturale”. Lula, nei suoi due interventi di questi giorni (uno appena uscito dalla prigione di Curitiba e l´altro davanti alla sede del sindacato dei metalmeccanici di San Bernardo), ha assunto toni duri contro l´estrema destra: ha attaccato frontalmente il governo Bolsonaro, il giudice Moro e quella che ha definito la “parte marcia” (banda podre) della polizia federale, del pubblico ministero e della giustizia. Ha inoltre attaccato la politica neoliberale del ministro dell´economia Paulo Guedes e ha promesso, fra venti giorni, una lettera al popolo brasiliano e una “carovana” che percorrerà tutto il Brasile.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Bolsonaro, nel suo stile, ha chiamato Lula “canaglia”; la destra non bolsonarista ha rafforzato le accuse a Lula e a Bolsonaro di essere due estremisti che polarizzano e radicalizzano, non aiutando il Paese a dialogare; la sinistra ha lanciato un grido di gioia liberatorio, da molto tempo trattenuto in gola.

Ma anche a sinistra ci sono posizioni divergenti: c’è un’ala più radicale (rappresentata per esempio dall’influente filosofo Wladimir Safatle), che nega la legittimità dell’elezione di Bolsonaro e afferma che già viviamo in un regime non democratico, ma golpista e fascista, con il quale è impossibile qualsiasi dialogo, ma c’è solo lo scontro. Questa componente critica la posizione storica di conciliazione di classe da sempre sostenuta da Lula. Un´altra ala, più moderata, rappresentata per esempio da Fernando Haddad, ex ministro dell´educazione di Lula e Dilma, ex sindaco di São Paulo e candidato del Partito dei lavoratori (PT) al secondo turno delle scorse elezioni presidenziali, mantiene una posizione più conciliante con l’obiettivo di recuperare una parte della classe media scontenta del PT, che aveva votato per protesta Bolsonaro. Bisognerà vedere se Lula riuscirà, come è riuscito fino ad oggi, a unificare le varie anime del PT e della sinistra per creare un blocco capace di riprendere l’iniziativa politica sul piano elettorale, ma anche e soprattutto su quello sociale, nel quale è in atto un violento scontro ideologico che alimenta la violenza verbale e fisica.

Il governo Bolsonaro non starà a guardare: bisognerà vedere se questa sfida, questa polarizzazione e radicalizzazione del discorso politico sarà contenuta dalle (fragili) regole del gioco democratico, o trasborderà al di fuori di esse. La presenza massiccia dei militari al governo, la contiguità sempre più chiara di Bolsonaro e del suo entourage con le milizie di ex-poliziotti con agganci nel mondo del crimine e della politica, la virulenza del discorso dei seguaci di Bolsonaro (in particolare i fondamentalisti evangelici) preoccupano. Il golpe militare che sta avvenendo in questi giorni in Bolivia con l’appoggio del governo brasiliano è un pessimo segnale per tutta l’America Latina.

Di certo c´è una cosa: chi aveva affermato che Lula era “un cadavere politico”, si dovrà ricredere: Lula è vivo e ritorna sulla scena politica da protagonista.

Gli autori

Giuseppe Tosi

Giuseppe Tosi è professore titolare del Dipartimento di Filosofia dell’Università Federale della Paraìba (UFPB). È stato coordinatore del Programa de Pós-laurea in filosofia (2000-2003) e del Programa de Pós-laurea in diritti umani, cittadinanza e politiche pubbliche (2012-2014), dei quali continua a fare parte. Prima di iniziare, nel 1989, la carriera universitaria ha operato come volontario internazionale con i contadini e gli indigeni in Perù (1978-1981) e in Brasile (1981-1989) in progetti del Ministero degli Affari Esteri italiano, promossi dal Movimento Laici America Latina (MLAL). Nel 2018 gli è stato conferito dall’Assemblea legislativa della Paraìba il titolo onorifico di cittadino paraibano.

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