Praga: la Cina era (troppo) vicina

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La chiamano Panda diplomacy, ovvero la pratica cinese di omaggiare con i simpatici plantigradi quei Paesi con cui il Regno di Mezzo vuole intrattenere floride relazioni diplomatiche. Oggi, alla luce delle crescenti ambizioni geopolitiche del Paese asiatico, il prestito dei panda giganti più che un dono sa di un vincolo per il Paese beneficiario, richiesto di rispettare pedissequamente la linea cinese, in particolare la cosiddetta politica di una sola Cina, che vuole vedere Taiwan considerata parte integrante della Repubblica Popolare Cinese.
Non è dato di sapere se il precedente sindaco di Praga Adriana Krnáčová, del partito ANO del primo ministro Andrej Babiš, nel febbraio 2016 avesse siglato l’accordo di gemellaggio tra Praga e Pechino perché bramava un panda per motivi di prestigio turistico, oppure se la promessa di munire lo zoo cittadino del simpatico orsacchiotto bianco-nero fosse una scusa per addolcire il boccone amaro dell’accettazione della politica della Cina. Fatto sta che l’attuale giunta comunale, capeggiata da Zdeněk Hřib, del partito dei Pirati, dopo alcuni tentativi di dialogo andati a vuoto, ha deciso di rescindere l’accordo di gemellaggio perché la parte cinese si è rifiutata di eliminare dal testo la clausola sul riconoscimento della Cina unica (clausola peraltro non presente in simili accordi di gemellaggio tra Pechino e altre grandi città occidentali).

Così facendo, il neosindaco Hřib ha virato bruscamente il timone del vascello municipale puntando la prua verso il lascito di Václav Havel che, amico personale del Dalai Lama, era sempre stato sostenitore della causa tibetana di cui aveva sposato le istanze di difesa dei diritti umani e politici, leit motiv di tutta la sua carriera politica e non solo. Da notare che, agli occhi cinesi, Hřib si era già macchiato del crimine di aver visitato Taiwan nonché, evidentemente non pago della baraonda creata, di aver incontrato il premier del governo in esilio del Tibet Lozang Sanggjä, atterrato a Praga su invito del festival di documentari sui diritti umani One World, accogliendolo addirittura con la bandiera tibetana issata su due edifici del municipio, a dimostrazione pubblica del sostegno per le rivendicazioni tibetane di una maggiore autonomia dalla Cina.

Da Pechino, intanto, arrivava un telegramma dell’ambasciata che si lamentava di come i cinesi facessero di tutto per umiliare i diplomatici cechi, tra l’altro disattendendo i piani di collaborazione economica concordati, almeno fino a quando i politici cechi non dimostreranno di essere allineati alla visione ufficiale cinese. In aprile, il presidente della Repubblica Zeman aveva pomposamente annunciato in Cina l’apertura della quinta linea diretta verso la Repubblica Ceca, ora misteriosamente cancellata, senza alcuna informazione. Altrettanto misteriosamente risulta annullata la tournée di due orchestre ceche nel fu Celeste impero.
D’altronde i cinesi non la mandano certo a dire, soprattutto nei confronti di Paesi come la Repubblica Ceca, che ai loro occhi appaiono microscopici, ma utili nella fragilità istituzionale che ne fa, per il Sol ponente, delle teste di ponte verso ben più interessanti vicini. Nella lettera con cui invita il Comune di Praga a cambiare approccio, infatti, l’ambasciata cinese di Praga scrive testualmente che «in caso contrario i suoi interessi saranno danneggiati». Se non è una minaccia… A fronte di ciò il presidente Zeman, da sempre grande sponsor della penetrazione cinese in Repubblica Ceca, si è affrettato, in una lettera al presidente Xi Jinping, a chiedergli di non interrompere i progetti di collaborazione ceco-cinesi prendendo apertamente le distanze dalle posizioni critiche del municipio praghese.

Il primo ministro ceco Andrej Babiš è il secondo uomo più ricco del Paese e, per quanto abbia puntato sulla carta populista per ovviare al vuoto di idee che caratterizza la sua carriera politica, da buon capitano d’industria apprezza le relazioni con l’Unione europea ove intrattiene fruttuosi business. Forse per questo non ha mai visto di buon occhio le pressioni in favore di Mosca e Pechino cui si deve piegare per non irritare Zeman, suo grande patron politico senza il quale il suo debole governo si dissolverebbe in un baleno.
Caso diverso quello del primo ceco più ricco, Petr Kellner, arricchitosi enormemente grazie al processo di privatizzazione dell’economia ceca nel transito dall’obsoleto ed elefantiaco socialismo a un capitalismo tanto scalpitante quanto sregolato, oggi titolare della Home Credit, spregiudicata finanziaria ingrassata sullo spesso oscuro business dei piccoli crediti al consumo (e relativi dolorosi pignoramenti). La Home Credit sta facendo grossi affari in Cina, cosa impossibile senza un solido appoggio politico. Vale la pena al proposito ricordare lo scandaloso viaggio del presidente ceco a Pechino (dove disse di esser venuto a imparare come stabilizzare la società) sul jet privato di Kellner, invece che sull’aereo di Stato.
Insomma, tanti sembrano essere gli interessi che alimentano l’ardore del dragone cinese, ma tutti di matrice prettamente privata dato che i grandi investimenti con cui Zeman aveva imbellettato la sua conversione confuciana non sono ancora pervenuti.

Morto Havel, nella Repubblica Ceca l’argine morale ed etico contro l’avanzata dei pragmatici è crollato. È stato Petr Nečas del partito di centrodestra ODS (Partito civico democratico), premier dal 2010 al 2013, ad avviare la stagione del silenzio sulla questione dei diritti umani nello scenario internazionale affermando che parlarne fa male al business. Poco è cambiato con il governo socialdemocratico di Bohuslav Sobotka, il cui forziere era affidato al pragmaticissimo tycoon Andrej Babiš. Naturalmente, ancor meno poteva cambiare quando quest‘ultimo è diventato primo ministro. Ma spesso la politica assomiglia, più che a una razionale disciplina del potere, a un teatro dell’assurdo. Ecco allora che, inaspettatamente, in un esecutivo prono sulle posizioni filo-russe e filo-cinesi del presidente Miloš Zeman, spunta uno spigliato e spregiudicato ministro degli Esteri, Tomáš Petříček, in quota dei socialdemocratici, che sposa la causa ucraina e non ha paura di parlare la lingua di Havel. Forse è anche grazie a lui, e alla rottura da parte sua del ghiaccio sulla colpevole omertà sulla difesa dei diritti umani, che anche i Pirati hanno trovato coraggio per la loro piccola battaglia comunale.

C‘è una riflessione che merita di essere rivolta a tutti coloro che, pur magari provando una silenziosa repulsione per il modo con cui la Cina tratta il dissenso (vedasi Tibet, Hong Kong, Xinjiang e via discorrendo), pensano che sia meglio soprassedere per non guastare gli affari con il prospero e sempre più ricco partner asiatico. La parola libertà non significa solo commerciare con chiunque, ma rimanda anche a quell’insieme di convenzioni giuridiche, politiche e sociali che di quella libertà sono base e supporto. Perché il sistema funzioni, però, tale libertà non può essere limitata al piano economico ma deve essere estesa al livello civile e politico. Quanto liberi vi sentireste in uno scambio con un partner che, facendo leva sulla sua forza economica, vi costringesse ad accettare ciò che per voi è inaccettabile, ad esempio pretendendo dichiarazioni contrarie alle vostre convizioni in cambio di lauti contratti? Ad ogni modo, se un plurireincarnato come il Dalai Lama, a Praga per il tradizionale Forum 2000 sui diritti umani voluto dal suo amico Havel, ha dichiarato che «il lascito e le idee di Václav Havel dureranno secoli», allora, forse, possiamo stare ancora tranquilli. Almeno per il momento.

Gli autori

Andreas Pieralli

Andreas Pieralli, nato a Firenze da famiglia italo-ceca, vive a Praga dove lavora come traduttore e pubblicista freelance. Si interessa di politica, società, economia e storia con particolare riferimento all'Europa centrale. Collabora regolarmente con la televisione pubblica ceca dove commenta l'attualità italiana e occasionalmente con la Rai per quella ceca. Dirige la sezione praghese dell'associazione Gariwo - Foresta dei Giusti fondata a Milano dallo storico e scrittore Gabriele Nissim.

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