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30/07/2019 di: Davide Lovisolo
Stati Uniti. Nel novembre 2012, alcune centinaia di lavoratori dei fast-food di New York scesero in sciopero per rivendicare un salario minimo di 15$. Non pensavano di dare l’avvio a un movimento su scala nazionale. Semplicemente, lottavano per ottenere un salario che consentisse loro di arrivare alla fine del mese, e magari avanzare qualcosina.
Nel giro di pochi mesi, quello che è diventato il movimento Fight for $15 si era diffuso in molte città, innescando un’ondata di proteste senza precedenti nel settore del fast-food. Le agitazioni, promosse dal sindacato Service Employees International Union (SEIU), nel 2013 si estesero a Chicago, Detroit, St. Louis, Milwaukee, Seattle, Flint e Kansas City. All’inizio, la richiesta stupì molti osservatori: era più del doppio del salario minimo legale, che era di 7.25$, ma per i lavoratori in lotta era il minimo per garantire un’esistenza decorosa.
Negli anni successivi il movimento si estese ad altri settori di lavoro sottopagato, coinvolgendo su scala nazionale dipendenti degli aeroporti, personale di assistenza, lavoratori di Amazon e Walmart; non solo, ma trovò sostegno a livello di amministrazioni locali (comunali e di singoli Stati), strappando leggi favorevoli in molte località importanti. La prima fu Seattle, seguita da Los Angeles, San Jose, San Francisco, New York City, Washington, Minneapolis-St.Paul, e dagli stati di California, Massachusetts e New York.
Nel 2016, Bernie Sanders mise la rivendicazione dei 15$ di salario minimo al centro della sua campagna elettorale, e grazie alla sua pressione l’obiettivo è entrato nella piattaforma del Partito Democratico; ma finora non erano seguite azioni concrete.
Ma il 16 luglio la Camera ha approvato, con 231 voti contro 199, il “Raise the Wage Act”, la Legge sui salari, presentata da Bernie Sanders e dal deputato Bobby Scott, che prevede l’aumento graduale del minimo a 15$ entro il 2025, dopo di che la cifra sarebbe legata all’inflazione; prevede inoltre l’abolizione del sub-minimo orario per i lavoratori che percepiscono mance, fermo da trent’anni alla cifra ridicola di 2.13$.
La legge si applica anche ai dipendenti federali (33 milioni) e potrà avere un impatto molto forte soprattutto sulle donne e sulla popolazione di colore, togliendo milioni di persone dalla condizione di povertà.
Solo sei parlamentari Democratici hanno votato contro, fatto abbastanza sensazionale, se si tiene conto che finora l’opposizione a provvedimenti del genere era molto forte fra i Democratici; sicuramente il fatto che la rivendicazione sia diventata molto popolare e abbia l’appoggio della maggioranza degli americani ha spinto molti a esporsi. Va anche detto che c’è probabilmente una componente opportunistica nel voto: la legge verrà quasi sicuramente bocciata in Senato, a maggioranza repubblicana, cosa che non farà troppo dispiacere a molti Democratici pesantemente legati alle Corporations. Tuttavia, la sua approvazione da parte di uno dei due rami del Parlamento ha dato nuova forza alle lotte, anche nell’eventualità di una sconfitta in Senato: il movimento sta aumentando la pressione su municipalità, Stati e sulle stesse imprese; uno dei primi obiettivi è McDonalds. La visibilità ottenuta e l’appoggio dell’opinione pubblica sono una grossa arma nelle mani dei lavoratori.
Infine, va rilevato che le mobilitazioni iniziali avevano un secondo obiettivo: il diritto a organizzarsi in sindacato, e che nel corso di questi anni il livello di organizzazione delle lotte è molto cresciuto. Nei lavoratori c’è la consapevolezza che senza sindacato, i diritti conquistati possono essere rapidamente erosi o annullati.
Un commento finale a uso interno nostro: invece di fare tante parole, i lavoratori americani ci mandano a dire che la lotta paga…
Le informazioni sono tratte da:
https://jacobinmag.com/2019/07/fight-for-15-minimum-wage-house-bill
https://www.thenation.com/article/the-fight-for-15-has-created-a-road-map-for-change/