CRONACA DEL PROCESSO AGLI INDIPENDENTISTI CATALANI / 15
Lunedì 20 maggio era previsto che iniziasse la quindicesima settimana del processo contro la leadership indipendentista, con gli ultimi testimoni e la celebrazione della nuova fase dedicata alle prove peritali. Ma il Tribunal Supremo ha dovuto autorizzare i cinque parlamentari eletti nelle scorse elezioni del 28 aprile, processati e in carcere da oltre un anno, a recarsi presso le rispettive Camere per ritirare le credenziali di deputato e senatore e poter così partecipare, il 21 maggio, all’atto d’insediamento delle Cortes a parità di condizioni con gli altri parlamentari. Così, Oriol Junqueras, Josep Rull, Jordi Sánchez, Jordi Turull alla Camera e Raül Romeva al Senato sono diventati i protagonisti dell’avvio della nuova legislatura spagnola, sommersi dal baccano e dalle interruzioni provenienti dai banchi della destra, soprattutto di Vox, nel momento in cui pronunciavano la promessa di rispetto della Costituzione, facendo riferimento alla loro condizione di prigionieri politici. Perciò il processo ha potuto riprendere il suo corso solo il mercoledì successivo, con i parlamentari eletti di nuovo sul banco degli imputati e alcuni loro colleghi a fare da accusa popolare.
A sfilare davanti alla Corte gli ultimi nove testimoni della difesa, per gran parte alti funzionari pubblici della presidenza del Parlamento catalano e dei dipartimenti Lavoro, Giustizia, Industria e Affari di Governo della Generalitat. Con loro, nel corso del dibattimento, sono state 422 le persone chiamate a testimoniare in merito ai fatti contestati dall’accusa.
Quindi è stato il momento delle prove peritali proposte da accusa e difesa, ossia del riscontro dei fatti attraverso l’analisi di fenomeni e teorie ad opera di esperti.
Sono una decina le perizie esaminate su diversi aspetti del processo, dalla traduzione di alcune dichiarazioni alla questione delle contusioni riportate dai poliziotti l’1 di ottobre. Parzialmente esclusa dal tribunale è la perizia relativa al documento “Enfocats” (rinvenuto il 20 settembre 2017 nel domicilio di Josep Maria Jové, braccio destro dell’allora vice-presidente della Generalitat Oriol Junqueras) a cui il pubblico ministero teneva particolarmente avendone fatto l’elemento dimostrativo della pianificazione della presunta ribellione. Uno dei due operatori della Guardia Civil chiamati dall’accusa in qualità di periti viene, infatti, ricusato dalla difesa per essere già comparso precedentemente come testimone. Alla fine, a seguito delle continue obiezioni dei difensori, lo stesso pubblico ministero rinuncia a tale prova.
Le perizie più corpose sono tre: la prima, proposta dal pubblico ministero e dall’Avvocatura dello Stato, relativa al finanziamento del referendum, tesa a dimostrare il delitto di malversazione di risorse pubbliche; la seconda, proposta dalla difesa di Jordi Cuixart, sulla resistenza non violenta, tesa a smontare il delitto di ribellione; la terza, proposta dall’accusa e accompagnata da una contro-perizia della difesa, sull’uso dei locali pubblici nell’evento dell’1 di ottobre.
Sono alte funzionarie del ministero delle Finanze (una delle quali consulente dell’allora ministro) le quattro perite chiamate dal pubblico ministero a illustrare l’importo del presunto finanziamento del referendum dell’1 ottobre con risorse pubbliche. Il totale della spesa generata, non necessariamente pagata, ammonterebbe a 917.648,39 euro. Le perite affermano che l’importante è la prestazione del servizio perché, anche se non c’è stato il pagamento, una prestazione accreditata – ossia una prestazione di buona fede conseguente all’affidamento di un incarico – fa nascere comunque un obbligo in capo all’amministrazione pubblica. Per arrivare a questa cifra le perite dichiarano di avere analizzato vari capitoli di spesa relativi a campagne civiche (come quella sul registro dei catalani all’estero) o pubblicitarie (quella fatta circolare sulla televisione pubblica catalana alla vigilia del referendum) ovvero alle missioni realizzate da ospiti internazionali nell’autunno 2017 su invito di Diplocat. Quando la difesa chiede loro quale sia, in quei casi, il nesso con il referendum – dal momento che il registro era stato creato nel 2014, che già altre volte erano arrivati osservatori internazionali in Catalogna e che, in forza di un contratto quadro con la televisione catalana, alcune pubblicità istituzionali sono trasmesse a titolo gratuito, le perite rispondono che si tratta di una valutazione di loro pertinenza, suffragata da un insieme di dati e dalle caratteristiche del prodotto, che depongono per una relazione con il referendum.
Il sociologo americano John Paul Lederach, esperto nell’analisi dei conflitti sociali e nelle politiche non violente, e lo spagnolo Jesús Castañar, dottore in ricerca storica e studioso di movimenti non violenti, sono i periti chiamati dalla difesa per analizzare il contenuto dei video dell’autunno catalano e confrontarlo con il metodo di azione non violenta, attraverso le tre categorie di quest’ultima: la protesta e la persuasione, la non collaborazione e l’interposizione pacifica. Nelle mobilitazioni dell’ottobre 2017, i due periti apprezzano «la transizione della protesta da una forma convenzionale istituzionale a una forma nonviolenta». Le principali conclusioni del loro studio sono che « c’è, in Catalogna, una cultura della nonviolenza», che la gente applica nell’autunno 2017. «Ciò si apprezza nei discorsi dei leader, con una capacità spontanea di mantenere la disciplina. La grande quantità di gente mantenne un atteggiamento nonviolento e questo autocontrollo è un fatto puntuale più che riferito a un percorso pianificato». In questo quadro, la manifestazione del 20 settembre 2017, davanti alla Consiglieria di Economia, «non è un atto di disobbedienza civile, ma un atto di protesta e persuasione». E il danneggiamento dei veicoli della Guardia Civil è il risultato «di tanti piccoli atti di deterioramento». La protesta, in quello stesso giorno, davanti alla sede della Candidatura d’Unitat Popular, invece, «è un caso d’interposizione non violenta» nei confronti della polizia spagnola che vi sarebbe voluta entrare. «L’1 ottobre si arriva alla disobbedienza civile. La maggioranza della gente mantiene una prospettiva nonviolenta». Le reazioni isolate e minoritarie all’operato della polizia rivelano perciò una «mancanza di disciplina nonviolenta», dovuta all’alta partecipazione popolare.
Sull’uso dei locali pubblici, la dialettica è tra due coppie di periti che manifestano visioni opposte. Quelli indicati dal pubblico ministero attribuiscono all’uso dei locali pubblici «un valore di controprestazione teorica» come si avrebbe nel caso fossero dati in affitto, assumendo il valore del suolo e della struttura dell’edificio e utilizzando un tasso di redditività immobiliare. I tecnici della difesa contestano il presupposto dell’analisi, perché «non esiste la possibilità di affitto per quegli edifici pubblici». Criticano, inoltre, la metodologia applicata: «È impossibile che la media dei locali utilizzati in Catalogna sia di 2.500 m², perché lo spazio per votare non occupa mai l’intero edificio, né che le procedure di voto richiedano un’intera giornata, come viene assunto nello studio». E concludono, senza possibilità di appello, che «è stato fatto un esercizio meramente teorico».