Dieci giorni fa i media italiani e, con maggior prudenza, quelli francesi sono usciti con la notizia, molto enfatizzata, che il 6 luglio il Conseil constitutionnel transalpino ha dichiarato incostituzionale, in applicazione del principio di fraternità, la norma del Code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile (CESEDA) che punisce chi presta aiuto a migranti irregolari.
Anche il titolo di un articolo pubblicato in queste pagine il 10 luglio (francia-la-solidarieta-non-e-un-reato) sembrava avallare questa interpretazione. Il titolo, ma non anche il testo dell’articolo che, opportunamente, segnalava i limiti della decisione del giudice costituzionale, che non ha abrogato per intero l’art. L. 622-1 CESEDA (in forza del quale è punito con la pena fino a cinque anni di reclusione e a 30.000 euro di ammenda «chiunque abbia facilitato o provato a facilitare, con aiuto diretto o indiretto, l’ingresso, la circolazione o il soggiorno irregolare di uno straniero in Francia») ma solo la sua parte relativa alla previsione come reato dell’aiuto prestato ai fini umanitari in territorio francese. Resta, dunque, il vigore il “delitto di solidarietà” consistente nell’aiuto (favoreggiamento in termini tecnici) all’ingresso illegale in Francia. Norma a supporto delle pratiche brutalmente repressive poste in essere dalla gendarmérie francese sui confini di Ventimiglia, Bardonecchia e Monginevro (come da noi ripetutamente documentato).
Non ci sono voluti molti giorni per averne conferma.
Giovedì 19 luglio, infatti, la Corte d’appello di Aix En Provence ha condannato a sei mesi di carcere, con sospensione condizionale della pena, una ragazza italiana, Francesca Peirotti, imputata di avere aiutato otto migranti ad attraversare il confine italo-francese da Ventimiglia verso Menton. I fatti risalgono all’8 novembre 2016 quando la giovane, residente a Marsiglia e aderente all’associazione di sostegno per migranti “Nice Habitat et Citoyenneté”, venne sorpresa e arrestata sull’autostrada A8 nei pressi di Menton alla guida di un furgone con il logo della Croce rossa con a bordo sette richiedenti asilo (e un neonato) arrivati in Italia da Eritrea e Ciad e rimasti bloccati a Ventimiglia.
Denunciata per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, Francesca Peirotti era stata processata in primo grado, nel maggio 2017, dal Tribunale di Nizza che, accertata la mancanza di ogni fine di lucro e ritenuto che essa aveva agito «mossa da esclusivo spirito umanitario», aveva escluso il reato contestato e si era limitata ad applicarle una sanzione amministrativa di 1.000 euro.
Tre giorni fa la Corte di appello di Aix en Provence ha, come si è detto, ribaltato la sentenza di primo grado e ritenuto Francesca colpevole del reato di favoreggiamento condannandola a sei mesi di reclusione e alla interdizione a vivere in Francia per cinque anni.
Singolare il contrasto con l’affermazione, contenuta nella decisione del 6 luglio del Conseil constitutionnel, con riferimento all’ipotesi parallela dell’aiuto prestato in territorio francese, che il «delitto di solidarietà» contrasta con il principio di «fraternità» che, così come la libertà e l’uguaglianza, è un caposaldo del sistema costituzionale e non può soccombere nel bilanciamento con la «salvaguardia dell’ordine pubblico».
Ora si attende il giudizio della Corte di cassazione, già investita di altri analoghi ricorsi. Ma, nell’attesa, non si può non osservare come sia a dir poco sconcertante ritenere che la fraternità operi nei territori interni e non anche ai confini… Eppure il primo dovere dei giudici è quello di dare, anche in sede interpretativa, un minimo di razionalità e di coerenza al sistema.