Il 24 maggio è stata presentata nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles la sentenza pronunciata dal Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) all’esito delle udienze tenute a Parigi il 15-16 marzo 2018 sulla repressione del popolo kurdo in Turchia, a seguito di atto di accusa mosso dalla International Association of Democratic Lawyers (IADL), dalla European Association for Democracy & World Human Rights (ELDH), dalla Association for Democracy and International Law (MAF-DAD) e dal Kurdish Institute di Bruxelles. Il fatto che per la prima volta una sentenza del TPP sia stata presentata in una sede istituzionale tanto rappresentativa, in cooperazione con gruppi politici del Parlamento, sottolinea l’importanza del verdetto che ha come oggetto le violazioni del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario commesse dalla Repubblica Turca e dai suoi rappresentanti contro il popolo kurdo e delle sue organizzazioni.
La giuria del TPP era composta da sette giudici, esperti di diritto internazionale, giuristi con incarichi ai massimi livelli di responsabilità istituzionale nei loro paesi, un ex assistente Segretario generale delle Nazioni Unite, una giornalista internazionalmente riconosciuta. Sulla base dell’impressionante mole e qualità della documentazione risultante da moltissime testimonianze dirette, da relazioni di diritto internazionale e da materiale audiovisivo il TPP ha accolto, e qualificato in termini di responsabilità al di là di qualsiasi dubbio, l’impostazione accusatoria, riguardante le politiche e le pratiche di repressione esercitate dallo Stato turco negli anni 2015-2017 nei confronti del popolo kurdo presente nel suo territorio, collocandola nel quadro geopolitico del periodo precedente e dei più recenti e gravissimi comportamenti del Governo turco ad Afrin.
Nell’impossibilità di esporre nel dettaglio i fatti ricostruiti nella sentenza e le motivazioni giuridiche a sostegno della affermata responsabilità del Governo turco per crimini di guerra e violazioni dei diritti fondamentali della popolazione kurda, se ne segnalano qui solo alcuni aspetti particolarmente significativi, facendo per il resto rinvio al testo integrale della sentenza (link a testo in sito TPP). Non senza sottolineare che è la prima volta che un Tribunale indipendente, con una lunga tradizione nel campo dei diritti umani e dei popoli (i cui risultati non sono mai stati contestati a livello fattuale e dottrinale), rompe il silenzio sulle responsabilità di uno Stato che, con un’impunità garantitagli dalla comunità internazionale, svolge un ruolo chiave nella regione e in Europa.
In particolare il TPP ha accertato:
– la violazione sistematica di norme fondamentali del diritto internazionale obbligatorio;
– la negazione del diritto all’autodeterminazione del popolo kurdo, con l’imposizione di una identità turca e il mancato riconoscimento dell’identità e della presenza kurda;
– il divieto e la repressione della partecipazione del popolo kurdo alla vita politica, culturale ed economica del paese, considerata una minaccia per l’autorità dello Stato turco;
– la commissione di crimini di guerra nelle città della Anatolia kurda del Sud-Est, con massacri e con l’imposizione della migrazione forzata delle popolazioni, dimostrativi della chiara intenzione di eliminare fisicamente una parte importante del popolo kurdo;
– la commissione da parte delle forze di sicurezza e dei servizi segreti turchi di crimini di Stato, con assassini mirati e sistematici, esecuzioni extra giudiziarie, sparizioni forzate, in Turchia e in altri Paesi, specificamente in Francia, in assenza di qualsiasi indagine da parte delle autorità competenti e in coerenza con una politica statale di impunità organizzata.
Il TPP ha quindi concluso:
– che il conflitto tra la Turchia e i kurdi deve essere considerato un conflitto armato non-internazionale che deve essere regolato secondo i principi del diritto internazionale vigente: il TPP ha respinto la posizione turca secondo cui tale conflitto è un’espressione di terrorismo da regolare con la legislazione antiterrorismo;
– che Recep Tayyip Erdogan, presidente dello Stato turco, è direttamente responsabile dei crimini di guerra e di Stato ora ricordati: con la sua ripetuta e indiscriminata qualificazione dei kurdi residenti nelle aree di conflitto e dei loro rappresentati legittimi come “terroristi”, il presidente ha incitato e legittimato l’uso sproporzionato e indiscriminato della violenza contro i combattenti kurdi e la popolazione civile;
– che il generale Adem Huduti, capo della seconda armata turca, è ugualmente responsabile diretto dei suddetti crimini, in quanto principale architetto dell’azione congiunta delle forze militari, di polizia, delle milizie armate, che ha comportato anche la distruzione massiccia e deliberata di siti storici e religiosi e delle infrastrutture civili.
Data la propria funzione propositiva, il TPP non ha limitato il giudizio alle responsabilità per i crimini commessi ma ha anche formulato specifiche raccomandazioni, particolarmente rilevanti in quanto la sentenza è uno strumento per accompagnare una rivendicazione di diritti che riguarda la repressione intollerabile del popolo kurdo da parte della Turchia ma anche la credibilità del diritto internazionale e della comunità degli Stati che lo dovrebbe garantire. Le indicazioni principali contenute nelle raccomandazioni costituiscono una vera agenda del lavoro da svolgere.
In particolare, la Turchia è investita del dovere di:
– cessare immediatamente tutte le operazioni militari condotte dalle sue forze armate in Siria, ritirando le proprie truppe nei confini nazionali;
– indagare e assumere le misure più adeguate nei confronti delle persone responsabili dei crimini di guerra accertati dal TPP;
– ristabilire le regole obbligatorie del diritto, ridando la libertà ai magistrati e ai giornalisti detenuti, ristabilendo i diritti degli insegnanti e dei magistrati licenziati o che hanno dovuto dimettersi dopo il luglio 2016, ripristinando la libertà di stampa e di informazione, mettendo fine allo stato di emergenza, rispettando nella sua pienezza la Convenzione Europea sui Diritti Umani;
– adottare immediatamente una tregua militare completa e riprendere i negoziati, interrotti il 30 ottobre 2014, per una soluzione pacifica del conflitto conducendoli tempestivamente a conclusione;
– assicurare, una volta concluso un accordo di pace, un’amnistia per i crimini commessi dalle parti durante il conflitto, e liberare tutti i prigionieri politici.
La guerra interna che ha provocato una sofferenza indicibile per il popolo kurdo – conclude il Tribunale – è evitabile. Essa è frutto di errori ripetuti e accumulatisi nel tempo in nome dello stesso dogma nazionalista che un secolo fa ha portato al genocidio armeno. Il popolo turco e quello kurdo possono e devono evitare un destino analogo.
Come tutte le pronunce di un Tribunale privo di poteri, se non quello di ridare ai popoli il diritto di parola come soggetti della propria autodeterminazione, la sentenza presentata a Bruxelles si inserisce in un percorso (che non è, nel caso specifico, né facile né ovvio). Essa è uno strumento per sostenere la resistenza del popolo direttamente toccato dalla repressione ma è anche, con la stessa determinazione, uno strumento di denuncia per rendere inaccettabile il silenzio connivente della comunità internazionale.
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