«I confini dell’Unione europea non sono aperti e non devono esserlo». Le parole nettissime usate da Ursula von der Leyen per ringraziare la Grecia, “scudo d’Europa”, e sostenerla nel brutale respingimento dei profughi che si accalcano alle sue frontiere, fanno calare una pietra tombale sulle speranze di chi aveva salutato l’entrata in carica della nuova Commissione come un possibile segnale di svolta.
L’Unione europea che oggi rivendica la “linea della fermezza” verso i deboli e gli indifesi, nel tentativo di camuffare – senza riuscirci – la resa incondizionata di fronte a Erdoğan; quest’Europa che non sa offrire a chi fugge da guerre e persecuzioni nient’altro che ulteriori blindature dei confini e ipocriti impegni a occuparsi dei minori non accompagnati, tocca uno dei punti più bassi della sua, già poco gloriosa, storia. E non solo per responsabilità di una classe politica drammaticamente inadeguata, ma per effetto di problemi strutturali irrisolti, che l’ennesima “crisi dei migranti” riporta in primo piano.
Tra questi, il tema, gigantesco ma ormai completamente rimosso, del carattere molto poco democratico del processo decisionale europeo, unica “entità politica” al mondo a essere dotata di un Parlamento eletto a suffragio universale che non esercita, tuttavia, nessun reale potere. La gestione del capitolo immigrazione è, al riguardo, particolarmente istruttiva. Il Parlamento europeo era riuscito nel novembre del 2017, pur a fatica e al prezzo di alcuni compromessi, ad approvare la riforma dell’ormai famigerato regolamento di Dublino III (che prevede l’obbligo di esame delle domande di asilo politico nel Paese di primo ingresso), stabilendo quote obbligatorie di ripartizione dei profughi nei vari Paesi e restrizioni all’accesso dei fondi strutturali per gli Stati inadempienti. Insufficiente e imperfetta quanto si vuole, questa riforma rappresentava comunque un significativo passo avanti rispetto alle assurde regole oggi in vigore, che impongono a Paesi come Malta, la Grecia o l’Italia di sostenere per intero il peso dell’accoglienza dei richiedenti asilo, imposta dal diritto internazionale, oltre che da elementari principi umanitari (https://volerelaluna.it/commenti/2020/03/06/la-doppia-epidemia/).
Ebbene, questa riforma non è passata perché è stata bloccata dal Consiglio, l’organo che, in base alle regole barocche in vigore in questa strana Unione di Stati – qualcosa di più di un’organizzazione intergovernativa, qualcosa di meno di un vero Stato federale – è chiamato a “co-decidere” insieme al Parlamento (di fatto a porre il veto sulle decisioni dell’unica istituzione dotata di legittimazione democratica diretta).
A dispetto della vulgata secondo cui i parlamenti sono per definizione organi pletorici e inconcludenti, su un tema difficile e divisivo come quello dell’accoglienza ai profughi un’assemblea eletta col sistema proporzionale era riuscita a trovare un accordo, e forse lo ritroverebbe tutt’ora. Ma pesa il veto degli esecutivi nazionali rappresentati nel Consiglio, tenuto a decidere – su temi come questo – a maggioranza qualificata.
Ci siamo abituati, negli anni, a denigrare la democrazia, a deplorarne le degenerazioni populistiche, a censurare le scelte dei cittadini, ignoranti e impulsivi, e dei parlamentari da loro eletti (fino a decidere di “punirli” riducendone drasticamente il numero, come si vuole fare in Italia). Ma l’alternativa – tutto il potere ai Governi e alle tecnocrazie che li supportano – non garantisce risultati migliori. E di certo l’irrisolta “questione democratica” tornerà a pesare sul futuro dell’Europa, come dimostra la recente bocciatura da parte del Consiglio della proposta di bilancio approvata dall’euro-parlamento, che prevedeva, tra l’altro, l’istituzione di una carbon tax e di una tassa sulle transazioni finanziarie.
la riflessione di Valentina Pazè è condivisibile e va nella linea della democrazia realee scofessa il silenzio dei sistemi di decisione in UE
Più facile bloccare i poveracci coi fili spinati chei voli aerei dei ricchi o le merci da vendere .