Raccontano le cronache che il 12 ottobre del 1936, all’Università di Salamanca, dopo un veemente discorso del generale falangista Millán Astray, si sentì alzare il grido dei suoi sostenitori «Viva la muerte!». A questo punto insorse il rettore dell’Università Miguel de Unamuno: «Finisco ora di ascoltare un grido necrofilo e senza senso: «Viva la muerte!». E io che ho trascorso la vita forgiando paradossi che hanno provocato l’ira degli altri devo dire, come esperto del tema, che questo aberrante paradosso mi è ripugnante. Il generale Millan Astray è un mutilato, lo dico senza alcun senso dispregiativo. Anche Cervantes lo era. Purtroppo ci sono molti invalidi di guerra in Spagna ora. E presto ce ne saranno di più, se Dio non ci aiuta. Mi dispiace pensare che il generale Astray debba dettare i criteri per una sociologia di massa. Un invalido che manca della grandezza di Cervantes cerca un sollievo causando mutilazioni intorno a sé».
Ho pensato alla ribellione morale di Miguel de Unamuno quando ho letto l’appassionato appello del senatore Gregorio De Falco avverso l’approvazione del decreto sicurezza bis: «Faccio appello alla coscienza dei colleghi, affinché votino con il coraggio che non hanno avuto finora, consapevoli del fatto che non è una regola criminogena come questa che frena gli sbarchi, ma è la morte: questo è l’unico vero motivo. È la morte di centinaia e centinaia di persone che stanno provocando con questi decreti, tra cui bambini come i miei e i vostri, così come padri e madri. Allora chiedo ai colleghi del Movimento 5 Stelle di votare questa volta, una sola volta almeno, secondo coscienza e non secondo ordine di scuderia, perché questa volta potete farlo. Non c’è più niente da attendersi. Avete e dovete avere la schiena dritta. Dovete votare secondo coscienza e tutti voi sapete che cos’è questa roba qui: questa è una norma criminogena e mortifera».
L’Italia, che ha conosciuto l’onta delle leggi razziali che furono emanate stracciando la Costituzione dell’epoca (lo Statuto Albertino), che prescriveva l’eguaglianza di tutti i cittadini (i regnicoli) dinanzi alla legge, oggi conosce una onta ancora maggiore, perché il cosiddetto decreto sicurezza bis fa strame del principio fondamentale su cui si regge l’identità della Repubblica, quello dell’inviolabilità dei diritti fondamentali della persona.
Ha osservato Giovanni Maria Flick, già presidente della Corte Costituzionale, che «mettere in piedi un marchingegno complicatissimo per scoraggiare, impedire, intimorire chi pratica il salvataggio in mare è contrario alle Convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia e agli obblighi di solidarietà previsti dalla nostra Costituzione».
In effetti, impedire il salvataggio in mare ha un effetto pratico incontestabile: la morte. La morte viene accettata, programmata e imposta come metodo di controllo dei flussi migratori. Si tratta di una nuova legge razziale perché introduce una discriminazione nei confronti di alcune categorie di persone particolarmente deboli, che vengono escluse dal godimento di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana, come il diritto di chiedere asilo, e dalle leggi internazionali, come il diritto a non essere respinti nei Paesi dove possono essere perseguitati, a costo di lasciarle perire. Ma non basta, con un solo provvedimento si mettono insieme due caratteristiche tipiche della legislazione fascista, le leggi razziali e l’impostazione securitaria dell’ordine pubblico, superando persino con nuovi reati e con nuove aggravanti le leggi fascistissime emanate da Mussolini nel 1926 in tema di pubblica sicurezza, con le quali si diede l’avvio al regime.
Le leggi razziali, emanate con decreti legge fra il settembre e il novembre del 1938, furono approvate dalla Camera nella seduta pomeridiana del 14 dicembre 1938 fra il tripudio generale: «La Camera sorge in piedi. Vivissimi generali prolungati applausi». Uguale, anche se non unanime tripudio, si è verificato il 5 agosto 2019 al Senato, all’esito dell’approvazione del decreto sicurezza bis.
Ci rimane un dubbio: quell’applauso osceno non assomiglia al grido «Viva la muerte!» che i miliziani del generale Millán Astray lanciarono all’Università di Salamanca? Sorgerà in Italia un nuovo Miguel de Unamuno che denuncerà la ripugnanza di questo aberrante paradosso?
Un italiano come quel Miguel, magari non c’è. O forse sì? Facciamo un appello a tutti gli italiani di nome Miguel. Chissà. Sempre meglio di qualcuno di nome Matteo… abbiamo già dato.
Intanto, un italiano acquisito si preoccupa della piega assunta da queste parti: https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2019/08/09/news/papa-francesco-il-sovranismo-mi-spaventa-porta-alle-guerre-1.37325868
Manca però sempre un qualcosa, anche a quest’ultimo ch’è campione attuale dell’umanità (nel senso del restare umani). Ed è, mi permetto di dire, una corretta interpretazione del “dare a Cesare quel che è di Cesare”.
Davvero “Chi amministra è chiamato a ragionare su quanti migranti si possono accogliere”? Pensateci su: è il “quanti” che non quadra granchè con il Vangelo (mi permetto di dire…). Il Vangelo non delega i grandi numeri al potere per chiamare i piccoli numeri all’amore. Qualunque numero venga stabilito come soglia d’immigrazione, l’umanità degli operatori non ne può essere ridotta a pura ispirazione per applicarlo in maniera “moderata”.
In altri termini, può essere complicità col crimine di disumanità anche delegare, all’umanità di un marinaio o di una guardia di frontiera… il respingimento di un migrante oltre soglia. Se lo Stato fissa un numero, come si impone al povero operatore di frontiera di respingere “umanamente” il numero di troppo? Se il gioco sta nel creare eccezioni legali, può il Diritto stabilire quelle da considerare e i criteri per appiccicarle al singolo migrante con aderenza alla sua realtà esistenziale? Può farlo, in un mondo che moltiplica oltre ogni limite le forme possibili di migrazione? Soprattutto, possono arrogarsi tale diritto nazioni come l’Italia, che faticano alla grande nel darsi un Diritto sufficientemente applicato “al suo interno”?
La mia risposta è no, non si può. Per questo, le parole del Papa le leggo così: “Primo: ricevere, che è anche un compito cristiano, evangelico. Le porte vanno aperte, non chiuse. Secondo: accompagnare. Terzo: promuovere. Quarto integrare.” Dove integrare non è forzare all’assimilazione culture -vivaddio- varie. A quel punto, il proposito di assegnare allo Stato il compito di governare i flussi a livello macro viene a valle, ma solo come obbiettivo politico da perseguire. Altri Paesi (con più efficaci e condivise applicazioni del Diritto) magari lo possono implementare già ora. Noi italiani, no. Lavoriamoci su, perchè se ci pensa il ducetto…