Nuovi ostacoli per l’acquisto della cittadinanza italiana

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Il decreto legge cd. “sicurezza” è da qualche settimana approdato al Senato per la conversione e cominciano a venire alla luce quali saranno i nefasti effetti della sua completa attuazione nell’ambito dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati. Tuttavia il variegato testo non prevede soltanto l’abrogazione della protezione umanitaria o la cancellazione del sistema SPRAR ma vuole introdurre modifiche anche alla legge che regola l’acquisto della cittadinanza italiana.

Non si tratta di una riforma globale della materia, che invece sarebbe necessaria. L’occasione fu persa al termine della scorsa legislatura e, in questo momento, siamo più che mai lontani dalla ripresa di quel testo.

L’acquisto della cittadinanza italiana continua a essere regolato dalla legge n. 91 del 1992 basata sul cd. jus sanguinis, cioè il sistema di trasmissione della cittadinanza italiana per nascita dal genitore italiano. È italiano chi nasce da padre o da madre italiana e la cittadinanza si trasmette a tutti i discendenti. In applicazione di questo principio sono italiani (e possono ottenere il rilascio del corrispondente passaporto) i discendenti di cittadini italiani che da più generazioni si trovano all’estero dove nonni o bisnonni emigrarono anche un secolo fa, mentre non acquistano automaticamente la cittadinanza italiana i bambini nati in Italia da genitori stranieri.

E allora come si diventa cittadini italiani da stranieri? Due sono i meccanismi principali: il matrimonio con cittadino italiano e la cd. “naturalizzazione” dopo un periodo più o meno lungo di residenza regolare in Italia (10 anni per i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea).

Proprio questi due meccanismi sono ora sotto attacco in una maniera semplice e subdola: una sola riga di testo che aumenta il termine per la chiusura del procedimento da 24 a 48 mesi, cioè quattro anni per avere la risposta alla propria domanda di cittadinanza.

Nell’ambito della richiesta di cittadinanza per naturalizzazione il Ministero dell’Interno valuta l’inserimento in Italia del richiedente dal punto di vista lavorativo, reddituale, familiare. Un’indagine che si è fatta sempre più minuziosa, che risale nel tempo e che tende a valutare tutti gli aspetti della vita di chi vuole diventare cittadino, compresi controlli su violazioni amministrative o precedenti penali dei familiari.

Questa indagine, a quanto pare, richiede risorse ma nel decreto queste non vengono previste e si preferisce allungare il termine del procedimento portandolo a quattro anni e applicandolo a tutte le domande pendenti. Invece di destinare risorse, si preferisce legalizzare i ritardi dell’amministrazione, dal momento che lo stesso Ministro dell’Interno si giustifica dicendo che si è trovato un ingente arretrato da gestire e che alcuni uffici sono al collasso.

Oltre al danno c’è anche la beffa: l’aumento, sempre nel decreto, del contributo da versare al momento della richiesta di cittadinanza che passa da 200 euro a 250, un aumento ingiustificato che pare soltanto punitivo e volto a scoraggiare la presentazione della domanda visto che i fondi così acquisiti non saranno destinati né a migliorare né a velocizzare il servizio.

Per gli aspiranti cittadini non resta che prepararsi a una lunga attesa e così per le loro famiglie. L’allungamento dei tempi di risposta porterà sempre più di frequente a situazioni paradossali. Se, infatti, il genitore acquista la cittadinanza quando i figli, minori al momento della richiesta, sono ormai diventati maggiorenni non trasmette automaticamente loro la cittadinanza italiana, con il risultato di avere in una stessa famiglia, fianco a fianco, cittadini e stranieri.

Così come rischiamo di rimanere come Paese, pur vivendo gli uni a fianco agli altri, ancora divisi, italiani e stranieri.

Gli autori

Laura Furno

Laura Furno è avvocato a Torino e si occupa prevalentemente di tutela della persona e dei suoi diritti fondamentali. È attiva nella Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI).

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