L’emergenza pandemica ha evidenziato una condizione di forte criticità del Servizio Sanitario Nazionale e del sistema socio-sanitario affrontata solamente grazie all’abnegazione di chi in quei servizi lavorava e lavora. I lunghi anni di mancate riorganizzazioni, riforme incompiute, di pesante inadeguatezza del finanziamento, frutto di politiche di austerity e di una cultura neoliberista, rappresentano in gran parte le cause del preoccupante quadro di contesto.
Impietoso il raffronto della spesa sanitaria pubblica dell’Italia con quella gli altri Paesi Europei, rispetto ai quali l’Italia è il fanalino di coda con gap sempre più difficili da colmare. Un’incidenza del 6,8% sul PIL nel 2022 è di gran lunga inferiore a quello di Paesi come la Germania o la Francia che hanno destinato al finanziamento della spesa sanitaria pubblica rispettivamente il 10,9% e il 10,1% del PIL. Nel 2022 la spesa pubblica pro-capite nel nostro Paese è stata pari a 2.208 euro, a fronte di 5.086 euro in Germania e 3.916 euro in Francia, Paesi nei quali negli ultimi 10 anni la spesa sanitaria pubblica pro capite, a parità di potere d’acquisto, è notevolmente cresciuta. Per raggiungere il livello della spesa media dell’Eurozona (a parità di potere d’acquisto), al Servizio Sanitario Nazionale italiano occorrerebbero circa 27 miliardi di euro in più all’anno e oltre 80 miliardi per raggiungere la spesa della Germania.
Dopo l’incremento per contrastare la pandemia, che ha portato la spesa sanitaria pubblica al 7,4% del PIL nel 2020, già dall’anno successivo la spesa sanitaria è tornata a scendere in rapporto al PIL, con la drammatica prospettiva prefigurata nella NADEF 2023 nella quale il Governo Meloni, dopo una revisione al ribasso per l’anno in corso di 1,3 miliardi di euro rispetto al DEF e un ulteriore taglio di 1,8 miliardi, pari a -1,3%, prevista per il 2024 rispetto al 2023, affossa il finanziamento del SSN al 6,2% del PIL a partire dal 2024 per scendere al 6,1% nel 2026: il valore più basso degli ultimi decenni. Il Governo sta quindi programmando e pianificando il collasso del Servizio Sanitario Nazionale.
Nel 2022, l’estrema criticità economico-finanziaria ha portato molte Regioni a ricorrere all’utilizzo di risorse proprie e straordinarie, ma come tali irripetibili, e nonostante lo sforzo, le regioni continuano a misurarsi con le difficoltà di chiudere in equilibrio i propri bilanci. Considerando la differenza tra le entrate previste dallo Stato per la copertura dei LEA e delle spese sostenute per l’assistenza sanitaria, la Corte dei Conti ha certificato per il 2022 un disavanzo di 1,5 miliardi di euro con 15 regioni con perdite anche pesanti. Altrettanto preoccupante è la situazione per il 2023 con le stesse Regioni che continuano a denunciare come il livello del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale per l’anno in corso non sia “minimamente adeguato per consentire la sostenibilità della programmazione sanitaria”.
In questo scenario, nel progetto inviato a Bruxelles a luglio scorso, la rimodulazione degli obiettivi della Missione 6 del PNRR definiti dal Governo Meloni, che la CGIL ha criticato, si traduce nel taglio di 414 Case della Comunità (-31%), 96 Ospedali di Comunità (-24%) e 76 Centrali Operative Territoriali (-13%). Vengono sostanzialmente eliminati dai finanziamenti oltre 2 miliardi di euro per la realizzazione di tutte le nuove strutture. Sostenere, come fa il Governo, che le risorse mancanti saranno reperite dal Fondo per l’edilizia sanitaria è una pura ipocrisia visto che quelle risorse hanno una destinazione precisa e utilizzarle per case e ospedali di comunità significherebbe non attuare le necessarie ristrutturazioni di ospedali e la costruzione di quelli nuovi già previsti, oltre al fatto che non verranno comunque rispettate le iniziali scadenze previste dal PNRR. Le tempistiche per il raggiungimento degli obiettivi che potranno essere successive alla metà del 2026 suonano come una resa da parte del Governo e una sconfitta per l’intero Paese: altri 3 anni di sole promesse.
Senza una netta inversione delle politiche sanitarie e socio-sanitarie, i divari territoriali e sociali sono destinati a crescere inesorabilmente.
Nel 2022 i cittadini hanno speso 42 miliardi per curarsi. Si tratta di 37 miliardi di spesa che proviene direttamente dalle loro tasche e 5 miliardi dalla sanità integrativa. Particolarmente rilevante il peso per le famiglie, con un livello medio pro-capite di 624 euro e con enormi differenze territoriali. Aumentano ulteriormente le persone che dichiarano di aver pagato interamente a proprie spese visite specialistiche ed esami diagnostici: un fenomeno che non solo accresce le diseguaglianze nell’accesso a prestazioni e cure ma incide notevolmente nelle condizioni economiche e nell’impoverimento delle famiglie.