Quando a discriminare sono le istituzioni

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Il Report finale del Progetto L.A.W. – Leverage the Access to Welfare curato da ASGI (Associazione Studi giuridici sull’immigrazione) e dal Centro Studi Medì di Genova, a cui hanno concorso oltre 400 che persone hanno contattato il servizio antidiscriminazione di ASGI e oltre 500 persone di origine straniera che hanno partecipato all’indagine socioeconomica del Centro Studi Medì, indaga le ragioni e gli effetti delle discriminazioni istituzionali con l’obiettivo di identificarle e di fornire strumenti per contrastarle.

Le “discriminazioni” istituzionali non dovrebbero avere cittadinanza in un sistema democratico, soprattutto con una Costituzione avanzata come la nostra. Ma tant’è. Anche questo tipo di discriminazione esiste, per vari motivi. In primo luogo per sottovalutazione del necessario equilibrio tra la volontà della maggioranza e la tutela della parte più fragile della popolazione. Quando l’istituzione dimentica tale necessità, chi la governa immagina di potersi appiattire sulla volontà della maggioranza e di poter sovrapporre la vera o presunta “volontà degli elettori” all’obbligo di tutela di tutte le componenti sociali, anche quelle che godono di meno consenso presso la maggioranza: è il caso di molti provvedimenti “antistranieri” (bonus vari “riservati agli italiani”, restrizioni alla iscrizione anagrafica, fino ai “divieti di accesso” a venditori ambulanti e donne velate ecc.) varati da amministrazioni locali nella consapevolezza della loro illegittimità, ma nella convinzione che ciò possa rispondere ai desiderata del loro corpo elettorale locale. In secondo luogo la “discriminazione istituzionale” accade perché le fonti normative che regolano la nostra vita collettiva si sono diversificate e talune istituzioni danno applicazione a una norma interna senza rendersi conto che “altrove”, in una sede istituzionale di rango superiore, si è deciso in senso diverso garantendo diritti che il potere locale o nazionale non era stato in grado di riconoscere: è il caso del contrasto tra norme interne e norme europee sul tema dell’accesso delle persone straniere alle prestazioni di sicurezza sociale o della Carta famiglia, che hanno visto l’Italia ripetutamente censurata dalla Corte di Giustizia dell’UE. Infine la discriminazione istituzionale avviene perché spesso la burocrazia risente dei medesimi preconcetti che gravano sulla generalità della cittadinanza: un caso esemplare è quello della estrema lentezza con la quale le pubbliche amministrazioni si sono adeguate alla pur parziale estensione dell’accesso al pubblico impiego in favore delle persone con cittadinanza extra UE. E altrettanto esemplare è il caso dei molti procedimenti amministrativi riguardanti le persone straniere per le quali lo Stato ritiene “tollerabile” una tempistica assolutamente irrazionale e sfiancante (3 o 4 anni per l’esame di una domanda di cittadinanza, 2 anni per il rinnovo di un permesso di soggiorno ecc.).

Dal Report risulta in modo univoco che, a seguito delle descritte discriminazioni, per le persone straniere essere povere non è sufficiente per accedere ai diritti sociali. Per accedere al reddito di cittadinanza, per esempio, occorre essere residenti in Italia da almeno dieci anni al momento della domanda. Al fine di accedere all’edilizia residenziale pubblica, numerose Regioni continuano a richiedere una residenza pluriennale nel territorio o documenti aggiuntivi per le persone straniere. Nonostante la normativa italiana ed europea sancisca chiaramente il diritto per tutte le persone regolarmente soggiornanti ad aprire un conto corrente di base, in moltissimi casi (101 segnalazioni ricevute da ASGI tra febbraio 2022 e gennaio 2023) gli istituti bancari e postali rifiutano l’apertura a clientela straniera, specialmente a persone richiedenti asilo e con cittadinanza nigeriana. Il settore della casa risulta essere quello maggiormente discriminatorio. Dalla scelta del proprietario di non affittare a persone straniere alla richiesta di garanzie aggiuntive, è il 40% degli intervistati ad aver subito discriminazioni in quest’ambito. Seguono le discriminazioni che avvengono nell’ambito lavorativo (33%): 4 intervistati su 10 hanno dichiarato di non aver potuto accedere a un concorso pubblico perché veniva richiesta la cittadinanza italiana, mentre 3 su 10 non sono stati assunti perché l’azienda ha fatto intendere di non assumere stranieri. Significative sono poi le discriminazioni percepite sui mezzi di trasporto pubblici (31%), in ambito sanitario (30%), nel rapporto con i servizi privati (26%) e con le forze di polizia (25%). Emerge inoltre che il livello di discriminazione non dipende da quanto tempo una persona straniera vive in Italia né dal livello di integrazione della persona.

Qui il link al testo integrale del Report: https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/03/Report_LAW.pdf

Gli autori

ASGI

L’ASGI (Associazione studi giuridici immigrazione) è un’associazione costituita nel 1990 per promuovere l’informazione, la ricerca e la formazione sul diritto dell’immigrazione, l’asilo, la discriminazione e la cittadinanza.

Centro studi Medì

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