Dietro a molte missioni militari dei Paesi europei si celano interessi fossili. Nonostante gli accordi sul clima e gli impegni sulla transizione ecologica, l’Unione europea, la NATO e i tre Paesi (Italia, Spagna e Germania) oggetto di un recente rapporto di Greenpeace Italia continuano a inviare i militari a proteggere le attività di ricerca, estrazione e importazione di gas e petrolio. Quasi sempre senza dirlo apertamente. A parte alcuni casi eclatanti, infatti, è difficile trovare obiettivi “fossili” nei mandati delle operazioni all’estero: molto più spesso questi fini emergono dalle dichiarazioni ufficiali di politici e militari o dalle strategie nazionali di “sicurezza energetica”.
Gli Stati membri dell’Unione dipendono fortemente dalle importazioni di energia fossile: circa il 90% del petrolio e il 70% del gas consumato dai Paesi UE arriva da fuori.
Lo studio di Greenpeace Italia stima che:
• circa due terzi delle missioni militari dell’Unione europea sono collegate alle fonti fossili;
• per il 2021, l’Italia ha destinato circa 797 milioni di euro per operazioni volte a tutelare la “sicurezza energetica” del Paese, pari al 64 per cento del suo budget per le missioni militari; la Spagna 274 milioni di euro, pari al 26 per cento, la Germania 161 milioni di euro, pari al 20 per cento della sua spesa annuale per le missioni militari;
• tutti assieme, nel 2021 i tre Paesi spendono oltre 1,2 miliardi di euro per missioni militari “fossili” – un totale di più di 4 miliardi di euro negli ultimi quattro anni (2018-2021).
L’elenco delle missioni “fossili” dettagliate nel rapporto varia da Paese a Paese, ma le aree operative sono sempre le stesse, cioè quelle a maggior presenza di fonti fossili: Corno d’Africa (dove spicca la missione antipirateria EU Atalanta), le acque prospicienti la costa libica (con la missione Irini, targata UE, e l’operazione italiana Mare Sicuro), il Mediterraneo Orientale (con l’operazione NATO Sea Guardian), il Golfo di Guinea (con missioni di Italia e Spagna) e il Medio Oriente (in particolare l’Iraq, dove operano sia la Nato che la Coalizione globale contro Daesh, e lo Stretto di Hormuz, dove nel 2020 è stata lanciata la missione europea EMASoH). Nel luglio 2021 il Consiglio europeo ha approvato una missione militare anche in Mozambico, un Paese dilaniato dalle violenze che, secondo Bruxelles, avrebbe «il potenziale di diventare uno dei maggiori produttori mondiali» di gas. Pochi mesi prima, Total aveva abbandonato la regione – ricca di giacimenti di gas – di Cabo Delgado per ragioni di sicurezza.
I risultati della ricerca hanno risentito dei diversi livelli di trasparenza sul tema. In termini di franchezza, spicca il caso dell’Italia, addirittura impegnata in due missioni che hanno, come primo compito ufficiale, «la protezione degli asset estrattivi Eni». Nelle audizioni parlamentari, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini non ha mancato di sottolineare l’importanza “energetica” delle principali missioni militari del Paese, che si tratti dell’Iraq (il cui “crollo” «metterebbe a repentaglio la nostra sicurezza energetica»), del «crescente interesse nazionale in materia di approvvigionamento di risorse energetiche» nell’area del Golfo di Guinea, o della necessità di «una nostra presenza più regolare nel Mediterraneo orientale, dove la possibilità di sfruttamento delle risorse energetiche è fortemente condizionata dal contenzioso marittimo in corso».
Qui la sintesi del rapporto