Dopo quasi un ventennio di dinamica migratoria impetuosa, il nuovo bilancio demografico diffuso dall’Istat mostra che nel 2020 gli ingressi dall’estero hanno grosso modo corrisposto alle uscite.
La pandemia, e le restrizioni con cui si è cercato di combatterla, hanno molte responsabilità in questo calo, ma uno sguardo di più lungo periodo sui dati rivela che, pur avendo mantenuto il segno positivo, il saldo migratorio aveva smesso di crescere già dopo il 2008, con lo scoppio della prima crisi economica. Tanto l’espansione quanto la contrazione successiva sono largamente da imputare a cambiamenti strutturali avvenuti nella demografia e nel mercato del lavoro.
L’analisi che presentiamo mostra che la composizione demografica del mercato del lavoro italiano nel primo decennio del nuovo secolo soffriva di livelli di carenza di manodopera decisamente elevati, in particolare nelle aree del Centro-Nord e nei settori del mercato del lavoro in cui le mansioni sono poco qualificate, poco remunerate e faticose. Il futuro, però, sembra riservare livelli di carenza di manodopera non solo superiori a quelli attuali, ma estesi anche a settori dell’offerta fino a oggi sovrabbondanti, in particolare nelle regioni meridionali del paese e perfino tra i diplomati e i laureati. Il carattere recessivo della dinamica migratoria si somma al declino demografico in atto da tempo aggravando potenzialmente difficoltà già molto estese nei processi di ricambio della forza lavoro. Se, come tutti ci auguriamo, l’economia si riprenderà, è quindi probabile che le immigrazioni riprendano con rinnovato vigore