Fermiamo la guerra in Siria,
Fermiamo le guerre in Medio Oriente,
Costruiamo la pace.
L’allontanamento dal territorio siriano da parte delle forze armate americane, l’annunciata aggressione turca nei confronti del popolo curdo residente nel territorio della Siria del nordest, il successivo intervento russo al fine di comporre il conflitto, accettando nella sostanza le pretese territoriali della Turchia, confermano l’abbandono della popolazione curda al suo destino e la cacciata dei residenti dalla cosiddetta fascia di sicurezza. Ma mettono in luce anche l’inerzia e l’incapacità di svolgere un efficace ruolo di mediazione sia da parte dell’Onu che da parte della Ue. Il mondo, e l’Europa in particolare, che avrebbe dovuto sostenere con tutte le proprie risorse, l’esperienza di integrazione e di convivenza tra le comunità etniche e religiose in corso nel Nord Est della Siria, riconoscendo il sacrificio e la resistenza del popolo siriano e della sua milizia curda YPG (Unità di protezione popolare), di cui una importante componente costituita da donne combattenti che si sono distinte per coraggio ed abnegazione, pagando un altissimo prezzo di vite umane, e riuscendo a sconfiggere l’ISIS, hanno invece tradito questa esperienza, rendendosi complici di una nuova violazione della sovranità siriana, della ripresa della guerra e provocando l’alto rischio di un ritorno dei miliziani dell’ISIS alle loro attività belliche e terroristiche.
La guerra continua ad essere l’unico strumento di composizione dei conflitti in Medio Oriente, dove si intrecciano laceranti contraddizioni mai sopite: la questione nazionale dei curdi, la legittima aspirazione ad uno Stato e un territorio per i palestinesi, la salvaguardia dell’esistenza dello Stato d’Israele, la lotta per l’egemonia regionale che si avvantaggia della perenne rivalità fra sciiti e sunniti, il perdurare del conflitto in Yemen e la repressione violenta delle mobilitazioni popolari in Iraq e Libano che rischiano di degenerare e riaccendere nuovi focolari, la frammentazione della Libia, il contrasto fra regimi laici e regimi confessionali (tutte le petromonarchie sono a carattere teocratico), la questione economica per le ricchezze petrolifere in gran parte di quei territori, gli interessi economici e strategici delle grandi potenze, il ruolo devastante che ha avuto e può avere l’ISIS in Medio Oriente oltre che in Europa, in un quadro aggravato dagli interventi militari trascorsi in Iraq, in Libia, ed oggi nella stessa Siria che hanno comportato conseguenze catastrofiche per la stabilità dell’intera regione.
Davanti a questo scenario così complesso e drammatico l’unica via d’uscita è l’applicazione del diritto internazionale, multilateralismo per l’azione di mediazione e di risoluzione nonviolenta dei conflitti armati, mettendo al bando la guerra e le armi nucleari. Noi, uomini e donne, cittadini e cittadine europee, migranti, rifugiati e richiedenti asilo, sentiamo il dovere di agire, di mobilitarci, di far sentire le nostre voci e le nostre ragioni a chi ci governa, a chi ha la responsabilità politica di fermare questa spirale di guerre e di violenze infinite. Per questo rivolgiamo alle Nazioni Unite, alle istituzioni europee, agli stati membri, questa piattaforma di pace per porre fine alla guerra in Siria e nella regione Medio Orientale, per costruire la sicurezza ed il futuro di ogni popolazione, per ogni uomo e per ogni donna, in libertà e nel rispetto dei diritti umani universali e della libertà.
Per queste ragioni, sostenendo l’appello delle donne curde a tutti i popoli che amano la libertà, chiediamo e ci impegniamo per:
– la cessazione del fuoco senza condizioni e il ritiro immediato delle truppe turche e di ogni altro esercito e milizie straniere dal territorio della Siria;
– l’immediata sospensione di vendita di armi ed assistenza militare alla Turchia, come pure agli altri Stati implicati in guerre nel Medio Oriente, da parte degli Stati membri dell’Unione Europea e in particolare dell’Italia;
– che sia garantita assistenza umanitaria e corridoi umanitari per la popolazione siriana vittima di questa nuova invasione, come pure il rispetto dei diritti umani per tutta la popolazione civile, senza discriminazione di etnia o religione;
– il ritiro del contingente militare italiano dal confine tra Turchia e Siria;
– una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite per istituire una missione di forze di interposizione con mandato ONU per la protezione della popolazione siriana e per ripristinare condizioni di ricostruzione democratica, di convivenza tra le diverse comunità;
– la costituzione di una commissione internazionale sotto l’egida dell’ONU per verificare l’eventuale uso di armi chimiche contro la popolazione siriana della regione della Rojava, del Ghouta; operazioni ed azioni militari che possano costituire crimini di guerra e/o azioni di vera e propria pulizia etnica di cui si sono rese colpevoli le parti coinvolte nel conflitto in questi anni;
– la costituzione di una commissione internazionale d’inchiesta sotto l’egida dell’ONU per scoprire esecutori e mandanti dell’assassinio di Hevrin Khalaf, segretaria generale del Future Syria Party, e dei suoi accompagnatori;
– la sospensione di accordi commerciali e di associazione tra l’Unione Europea e la Turchia;
– il non rinnovo dell’accordo tra UE e Turchia per la gestione dei rifugiati provenienti dalla Siria e da altri paesi in guerra;
– l’attuazione, da parte dell’UE e degli Stati membri di una politica di accoglienza e di integrazione di ogni uomo o donna in fuga da situazioni di rischio e minaccia alla propria vita e dei propri cari, siano condizioni di povertà, di repressione, di persecuzione, di disastri ambientali, di guerre, accompagnando queste politiche con programmi di cooperazione, di investimenti, con accordi commerciali e di associazione coerenti e diretti a eliminare le cause che obbligano le persone a fuggire in cerca di rifugio e di condizioni di vita dignitose;
– la ripresa di una profonda riflessione da parte del Parlamento Europeo sul ruolo dell’alleanza atlantica (NATO) e sulla necessità di avere una politica di difesa e un esercito di difesa europeo;
– il rilascio dei prigionieri politici e “verità e giustizia” per le vittime di sparizione forzata in Siria;
– togliere il PKK dalla lista delle organizzazioni terroriste;
– riattivare il programma europeo per la riconversione industriale dell’apparato militare, a sistemi dual e civile; mantenendo l’apparato militare per scopi prevalentemente di difesa e non commerciali;
– sostenere la società civile e democratica – quella siriana e delle altre popolazioni vittime di guerre e di regimi antidemocratici, quella turca che si oppone a Erdogan – con programmi di promozione dei diritti umani, in particolare per la libertà di espressione, di comunicazione, di associazione;
– promuovere iniziative di dialogo tra le comunità e di costruzione della democrazia dal basso.
Questa piattaforma è promossa da associazioni, sindacati, organizzazioni studentesche, artisti, sportivi, intellettuali, politici, pensionati, cittadini e cittadine, migranti, rifugiati, richiedenti asilo, che hanno a cuore i principi e i valori su cui si fonda l’Unione Europea, che si riconoscono nella carta universale dei diritti umani, che si impegnano e vogliono costruire una società giusta, libera e democratica. Libera da guerre e dalle armi. Libera da dittatori e regimi repressivi.
Roma, 29 ottobre 2019
Per adesioni scrivere a: adesioni.piattaforma.pace@gmail.com
Le adesioni e le informazioni sulle iniziative sono pubblicate e scaricabili nel sito: www.retedellapace.it
Chi e come toglierebbe le enormi quantità di armi in mano ai combattenti jihadisti? Tolti gli eserciti più efficienti in tal senso (oggi il russo, e allora?), tanti auguri a tutti. Prima di tutti ai curdi.
Scandalizzarsi perchè tutte le potenze giocano sulla pelle della gente in medioriente, è troppo poco per suggerire “piattaforme di pace” col solito dispersivo respiro olistico. Queste ultime puntano alla luna, ma per volerla davvero… dovrebbero evitare ciò che senza dubbio la offuscherebbe nel breve e medio termine.
Allo stesso modo, che segnale sarebbe ritirare i soldatini italiani al confine, per poi rimandarli quando l’ONU desse una (teoricamente) più accettabile pezza d’appoggio? Non sarebbe meglio far emergere la patente contraddizione tra la loro presenza e l’intervento turco? Contraddizione che in fin dei conti palesa come la NATO sia la sovrastruttura di dominio militare ed economico (anche per l’Italia, che giammai convertirà Leonardo a produzioni non belliche…), in cui resta spazio per qualsiasi mira imperialistica purchè compatibile con il funzionamento della macchina globale. L’aggressione turca trova spazio in questo quadro. Altre guerre potranno venirne. E’ la sovrastruttura che non è certo designata per prevenirle!
Nel frattempo, la crisi oramai irreversibile dell’ONU avanza. E non la fermiamo chiedendole fiumi di parole, se prima non impediamo ai dominatori di usarle come paravento.
Nè è davvero utile ogni malcelata pulsione a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, quando il vino scoppia dal suo contenitore per una fermentazione spontanea o indotta. Sto pensando all’idea (per me inconcludente e tale da offuscare la vista della luna) che non ci possa essere pace prima della difesa di CIASCUN diritto calpestato e prima dell’attacco a CIASCUN attore in guerra.
Fare una classifica di priorità, al contrario, aiuterebbe ad aversi una fermentazione umanamente accettabile per le genti del medioriente e del mondo. Già la si fa quando si parte dal Rojava (magari giustamente, mito o modello che sia) per farne discendere TUTTI i sogni pensabili. Ma si sbaglia, quando fatto salvo il vertice della classifica (oggi il Rojava, domani sarà il turno di qualche altro) i gradini sottostanti si confondono in un oceano di idealità olistica.
La classifica lascerebbe indietro qualche istanza. Quelli che non si può lottare per la pace senza prima…
L’alternativa è aspettare che (o lottare affinchè) tutto il Medioriente sia Rojava. Auguri a tutti, allora.