Dopo un ciclone di teorizzazioni gaglioffe sulla disaffezione al lavoro di giovani e meno giovani (non voglia di lavorare, divanismo, Neet, choosy ecc.), esaltate soprattutto dalla propaganda di sistema in seguito alla “colpevole” introduzione del reddito di cittadinanza, giunge ora, finalmente, un libro importante a richiamare l’attenzione sul fenomeno della fuga dal posto di lavoro o l’indisponibilità ad entrarvi, mettendolo in stretta relazione alla precarietà delle condizioni e delle tutele offerte e all’esigenza di valorizzare il proprio tempo di vita. In questo saggio Francesca Coin analizza l’esplosione di dimissioni volontarie dal lavoro, registratesi dopo la pandemia in tutto il mondo, partendo dal caso italiano. In Italia nel 2021 si sono registrati 1.900.000 casi di dimissioni che nel 2022 sono diventati 2.200.000. Negli USA i numeri sono ancora più eclatanti (48 milioni nel 2021, oltre 50 milioni nel 2022), ma il fenomeno, presente in modo massiccio nel mondo occidentale, ha caratterizzato anche paesi e culture più lontane (Cina, India, Giappone). Il “caso” italiano è analizzato con dati, citazioni e riferimenti puntuali e si concentra su tre settori del mercato del lavoro: sanità, turismo, ristorazione. Settori nei quali si è registrata una sproporzione di “uscite” rispetto agli “ingressi” e dove l’organizzazione del lavoro nella sua medietà presenta condizioni di precarietà, insufficienza di organici, aleatorietà di orari, retribuzioni, regolarizzazioni normative, vessazioni. Non a caso Coin titola il suo lavoro “Grandi dimissioni”, termine coniato da Anthony Klotz, psicologo del lavoro inglese che, tra le altre cause dell’abbandono (stress, esaurimento, burn out), citava appunto la necessità per le persone di conciliare vita e lavoro e di rispondere a una domanda esistenziale dopo la “scossa” pandemica che le ha relegate e isolate a difesa della propria incolumità e, nel fallimento di un modello produttivo, la volontà individuale di riprendersi un’idea di futuro che è stata negata.
Segnalazione di
Paolo Barsi
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