Tesla approda in Italia? La lezione di Stati Uniti e Svezia

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Stellantis vende lo stabilimento Maserati (ex Bertone) di corso Allamano a Grugliasco, acquistato nel 2009 dall’allora FCA e inaugurato nel 2013. Marchionne salutò l’acquisto della fabbrica come il primo passo di «un’evoluzione senza precedenti per Maserati». La fabbrica aveva occupato fino a 1.400 operai, prima del taglio di personale dell’anno scorso. I 200 operai rimasti risulta saranno impiegati a Mirafiori e l’area, di più di 200.000 metri quadrati, messa in vendita al miglior offerente. Il Comune di Grugliasco riporta sul suo sito la vendita del capannone di 115.000 metri quadri, annunciata da un sito immobiliare. E, giustamente, non intende modificare la destinazione d’uso, che dovrà restare a fini produttivi.

Il segretario della CGIL Piemonte, Giorgio Airaudo, anche in considerazione dell’incertezza dei futuri investimenti di Stellantis, propone agli industriali d’interpellare Elon Musk, amministratore delegato (CEO) di Tesla, e chiedergli di acquistare l’area per realizzarvi uno stabilimento che produca veicoli elettrici: «Sarebbe una grande opportunità per il nostro territorio, per l’innovazione e per l’occupazione. Tesla potrebbe trovare in Piemonte le competenze e le infrastrutture necessarie per il suo sviluppo».

Tesla impiega nel mondo 127.000 lavoratori ed è stata fondata nel 2003. Musk entrò nella maggioranza del capitale nel 2004 e ne divenne CEO. Nel 2017, Tesla era già la principale azienda USA per capitalizzazione e oggi detiene il 60% del mercato dei veicoli elettrici negli Stati Uniti, che produce in quattro stabilimenti. Ha fabbriche anche a Shanghai e vicino a Berlino. Impianti ipertecnologici, propulsori della transizione ai veicoli elettrici e alle auto a guida autonoma.

Come hanno raccontato diversi articoli e rapporti usciti negli USA in questi anni, Tesla è oggetto di azioni legali, controlli governativi e critiche dei media in merito a violazioni dei diritti di chi ci lavora. Musk è spesso protagonista di dichiarazioni fuori dalle righe; dichiaratosi «progressista sulle tematiche sociali», nel 2015 era uno dei maggiori finanziatori del Partito democratico ma è risolutamente contro il sindacato. Nella sua fabbrica di Fremont (California) ci sono stati almeno tre casi significativi di violazioni dei diritti. Nel 2021 alcune operaie hanno denunciato continue molestie sessuali che potevano avere origine, secondo le ricorrenti, anche nei suoi atteggiamenti pubblici verso le donne. La causa sarà discussa in Tribunale. Dal 2014 al 2018, la stessa fabbrica ha registrato un numero di violazioni, rilevate dall’Agenzia federale per la salute e la sicurezza nei posti di lavoro, tre volte superiore rispetto ai dieci più grandi stabilimenti automobilistici statunitensi messi insieme. Un’indagine del podcast Reveal ha affermato che Tesla «non ha segnalato alcuni dei suoi infortuni gravi nei rapporti legalmente obbligatori», onde minimizzare il numero di infortuni. Nel 2022 il Dipartimento per i diritti civili della California ha intentato una causa sostenendo la presenza in fabbrica di «un modello di molestie e pregiudizi razziali». Queste ultime azioni sono affrontate in via extragiudiziale, come prevede l’impegno assunto al momento dell’assunzione. Inoltre l’azienda è stata più volte richiamata dall’agenzia federale per la tutela dei diritti sindacali, NLRB, per aver ostacolato i legittimi tentativi dei e delle dipendenti di organizzare un sindacato.

Due sindacati, United Auto Workers in California e Workers United a New York, hanno cercato finora senza successo di sindacalizzare i lavoratori. Sull’argomento, nel 2018 Musk aveva twittato: «Niente impedisce al team Tesla del nostro stabilimento automobilistico di votare per il Sindacato. Potrebbero farlo se lo volessero. Ma perché pagare le quote sindacali e rinunciare alle stock option per niente?». Nel caso che Musk intendesse affermare che potranno usufruire di tali opzioni solo coloro che non aderiscano a un sindacato, è stata opportuna l’ordinanza del NLRB, che ha chiesto di smentire la sua affermazione antisindacale. Cosa che l’azienda non ha fatto. Nel giugno 2022, un rapporto dell’agenzia di stampa CNBC ha rilevato che dal 2017 al 2018 Tesla ha pagato la società di pubbliche relazioni MikeWorldWide per monitorare un gruppo Facebook del proprio personale creato per condurre ricerche sull’attività di organizzazione sindacale. Nel febbraio 2023, a Buffalo lavoratori e lavoratrici di Tesla hanno annunciato l’inizio della procedura di sindacalizzazione con Workers United (affiliato al sindacato siderurgico United Steelworkers). Il giorno seguente hanno presentato una denuncia al NLRB per il licenziamento di trentasette dipendenti che partecipavano al tentativo di sindacalizzazione.

Musk non si occupa solo di veicoli elettrici. Il suo ego sterminato tracima nello spazio. È impegnato infatti nella corsa per arrivare per primo su Marte. Un’indagine di Reuters ha rilevato che, a partire dal 2014, sono avvenuti oltre seicento infortuni sul lavoro all’interno di SpaceX, la sua impresa aerospaziale.

E in Europa come si comporta Tesla? In Svezia, uno dei paesi con il più alto tasso di sindacalizzazione del mondo, il 27 ottobre circa 130 dipendenti, iscrittɜ alla Federazione dei metalmeccanici (IF Metall), sono scesɜ in sciopero in sette dei comuni in cui si trovano le officine Tesla; pochi giorni dopo, lo sciopero si è esteso ad altre quattro officine. È la prima volta nel mondo che Tesla deve fronteggiare una lotta sindacale e certo al suo gruppo dirigente deve sembrare incredibile che in Svezia non sia apprezzata la cornucopia offerta insieme al contratto di assunzione: Welfare aziendale, sconti sull’acquisto dei veicoli, stock options. Manca però ciò che il movimento operaio svedese ritiene fondamentale: il contratto collettivo; un’assenza che dovrebbe far riflettere chi ripone in Musk la speranza di creare occupazione: a che prezzo? Lo sciopero in Svezia sta mostrando con grande chiarezza quale sia il modello di relazioni sindacali che Tesla vuole stabilire anche in Europa.

L’azienda ha effettuato una mappatura dell’appartenenza al sindacato del personale, minacciando di licenziamento chi intendeva aderire, e si è immediatamente attivata per trovare crumirɜ. Sul piano dei contenuti, Tesla Svezia ha risposto che i suoi contratti sono almeno equivalenti, se non migliori, del contratto collettivo. Non è di questo avviso Susanna Gideonsson, la segretaria generale della Confederazione nazionale del lavoro svedese (LO): «Non ci tireremo indietro», ha detto. E se Tesla dovesse lasciare la Svezia, chiedono i portavoce del fronte imprenditoriale? Pur augurandosi che non si arrivi a tanto, la segretaria generale risponde: «L’alternativa è che tutte le aziende del settore nella stessa situazione rifiutino di firmare il contratto collettivo […]. In Svezia ci ritroveremmo con un altro modello, sarebbe tutto da rifare». A IF Metall sono arrivati diversi attestati di solidarietà. La Federazione dei portuali ha annunciato che nei quattro maggiori porti commerciali della Svezia non saranno più scaricati i veicoli Tesla; la Federazione dei decoratori si asterrà dal verniciarli. La segretaria della Federazione dei e delle dipendenti delle comunicazioni, Gabriella Lavecchia, comunicando il blocco delle spedizioni dei componenti auto alle officine del gruppo, ha dichiarato: «Tesla e il suo proprietario, Elon Musk, si rifiutano di firmare un accordo collettivo e di seguire le regole del gioco in vigore nel mercato del lavoro svedese; la lotta di IF Metall è anche la nostra lotta. Rifiutandosi di sottostare alle regole del gioco in Svezia, Tesla tenta di procurarsi un vantaggio competitivo con dei livelli salariali e delle condizioni di lavoro peggiori di quelli che varrebbero con un contratto collettivo. Questo è totalmente inaccettabile».

Dopo un primo incontro fra le parti, rivelatosi del tutto inutile perché Tesla Svezia ha semplicemente confermato che non intende siglare alcun accordo collettivo perché la decisione può essere presa solo dalla casa madre, c’è stato un secondo incontro, da cui le parti sono uscite con l’accordo di rivedersi il 6 novembre. In quest’ultima occasione l’azienda non ha accettato alcuna riconvocazione. Mentre lo sciopero, entrato nella sua terza settimana, si allarga ad altre officine e altre federazioni, IF Metall ha annunciato il 13 novembre una decisione che fa capire quali siano le sue previsioni rispetto alla durata e alla rilevanza dello scontro: l’indennità di sciopero, che è corrisposta dal sindacato ai propri membri ed equivale mediamente all’80% dello stipendio, per chi lotta contro Tesla è innalzata dal 100% previsto fino ad ora (quindi già più alta del normale) addirittura al 130%; in altre parole, chi aderisce allo sciopero prenderà più di quello che guadagnerebbe con lo stipendio.

Nel frattempo, il malcontento verso lo stile di Musk si allarga alla Germania, dove moltɜ dipendenti dello stabilimento di Grunheide (vicino a Berlino) si lamentano delle condizioni di lavoro e del clima antisindacale. Un dirigente di IG Metall, Dirk Schulze, ha espresso la solidarietà della sua organizzazione al sindacato metalmeccanico svedese, dicendosi fiducioso sulle prospettive di mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori di Tesla, in Europa come negli USA. Qui il sindacato United Auto Workers, reduce dal rinnovo dei contratti di lavoro dei e delle 146.000 dipendenti degli stabilimenti delle tre grandi dell’auto (General Motors, Ford e Stellantis), ha annunciato che Tesla sarà uno dei prossimi obiettivi di sindacalizzazione. Anche il presidente degli USA, Biden, parlando il 9 novembre presso lo stabilimento Stellantis di Belvidere (Illinois), che sarà riaperto come ottenuto nel recente rinnovo contrattuale, ha auspicato la sindacalizzazione di Tesla (e di Toyota).

Si direbbe che sia tempo, considerato che viviamo in un sistema capitalistico, che Tesla perda il vantaggio economico, in disprezzo dell’onesta concorrenza, di non dover trattare collettivamente i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. La possibilità cioè di pagarlɜ in modo assai inferiore a quellɜ delle aziende sindacalizzate. Come afferma Christopher Nolan su The Guardian: «Nemmeno Musk può nascondersi per sempre dal movimento operaio. Che è in giro da molto più tempo di lui».

Sempre attendendo le opinioni di Musk sull’acquisto dell’area ex Maserati di Grugliasco, facciamo gli auguri a Tesla per il suo vaticinato arrivo in Italia. Che comporterebbe, sì, l’avvio di una produzione green e della relativa occupazione, ma a che prezzo per chi ci lavora? Non è questa la strada per una conversione ecologica che vada di pari passo con la giustizia sociale. Con Musk si aprirebbe inevitabilmente una bella sfida fra la tradizione italiana ed europea delle lotte e dei diritti sindacali e quella “made in USA”, pervicacemente antisindacale. Evidentemente faremo il tifo per la prima.

Gli autori

Ezio Boero

Ezio Boero, nato a Torino nel 1954, si è laureato in Scienze politiche con una tesi su “Politica dei trasporti e sviluppo urbano: il caso torinese”, ha fatto attività politica, sindacale e ambientalista. Da ultimo ha pubblicato “Storia sociale e del lavoro degli Stati Uniti”, StreeLib, 2019 (aggiornato nel 2023).

Monica Quirico

Monica Quirico, storica, è honorary research fellow presso l'Istituto di storia contemporanea della Södertörn University di Stoccolma. La sua ricerca verte sulla storia e la politica svedese, spesso in prospettiva comparata con l'Italia. Tra le sue pubblicazioni più recenti, Socialismo di frontiera. Autorganizzazione e anticapitalismo (Torino, Rosenberg & Sellier, 2018), scritto con Gianfranco Ragona.

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