Umano-inumano negli Stati Uniti: lavoratori a punti

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Parte prima

Il sistema a punti nell’industria di lavorazione della carne negli Usa ha costretto molti lavoratori a recarsi al lavoro anche se presentavano sintomi di infezione da Covid.

Ogni giorno che stai a casa hai un punto. Con un certo numero di punti (da 6 a 14, a seconda degli stabilimenti) sei licenziato. L’attribuzione dei punti dipende anche dalla benevolenza del capo, che ti devi conquistare. Le principali industrie hanno dichiarato di aver sospeso il sistema durante la pandemia, ma in realtà, anche nei casi migliori, la cosa è vera solo dopo che sei risultato positivo a un test. Fare il test è costoso, per molti c’è la paura dei controlli da parte dell’ufficio immigrazione, si deve aspettare a lungo il risultato e intanto si deve andare a lavorare. Alcune ditte hanno allentato i criteri nel momento di massima attenzione alla epidemia in questo settore (in moti stabilimenti c’è stato un elevato numero di morti) per poi tornare a regole ancora più rigide. In alcuni casi, i punti venivano assegnati e il lavoratore doveva fare un ricorso per farseli togliere, a volte a un call center che comunicava solo in inglese, problema ostico in stabilimenti dove i lavoratori parlano decine di lingue diverse. Il settore occupa principalmente lavoratori immigrati, in genere senza formazione professionale, che, nonostante le smentite delle aziende, vengono visti come un componente facilmente sfruttabile e manipolabile del processo produttivo, come «un pezzo di macchinario» (https://jacobinmag.com/2020/11/meatpacking-tyson-covid-symptoms-work).

Parte seconda

Vale la pena scommetterci. Complessivamente a metà novembre il numero di lavoratori dell’industria della carne che avevano contratto il Covid era di circa 50.000, con 250 morti. Risultato di un’assenza di regolazione e di controlli, di indebolimento del sindacato e di calcolata negligenza dei datori di lavoro, pronti a giocare con le vite dei dipendenti pur di far girare gli impianti. Il fatto è che parlare di giocare non è purtroppo solo una metafora: come si vede, i numeri sono abbastanza grandi, e si può pensare a utilizzarli per qualche forma di intrattenimento. In uno stabilimento dello Iowa, di quelli di cui si parlava sopra, un capo ha organizzato un giro di scommesse fra dirigenti e capisquadra: si puntava su quanti lavoratori si ammalavano, chi ci azzeccava vinceva tutto. La cosa è saltata fuori, è partita una denuncia, la ditta nega tutto (ma ha sospeso i capi). La denuncia si riferisce anche all’assoluta mancanza di protezioni e di distanziamento, alle pressioni per continuare a lavorare anche se chiaramente malati. Il cinismo dei capi è una cosa, ma ancor più grave è la mancanza totale di controlli da parte degli enti federali e statali, che delegano alle imprese tutte le questioni legate alla sicurezza: nello Iowa, sede della storia che stiamo raccontando, l’agenzia statale raccoglie semplicemente le denunce dei lavoratori (che richiedono la compilazione di complicati moduli, tutti naturalmente solo in inglese), poi telefona o manda una lettera alla ditta coinvolta, dal tenore «abbiamo ricevuto questa denuncia, non sappiamo se è vera, verificate voi e fateci sapere» (https://jacobinmag.com/2020/11/meatpacking-iowa-tyson-lawsuit-work-conditions-covid-19).

I comportamenti inumani si fondano sempre su solide basi strutturali…

Gli autori

Davide Lovisolo

Davide Lovisolo è stato docente di Fisiologia all'Università di Torino dal 1968 al 2015. Dal 1968 ha militato nei movimenti di base, è stato attivista politico in Avanguardia Operaia e poi in Democrazia Proletaria fino al 1978; dal 1980 al 1991 ha militato nel PCI. È stato uno dei responsabili del movimento per il diritto alla casa a Torino negli anni Settanta, delegato sindacale e esponente del Coordinamento Genitori torinese dal 1992 all'inizio degli anni 2000. Da anni è attivo nella cooperazione sociale.

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