Sulla vicenda dei rider di Foodora si è infine pronunciata, il 24 gennaio, anche la Suprema Corte. La sentenza è di grandissimo interesse, non soltanto per l’eco mediatica ma anche per il contenuto tecnico-giuridico e per le possibili implicazioni pratiche che vanno ben al di là del settore del food delivery.
La Cassazione conferma il dispositivo della decisione della Corte d’appello di Torino del 4 febbraio 2019 che, applicando l’articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015, aveva considerato il rapporto di lavoro dei ciclofattorini come collaborazione organizzata dal committente, con conseguente applicazione della disciplina del lavoro subordinato (https://volerelaluna.it/lavoro-2/2019/10/21/quali-tutele-per-i-ciclo-fattorini/). Ma ne corregge la motivazione, escludendo che tale rapporto possa essere ricondotto a un tertium genus, intermedio tra il lavoro subordinato e quello autonomo, con caratteristiche tanto dell’uno quanto dell’altro rapporto.
Il ragionamento della Cassazione si dipana da un premessa molto netta: l’articolo 2 del decreto legislativo n. 81 (che estende la disciplina del rapporto di lavoro subordinato «anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro») non è norma «meramente apparente», come pure era stato teorizzato in giudizio dalla difesa della Società, con l’avallo del Tribunale di Torino nella sentenza di primo grado (peraltro riformata sul punto già in appello). Ciò non soltanto per la fondamentale ragione che l’interprete deve sforzarsi di dare un senso alle nuove norme, ma anche perché la genesi dell’articolo, efficacemente ricostruita in motivazione, le attribuisce evidenti finalità anti-elusive in un contesto (quello del Jobs Act), nel quale, con l’abrogazione del lavoro a progetto, si riesumavano le vecchie collaborazioni coordinate e continuative (i cosiddetti co.co.co.), il cui possibile proliferare incontrollato andava in qualche modo arginato e contrastato. Per perseguire queste finalità anti-elusive – sempre secondo la Cassazione – il legislatore, consapevole delle difficoltà di ricondurre a unità tipologica la varietà estrema delle nuove forme di lavoro, ha ritenuto di limitarsi a valorizzare alcuni indici fattuali (carattere personale della prestazione, continuità della medesima, etero-organizzazione delle modalità di esecuzione di essa), considerandoli sufficienti a giustificare l’applicazione della disciplina dettata per il lavoro subordinato, senza bisogno di ulteriori indagini sulla qualificazione del rapporto come subordinato ovvero autonomo.
Oltre alla pregevole ricostruzione sistematica effettuata, la sentenza assume un significativo rilievo, sul piano anche pratico, nella parte in cui coerentemente afferma che l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato deve essere generalizzata, salvo casi di incompatibilità ontologica di singoli istituti in situazioni particolari (non specificate perché non oggetto di giudizio). Quindi, ai collaboratori etero-organizzati vanno applicate tutte le tutele del lavoro subordinato, e non solo gli specifici istituti richiamati dalla Corte torinese (e cioè sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita, orario, ferie e previdenza).
Di più, la Cassazione non esclude a priori la possibilità di ricondurre la prestazione dei ciclo-fattorini alla subordinazione piena ai sensi dell’art. 2094 del codice civile, anche se non affronta specificamente la questione, in quanto i difensori dei rider non hanno proposto ricorso incidentale sul punto (omissione abbastanza sorprendente perché la Corte d’appello di Torino aveva respinto la domanda principale, sulla base della discutibilissima affermazione secondo la quale la possibilità per il ciclo-fattorino di non accettare la chiamata escluderebbe di per sé la natura subordinata del rapporto).
Ma la parte della decisione destinata a pesare maggiormente per il futuro è quella in cui il Supremo Collegio, a sostegno della propria tesi, invoca anche la nuova legge che ha di recente riformulato il primo comma dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 81 (pur non applicandola direttamente perché emanata in epoca successiva ai fatti di causa). Si tratta della legge 2 novembre 2019, n. 148, che non soltanto ha introdotto disposizioni specifiche di tutela in favore dei moto e ciclo-fattorini, ma ha anche modificato il testo originario del primo comma del citato articolo 2, che regola, appunto l’intero universo delle collaborazioni etero-organizzate (https://volerelaluna.it/lavoro-2/2019/11/20/i-riders-aprono-la-strada-a-nuove-tutele-dei-lavoratori/). Orbene, la Corte di Cassazione coglie perfettamente la portata della riforma, alla quale attribuisce correttamente il senso di «rendere più facile l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza – per l’applicabilità della norma – di prestazioni “prevalentemente” e non più “esclusivamente” personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all’elemento della “etero-organizzazione”, eliminando le parole “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, così mostrando chiaramente l’intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione».
Il nuovo art. 2, pur essendo maturato nel contesto delle rivendicazioni dei rider, possiede un campo di applicazione ben più esteso e generalizzato. È, dunque, facile prevedere che, nell’interpretazione che ne ha dato il Supremo Collegio, esso favorirà in maniera significativa l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato a fasce molto ampie di lavoro autonomo, sino a oggi quasi del tutto prive di protezione anche per l’infelice formulazione del testo originario della norma, che ne rendeva controversa l’applicazione. In ogni caso la nuova normativa, così interpretata, riveste una importanza notevole, anche perché conferma un’evidente inversione di tendenza rispetto alla legislazione liberista della precedente legislatura, assicurando tutele efficaci ai lavoratori autonomi che si trovano in posizione di debolezza socio-economica rispetto ai committenti.
L’articolo è pubblicato contestualmente nel sito www.comma2.it