La legge di conversione (2 novembre 2019 n. 148) ha apportato importanti miglioramenti al decreto legge 3 settembre 2019 n. 101 in tema di tutela del lavoro dei riders, decreto che, emanato dal governo gialloverde in limine mortis, era stato fortemente criticato per la sua evidente inadeguatezza (si vedano: Tutele per i riders, il cerchio si chiude ma non è rotondo e Quali tutele per i ciclo-fattorini?).
La nuova maggioranza si è dimostrata sensibile ai rilievi avanzati da più parti, presentando un maxi emendamento, poi approvato dalle Camere, con il quale non soltanto si introducono disposizioni di tutela in favore in particolare dei ciclo e moto fattorini (i cosiddetti riders) ma si interviene anche su una delle norme chiave di uno dei decreti attuativi del Jobs Act.
Si tratta dell’art. 2 decreto legislativo n. 81/2015, che definisce la nozione di collaborazione organizzata dal committente e vi estende la disciplina del lavoro subordinato, pur senza farle ricadere nella sfera dell’art. 2094 codice civile: una sorta di tertium genus tra lavoro autonomo e subordinato. In sostanza, se un collaboratore opera con modalità etero dirette dal committente, gli si applicano le leggi protettive del lavoro subordinato e i contratti collettivi, anche se non rientra nella nozione di lavoratore subordinato.
La disposizione era stata applicata ai riders dalla Corte d’appello di Torino con sentenza del 4 febbraio 2019, alla quale il legislatore si è evidentemente ispirato. Ma la soluzione adottata dai giudici torinesi non era priva di incognite, in quanto la vecchia formulazione del citato art. 2 risultava davvero infelice.
Il legislatore, quindi, ne ha decisamente allargato il perimetro:
– mediante l’eliminazione del requisito spazio-temporale come elemento connotante l’etero organizzazione (viene eliminato dal vecchio testo l’inciso «anche con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro» che ne rendeva problematica l’applicazione, portando a confondere la etero-organizzazione con la etero-direzione che invece connota la subordinazione);
– mediante l’eliminazione del requisito dell’esclusività della prestazione personale del collaboratore, sostituito con il concetto di prevalenza;
– mediante infine la precisazione che l’organizzazione da parte del committente delle modalità della prestazione del collaboratore può essere esercitata mediante piattaforme “anche” digitali.
Permane invece il requisito della continuità della prestazione di lavoro organizzata dal committente, come pure rimangono numerosi casi di esclusione tra i quali spicca la pubblica amministrazione.
Pur essendo maturata nel contesto delle rivendicazioni dei riders, la riforma possiede un campo di applicazione ben più esteso rispetto al settore del food delivery, e anche dello stesso lavoro tramite intermediazione digitale, applicandosi a ogni attività di lavoro prevalentemente personale organizzata dal committente. È facile prevedere che la nuova normativa favorirà in maniera significativa l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato a fasce molto ampie di lavoro autonomo, sino ad oggi quasi del tutto prive di protezione, e ciò sia per l’infelice formulazione del vecchio articolo 2, sia per gli evidenti limiti delle tutele approntate dalla legge n. 81/2017 sul lavoro autonomo genuino.
Oltre a intervenire sull’art. 2 del d.lgs. 81/2015, la riforma interviene anche in un ambito più ristretto, garantendo livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi ovvero motocicli vari, attraverso piattaforme anche digitali. Essendo espressamente fatto salvo quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo 2, viene così assicurata una sorta di protezione a cerchi concentrici: una tutela forte, e cioè quella del lavoro subordinato, garantita a tutti i lavoratori autonomi (inclusi riders e in genere lavoratori operanti tramite piattaforme digitali o meno) la cui prestazione continuativa sia organizzata dal committente e una residuale, ma come vedremo significativa, destinata ai riders che eroghino solo prestazioni occasionali ovvero non etero-organizzate. Protezione residuale quantomai opportuna, posto che, almeno a quanto si apprende da alcune inchieste giornalistiche, la maggioranza dei ciclo (o moto) fattorini, per garantirsi un reddito sufficiente, è costretta ad operare in favore di più piattaforme che li retribuiscono come lavoratori occasionali.
In questa sede non è possibile descrivere in maniera compiuta la nuova disciplina destinata in particolare ai riders e quindi ci si limita a segnarne gli aspetti più importanti, che sono i seguenti:
– previsione della forma scritta dei contratti individuali di lavoro, con adeguato apparato sanzionatorio in caso di violazioni;
– definizione dei criteri di determinazione del compenso demandata ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative;
– divieto di cottimo, anche parziale, in mancanza di stipula di tali contratti, e garanzia anche in questo caso di un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti da contratti collettivi di settori affini.
Il divieto del cottimo risponde a evidenti esigenze di tutela della sicurezza dei fattorini che, in ragione di tale forma di pagamento, sono portati a rischiare la propria incolumità pur di effettuare quante più consegne possibile.
Di fondamentale importanza è anche la copertura assicurativa obbligatoria INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Purtroppo, le nuove disposizioni sui compensi entreranno in vigore soltanto decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione mentre quelle sull’assicurazione INAIL decorsi novanta giorni dalla medesima data (la legge di conversione è in vigore dal 3 novembre 2019).
La nuova normativa in ogni caso riveste una importanza notevole anche perché conferma una evidente inversione di tendenza rispetto alla legislazione liberista della precedente legislatura. In particolare, grazie soprattutto ai notevoli miglioramenti al testo del decreto legge apportati in sede di conversione, la riforma dell’art. 2 d.lgs. 81/2017 rappresenta un vero cambio di marcia ed è destinata ad avere effetti oltremodo significativi anche a livello sistematico.
Pur non essendo stata imboccata la strada più coraggiosa di incidere sulla definizione della nozione di subordinazione modificando l’art. 2094 cod. civ., la soluzione adottata è tuttavia sufficiente a creare un nuovo equilibrio nelle tipologie contrattuali, in quanto è destinata ad attrarre significative fasce di lavoro autonomo nell’area dell’art. 2 riformato, con conseguente applicazione delle ben più penetranti tutele proprie del lavoro subordinato. Ciò pur se non viene sciolto il nodo di quali siano in concreto le disposizioni applicabili, con particolare riguardo alle tutele in caso di recesso del committente (punto sul quale la Corte d’appello di Torino non prende posizione, anche se la miglior dottrina propende per la risposta affermativa).
Anche la tutela residuale, destinata specificamente ai soli riders, è molto avanzata e rappresenta un chiaro segnale che il lavoro, in tutte le sue forme, può essere efficacemente tutelato, superando la dicotomia paralizzante tra il lavoro subordinato (al quale l’ordinamento garantisce tutele significative) e il lavoro autonomo (al quale invece sono destinate protezioni molto deboli).
Il limite più evidente di questa parte della riforma è quello costituito dal suo ristretto campo di applicazione: com’è noto i ciclo e moto fattorini costituiscono solo un’esigua minoranza dei lavoratori impiegati tramite piattaforme digitali. È ben vero che la loro capacità di mobilitazione ha catalizzato l’interesse dell’opinione pubblica e quindi della politica, ma un trattamento di miglior favore rispetto all’universo del lavoro digitale difficilmente trova una giustificazione razionale.
La strada nella costruzione di un quadro di protezione accettabile per il lavoro in tutte le sue forme è dunque ancora lunga, ma i primi passi sono stati fatti.