USA. L’accordo al ribasso dei lavoratori della General Motors

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Dopo sei settimane di sciopero, il più lungo alla General Motors dal 1970 (si veda: USA, lo sciopero dei lavoratori della General Motors), i 50.000 lavoratori hanno approvato la bozza di contratto. Il 57% dei lavoratori ha votato a favore.

L’accordo prevede aumenti del 3% per i primi due anni, più somme una tantum, mantiene gli attuali benefits sanitari e individua un percorso per il passaggio a un contratto indeterminato per i lavoratori a tempo che siano in azienda da tre anni.

In realtà si tratta di un accordo molto brutto, che non accoglie le due principali richieste di questa lunga e dura lotta: l’abolizione del sistema a “due livelli” (per cui alcune fasce di lavoratori, in base a data di assunzione o altre caratteristiche, percepiscono un salario inferiore ai lavoratori del primo livello e non hanno diritto a pensione e assistenza sanitaria una volta non più in servizio) e lo stop alla chiusura di quattro importanti siti produttivi.

Del primo punto nell’accordo non si parla; per quanto riguarda i lavoratori temporanei, si calcola che su 4200 circa 200 potranno essere stabilizzati e ricevere qualche garanzia aggiuntiva (come qualche giorno di permesso all’anno…). In realtà tutto ciò accetta la strategia di General Motors di usare in maniera massiccia i lavoratori a tempo (per i quali il salario di ingresso è meno di 17$ all’ora): implicitamente, tutte le nuove assunzioni saranno a tempo! Non viene inoltre assolutamente toccata la pratica dell’esternalizzazione di buona parte dei servizi, che fa sì che i lavoratori coinvolti abbiano salari e diritti ancora inferiori. Per quanto riguarda gli impianti, General Motors ha solo accettato di riconvertirne e salvarne uno.

Sul voto ha pesato la profonda sfiducia dei lavoratori nella dirigenza del sindacato, coinvolta in un’inchiesta federale per corruzione e distrazione di fondi; molti hanno probabilmente valutato che questi negoziatori non potevano – o non volevano – ottenere di più, e che la partita era comunque chiusa.

Un altro aspetto rilevante, come segnala la rivista The Nation, è che la lotta si è svolta in un pesante isolamento politico: anche se una buona fetta di candidati Democratici si è fatta fotografare ai picchetti, il Partito Democratico come apparato non ha preso nessuna iniziativa, come promuovere un dibattito parlamentare sulla violazione delle promesse elettorali di Trump di non far chiudere nessun impianto, chiamare alla solidarietà altre categorie, aprire la discussione su come tassare i ricchi per finanziare la transizione verso produzioni più rispettose dell’ambiente. Niente di tutto ciò è avvenuto. Di là come di qua dall’oceano, i lavoratori non esistono per la politica istituzionale. Fino a quando?

Fonti:
https://www.thenation.com/article/democratic-party-trade-unions-gm-strike/
https://jacobinmag.com/2019/10/gm-general-motors-uaw-united-auto-workers-strike-plant-closings-temp

Gli autori

Davide Lovisolo

Davide Lovisolo è stato docente di Fisiologia all'Università di Torino dal 1968 al 2015. Dal 1968 ha militato nei movimenti di base, è stato attivista politico in Avanguardia Operaia e poi in Democrazia Proletaria fino al 1978; dal 1980 al 1991 ha militato nel PCI. È stato uno dei responsabili del movimento per il diritto alla casa a Torino negli anni Settanta, delegato sindacale e esponente del Coordinamento Genitori torinese dal 1992 all'inizio degli anni 2000. Da anni è attivo nella cooperazione sociale.

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