C’è lavoro e lavoro

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Alla fine del maggio scorso i portuali di Genova sono scesi in sciopero e sono riusciti a bloccare il carico sulle nave Bahri Yanbu e Bahri Jazan di generatori elettrici destinati all’Arabia Saudita per essere utilizzati nella guerra in atto nello Yemen (Le Havre–Genova: chiudere i porti, ma alle armi). La mobilitazione ha avuto una significativa eco nell’opinione pubblica e ne sono seguite anche alcune polemiche, da parte di imprenditori e politici, sui danni all’occupazione conseguenti a iniziative del genere (con esplicito invito ai lavoratori a non andare troppo per il sottile sul tipo di produzione soprattutto in periodi di crisi come l’attuale). Alle polemiche i portuali genovesi hanno risposto con una puntuale lettera diretta ai lavoratori della azienda produttrice dei generatori bloccati.
Nel pubblicarla ci piace ricordare un episodio poco noto ma di grande efficacia simbolica ed emotiva accaduto ormai molti anni fa, il 24 settembre 1970, in una fabbrica della Val Susa (le Officine Moncenisio di Condove), i cui operai e impiegati votarono all’unanimità il rifiuto a lavorare per la produzione di armi e la richiesta all’a­zienda di non accettare più commesse con finalità belliche. L’iniziativa era stata promossa da Achille Croce, operaio della ditta, convinto gandhiano e fondatore del Gruppo Valsusino di Azione Nonviolenta, che si era distinto per azioni pacifiche come l’occu­pazione del campo di tiro al piccione di Orbassano o lo sciopero della fame contro la guerra del Vietnam. Così racconta quella gior­nata storica un suo compagno, intervistato da Marco Aime (Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico in Val Susa, Meltemi, 2016): «Ricordo bene come si arrivò a quella decisione così importante, la prima nel mondo, non solo in Italia. Ave­vamo lavorato bene, discutendo le bozze reparto per reparto e Achille volle che fosse un impiegato a leggerla, per coinvolgere tutti, operai e impiegati a favore della pace, oggi si direbbe “senza se e senza ma”. Eravamo cinquecento lavoratori allora e ricordo il silenzio irreale di due/tre minuti: ognuno meditava e poi scoppiò un applauso fragoroso, la gente aveva capito!».
Allora come oggi c’è lavoro e lavoro.

 

Siamo i portuali di Genova scesi in sciopero per bloccare il carico sulla nave Bahri Yanbu e sulla Bahri Jazan dei generatori elettrici spediti dalla vostra azienda alla Guardia nazionale Saudita nel quadro di un contratto di forniture militari in corso dal 2018. Lo abbiamo fatto perché, dopo il blocco del carico dei cannoni a Le Havre da parte dei portuali francesi sulla stessa nave, abbiamo verificato che la Guardia saudita è un corpo militare impegnato nella guerra civile in Yemen, indicata dall’ONU come il teatro di una immane catastrofe umanitaria di cui l’Arabia è uno dei principali responsabili. Inoltre abbiamo verificato che le apparecchiature spedite fanno parte dei lotti di produzione per i quali TEKNEL ha chiesto autorizzazione al Ministero per l’esportazione di materiale militare. Nonostante ciò, abbiamo dovuto assistere alla farsa delle dichiarazioni della vostra proprietà che ha cercato in tutti i modi nascondere la verità sulla natura militare della spedizione di fronte all’autorità, al sindacato e all’opinione pubblica, creando una situazione di inganno insostenibile per i lavoratori, oltre che per la legge.

Noi non crediamo di ergerci al ruolo di salvatori dell’umanità o di giudici dei mali del mondo. Ma questa spedizione di armi alla volta dell’Arabia con lo scopo di fomentare la guerra in Yemen ci è parsa l’occasione per mandare un messaggio al Governo e al Parlamento italiano, in coerenza con quanto previsto dalla Costituzione e dalla legge 185 del 1990 sul controllo dell’esportazione dei materiali di armamento. L’Italia sospenda la vendita di armi all’Arabia Saudita, unendosi così alla lista di Paesi che già lo hanno fatto o lo stanno facendo, ovvero Svizzera, Germania, Austria, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Belgio, Olanda e Gran Bretagna. Persino il Senato USA, ossia del più forte alleato della dittatura saudita – è notizia di queste ore – ha bloccato il piano di Trump di vendita di armi ai sauditi per il loro ruolo nel sanguinosissimo conflitto nello Yemen.

Abbiamo voluto mandare anche un ulteriore messaggio al Governo su una altra questione che ci sta a cuore. Noi apparteniamo a una storia e a una cultura marinara e portuale in cui il soccorso e l’accoglienza sono valori fondamentali e in cui il commercio civile è praticato come mezzo per la prosperità dei popoli. Per questo è intollerabile assistere alla chiusura da parte del Governo dei porti per coloro che fuggono dai teatri di guerra, dalle dittature e dalle privazioni economiche e morali, mentre il Governo li lascia aperti al traffico di armi che producono direttamente e indirettamente quei fuggitivi. È un cinico riciclo di strumenti di morte, su cui profittano dei capitali immorali, che si trasformano in persone in fuga su cui profittano delle forze politiche xenofobe, sostenute da quei capitali, che costruiscono il loro consenso sociale e elettorale sulla demonizzazione e criminalizzazione dei profughi e dei migranti. Noi siamo contro e saremo sempre contro quei capitali e quelle forze politiche.

Perché vi scriviamo, oltre che per dichiararvi le nostre motivazioni? Perché siete lavoratori come noi e la vostra proprietà e alcuni imprenditori e politici ci accusano di danneggiare con questa esportazione anche la vostra occupazione. È questo un problema serio che non pretendiamo di affrontare in due righe; né pensiamo di risolvere da soli noi portuali la grande questione della riconversione industriale di pace dei siti di produzione militare. Noi diciamo però che anche su questo tema l’azienda non dice tutta la verità. Abbiamo letto i bilanci della vostra azienda e abbiamo visto che si trattava di un’azienda che produceva generatori solo per il mercato civile fino a qualche anno fa quando ha deciso di passare al militare che offre margini di ricavo e di profitto molto più alti. Infatti dal 2016 al 2018 sono cresciuti il fatturato (+59%) e gli utili (+100%), mentre l’occupazione diretta è rimasta invariata (13 addetti). Tuttavia le spese del personale sono diminuite (- 4%), alla faccia della tutela e della valorizzazione dell’occupazione decantata dalla vostra proprietà.

Vi invitiamo quindi a vigilare sulla vostra occupazione non perché minacciati dal nostro sciopero, bensì dalla politica aziendale che ha aumentato di oltre il 60% le spese per servizi acquistati, di cui certamente una gran parte sarà costituita da appalti e subappalti. Ma soprattutto occorrerà vigilare sul fatto che la TEKNEL nel 2018 ha acquistato per soli 5000 euro una fabbrica in Portogallo, la KSIM Lda, per cui ha immediatamente ottenuto dal Governo portoghese la licenza per le produzioni militari. Data la convenienza dei salari portoghesi rispetto a quelli italiani viene logico pensare che la TEKNEL più che alla tutela dell’occupazione italiana diretta si stia muovendo per la delocalizzazione in Portogallo.

Restiamo in ogni caso pronti a incontrarci e a discutere con voi apertamente, insieme ai rispettivi sindacati, da lavoratori a lavoratori onestamente, senza gli inganni di coloro che profittano sul nostro lavoro e che si fanno scudo della nostra occupazione quando gli conviene ma già sono pronti a eliminarci se hanno l’occasione di aumentare i loro utili.

I portuali genovesi che hanno bloccato il carico degli armamenti TEKNEL destinati all’Arabia saudita per la guerra in Yemen.

Genova, 21 giugno 2019

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