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11/02/2019 di: Elena Granaglia e Magda Bolzoni
Tutti i Paesi dell’Unione Europea hanno oggi schemi di reddito minimo improntati al principio dell’universalismo selettivo, ossia volti ad assicurare un reddito di base a tutte le persone in condizione di povertà. […] A partire da questo dato comune, tali schemi risultano variamente declinati, anche a seconda delle caratteristiche del welfare nazionale e del periodo storico in cui la misura è stata inizialmente introdotta. […] Qui offriamo una breve analisi delle principali caratteristiche degli schemi di reddito minimo dei Paesi dell’Europa a 15, cui è stata aggiunta, come da tradizione, la Norvegia (per un’analisi più dettagliata delle politiche di reddito minimo nell’Europa a 27 si vedano, tra gli altri, i lavori di BIN Italia, 2012; Busilacchi, 2013; Madama, 2012; Sacchi, 2013).
1. I criteri d’accesso al reddito minimo
Unità di riferimento e caratteristiche anagrafiche dei beneficiari
Gli schemi di reddito minimo si rivolgono generalmente alla famiglia.
Il nucleo familiare preso in considerazione varia, tuttavia, tra Paesi, se non addirittura all’interno dello stesso Paese, come accade in Spagna. Nella maggior parte dei casi, il riferimento è alla co-residenza anagrafica e alla famiglia nucleare, ma sono presenti variazioni nell’inclusione o meno all’interno dell’unità familiare dei figli di maggiore età conviventi, di altri parenti (e fino a che grado) o di persone con legami affettivi, sempre conviventi. In Portogallo, ad esempio, parenti conviventi fino al terzo grado possono essere inclusi nell’unità di riferimento, mentre in Lussemburgo il punto centrale è la condivisione dell’abitazione. In Svezia, il figlio maggiorenne che ancora viva con i genitori figura come unità indipendente: ciò significa che, nella richiesta di accesso alla misura di reddito minimo di un figlio maggiorenne convivente, il reddito dei genitori non è conteggiato e, viceversa, il reddito di un figlio maggiorenne (o oltre i 21 anni se è iscritto a un istituto di istruzione superiore) convivente non è conteggiato nell’eventuale richiesta presentata dai suoi genitori.
Spesso, poi, le misure di reddito minimo pongono vincoli relativi a caratteristiche anagrafiche quali la cittadinanza, la residenza e l’età. Per quanto riguarda i cittadini nazionali e comunitari, in tutti i Paesi in esame è necessaria la residenza effettiva nel territorio nazionale al momento della presentazione della domanda. In alcuni casi, è richiesta anche una durata minima di presenza stabile sul territorio: è il caso, ad esempio, della Danimarca […].
Benché i cittadini comunitari debbano essere equiparati a quelli nazionali, in virtù degli accordi europei sulla libera circolazione e sulla parità di trattamento, il principio della parità di trattamento non ha ancora trovato definizione univoca. […] Per i cittadini di Paesi non appartenenti all’Ue, le condizioni tendono a essere più rigide. La Germania, ad esempio, limita l’accesso alla misura ai cittadini di Paesi con cui siano stati stipulati accordi specifici in tal senso; il Lussemburgo richiede una comprovata residenza di almeno cinque anni negli ultimi venti; Francia e Austria vincolano la fruizione al possesso di un permesso come soggiornanti europei di lungo periodo (il cui rilascio è legato alla comprovata presenza regolare sul territorio nazionale per un periodo prestabilito e, spesso, a requisiti legati al reddito e all’abitazione).
Alcune considerazioni a parte devono essere fatte per i rifugiati, che il diritto comunitario equipara ai cittadini nazionali nella fruizione dei servizi socio-assistenziali (cfr. 2004/83/Ce). […]
Rispetto all’età, alcuni Paesi, quali Austria, Finlandia, Germania, Norvegia e Svezia, non pongono alcun vincolo esplicito. Altri prevedono un’età minima che varia dai 16 anni del Regno Unito, ai 18 anni di Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda e Portogallo, ai 25 anni di Lussemburgo e Spagna. In questi casi, deroghe ai limiti di età sono previsti se la persona è sposata, con figli (o in gravidanza) o con compiti di cura. Rispetto all’età massima, la distinzione maggiore è fra Paesi, come Olanda e Danimarca, che prevedono il passaggio a pensioni di base (lo stesso sistema è stato in vigore in Svezia fino al 2003, quanto è stato sostituito da una pensione erogata a tutti all’unica condizione di avere versato qualche contributo) e Paesi che utilizzano sistemi di reddito minimo per gli anziani. In ogni caso, in molti Paesi dove sono in essere schemi universali/categoriali, il reddito minimo funge da valvola di ultima istanza per chi restasse bisognoso (specificamente sui sistemi di protezione per gli anziani nei Paesi UE, cfr. Goedernè, 2012).
La soglia di povertà
Nessun Paese utilizza la soglia europea ufficiale per la misurazione della povertà relativa, ovvero il 60 per cento del reddito mediano disponibile equivalente, come valore di riferimento per stabilire la soglia di accesso alle misure di reddito minimo. In alcuni contesti, il valore della soglia risulta dall’aggiornamento annuale di quanto stabilito inizialmente all’introduzione della misura, motivo per cui è spesso complesso ricostruire la logica della scelta. […] In altri casi, il valore è definito facendo riferimento alle spese necessarie per coprire i bisogni considerati di base, attraverso una valutazione dei consumi di un paniere minimo di beni. […] Alcuni Paesi fanno invece riferimento ad altri standard di minimo presenti nel welfare nazionale. In Olanda e Lussemburgo, ad esempio, il minimo è fissato attraverso un confronto con le soglie dei minimi salariali, di cui rappresenta una percentuale, in Portogallo il riferimento è la pensione sociale, mentre in Danimarca la soglia è fissata al 60 per cento dell’importo dell’indennità di disoccupazione per famiglie senza figli e all’80 per cento per quelle con figli.
Il computo delle risorse
Anche a questo riguardo, le situazioni sono piuttosto eterogenee. A un estremo vi sono Paesi, come Austria e Svezia, dove l’assenza di patrimonio rappresenta una pre-condizione per l’accesso alla misura. In Svezia, ad esempio, il reddito minimo (come, in generale, l’assistenza sociale) si attiva solo quando tutte le altre risorse sono esaurite. […] All’estremo opposto, vi è il caso della Francia, che non prende in alcuna considerazione il patrimonio, prevedendo una valutazione patrimoniale solo qualora sia rilevata una discrepanza tra le risorse dichiarate e lo stile di vita. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il riferimento è sia al reddito sia al patrimonio, mobiliare e immobiliare, con limiti massimi che non devono essere superati. Franchigie specifiche sono spesso previste per la casa di abitazione e il mobilio. In Olanda, ad esempio, il limite di patrimonio ammissibile nel 2011 era di 5.555 € per una persona sola, e di 11.110 € per una famiglia, eventuale automobile inclusa, con una franchigia per l’abitazione di proprietà di 46.900 €. […] In alcuni Paesi, quali Finlandia, Lussemburgo e Norvegia, le leggi, pur includendo le risorse patrimoniali in quelle rilevanti ai fini della prova dei mezzi, non specificano le risorse cui far riferimento né i valori soglia.
Un aspetto da tenere in considerazione è, inoltre, l’inclusione o l’esclusione di altri trasferimenti assistenziali nel calcolo del reddito. In linea generale, i trasferimenti a vario titolo ricevuti dall’assistenza sociale sono inclusi nelle risorse economiche che compongono la situazione economica familiare. Sono tuttavia riscontrabili delle eccezioni. Non costituiscono reddito ai fini dell’accesso alla misura, ad esempio, gli assegni familiari in Irlanda, Lussemburgo e Portogallo, mentre nel Regno Unito non sono conteggiati gli assegni per i figli minori. Le indennità educative e di studio vengono escluse in Austria e Portogallo, le indennità per la casa e/o il riscaldamento in Germania, Portogallo e Regno Unito, le indennità di cura in Austria e Lussemburgo e quelle di invalidità in Danimarca e Regno Unito.
Franchigie sono poi presenti in alcuni Paesi per quanto concerne il reddito di lavoro. Ad esempio, in Portogallo viene conteggiato solo l’80 per cento del reddito da lavoro, e in maniera simile in Finlandia viene escluso dal calcolo il 20 per cento del reddito di lavoro, fino a un massimo di 150 € al mese per nucleo familiare.
La disponibilità all’attivazione
Su questo piano si rileva, invece, una crescente omogeneità. Dalla fine degli anni Novanta, si assiste ovunque a una progressiva intensificazione degli approcci di attivazione, un concetto complesso legato alla disponibilità dei beneficiari a seguire determinate linee di condotta, in ambiti che possono spaziare dal perseguimento di uno stile di vita salubre all’assolvimento dell’obbligo scolastico per i figli, ma che sempre di più ruotano attorno alla disponibilità a lavorare o, comunque, a partecipare a percorsi di orientamento al lavoro e/o di formazione.
Nella maggior parte dei casi, inoltre, si assiste all’adozione di una logica sanzionatoria sempre più cogente. In Danimarca, ad esempio, per chi vive in coppia, se uno dei due componenti non trova lavoro in sei mesi, l’importo è immediatamente diminuito. In Germania, la mancata partecipazione a un corso di formazione o il rifiuto di un lavoro considerato idoneo comporta la riduzione del sussidio del 30 per cento per tre mesi, una seconda violazione porta a una riduzione del 60 per cento, mentre alla terza il beneficiario perde l’erogazione per i successivi tre mesi, con l’eccezione dei contributi per affitto e riscaldamento che sono pagati direttamente al padrone di casa. […]
Le analisi comparate a livello europeo mostrano come le richieste di attivazione, così come le sanzioni a esse connesse, siano divenute particolarmente accentuate nei Paesi nordici e in Germania, Olanda e Austria (Sacchi, cit.).
2. L’ammontare e la durata del trasferimento
Nella gran parte dei Paesi considerati, l’erogazione si basa su un principio differenziale: fissato il valore della soglia d’accesso, il trasferimento colma la differenza tra le risorse del richiedente e il valore della soglia. Questo significa che tanto la soglia quanto le risorse prese in considerazione nella prova dei mezzi non determinano solo la possibilità di accedere alla misura, ma anche l’importo. Ovviamente, conta anche quanto della distanza dalla soglia si intende colmare. Secondo i dati Missoc aggiornati a luglio 2014, il tetto dei trasferimenti mensili base si muoverebbe tra i 178,15 € del Portogallo e i 1.433 € della Danimarca per persona sola, e tra i 374,10 € del Portogallo e i 3.808 € della Danimarca per coppia con due figli. In termini assoluti, nella maggior parte dei Paesi il trasferimento si aggira attorno ai 350 euro al mese netti per persona sola. Se, invece, si considera la percentuale di reddito mediano disponibile equivalente che il trasferimento fornisce, i valori per persona sola vanno da un minimo di circa il 20 per cento in Svezia e Norvegia al massimo del 40 per cento e 50 per cento di Danimarca, Lussemburgo, Irlanda e Olanda; per coppia con due figli invece ci si muove tra valori attorno al 25 per cento di Spagna, Svezia e Norvegia, e valori superiori al 50 per cento di Irlanda e Danimarca (dati OCSE relativi al 2013, esclusi i trasferimenti per le spese dell’abitazione).
In altri Paesi, invece, il trasferimento è graduato: fissato un minimo, all’aumentare del reddito guadagnato il trasferimento diminuisce solo di una data percentuale. Un esempio è fornito dalla Gran Bretagna e un altro dalla Francia (in entrambi i casi, il tasso di andamento si attesta attorno al 65 per cento). In alcuni Paesi, come la Germania, per importi minimi di ore di lavoro e di retribuzione, si permette anche di mantenere in pieno il diritto al sussidio.
Tipicamente, i Paesi aggiustano l’importo sulla base della numerosità familiare, seppur con scale di equivalenza differenti. In alcuni casi sono poi presi in considerazione anche altri elementi. […]
In buona parte dei casi, i trasferimenti non sono soggetti a tassazione; fanno eccezione Danimarca, Lussemburgo, Olanda e Spagna. […]
La durata è in generale illimitata o ampiamente rinnovabile nel tempo. In Spagna e Portogallo, la fruizione delle misura è annuale, ma può essere rinnovata per un numero illimitato di volte, qualora le condizioni di indigenza permangano, previa formale verifica da parte dell’amministrazione pubblica. La verifica periodica della situazione economica del beneficiario è prevista anche in altri Paesi, quali Austria, Germania e Svezia, in cui, tuttavia, la durata della misura non è limitata nel tempo.
3. Le modalità di amministrazione
La definizione del reddito minimo è, nella maggior parte dei Paesi, responsabilità nazionale. In Francia, Germania, Irlanda, Regno Unito e Belgio, la determinazione del valore della soglia è, ad esempio, fissata da un decreto o da una specifica indicazione del Governo (o del Parlamento), che stabilisce un valore unico valido su tutto il territorio nazionale. In Olanda, Irlanda e Finlandia, anche i livelli locali sono chiamati a collaborare con il livello nazionale per la determinazione della soglia minima. In Spagna e, forse inaspettatamente, in Svezia, il ruolo locale è più pronunciato anche sul piano del disegno, seppure anche in questi Paesi esista una struttura nazionale. […] La gestione concreta, la verifica e l’erogazione, invece, vedono ovunque un ruolo centrale del livello locale e, in particolare, municipale.
Rispetto al grado d’integrazione fra redditi minimi, il panorama torna a essere più differenziato. Accanto alla Gran Bretagna, che con lo Universal Credit, lanciato nel 2013 e in fase di progressiva attuazione, mira a sostituire addirittura sei misure prima esistenti basate sulla prova dei mezzi (Joobseeker’s Allowance, Housing Benefit, Working Tax Credit, Child Tax Credit, Employment and Support Allowance e Income Support), e ai Paesi scandinavi, che fanno leva essenzialmente su un unico strumento di reddito minimo, vi sono Paesi, come Germania, Spagna e Irlanda, dove sono presenti diversi insiemi di redditi minimi. […]
Gradi d’integrazione diversa caratterizzano anche l’erogazione dei servizi che, con il progredire della strategia dell’attivazione, sono ovunque venuti ad affiancarsi all’erogazione dei trasferimenti monetari. Anche sotto la spinta europea, infatti, si è affermato un sempre maggior coordinamento tra servizi socio-sanitari, servizi di assistenza economica e servizi per il lavoro. […] Oltre a un’integrazione di tipo istituzionale, caratterizzata dalla creazione di agenzie uniche, si registra in alcuni casi anche un’integrazione di tipo funzionale, in particolare nell’ambito dei servizi accessori (Sacchi, cit.). Un recente studio comparato sugli aspetti organizzativi dei sistemi a sostegno dei percorsi d’inclusione sociale sottolinea come tale connessione tra servizi, anche messi in campo da diversi livelli di governo, sia particolarmente rilevante nell’offrire un effettivo aiuto all’attivazione individuale (Heindenreich et al., 2014). […] In diversi Paesi, come Germania, Gran Bretagna e Svezia, è in atto un progressivo ricorso anche a erogatori di servizi privati e a scopo di profitto (su alcuni problemi, cfr. Larsen, Wright, 2014).
4. Lo spazio del reddito minimo nelle più complessive politiche sociali
Un ultimo aspetto concerne lo spazio occupato dai redditi minimi all’interno del più complessivo sistema di protezione sociale. Fermo restante che in tutti i Paesi il reddito minimo si accompagna ad altre misure selettive di sussidio a determinati consumi nonché a minimi salariali (nella gran parte dei Paesi considerati stabiliti per legge), assistiamo ancora oggi alla contrapposizione tipicamente rilevata dalla letteratura fra i Paesi scandinavi, con uno stato sociale caratterizzato da trasferimenti universali e istituti più generosi di sicurezza sociale, che attribuiscono al reddito minimo e alle più complessive politiche selettive un ruolo residuale, e Paesi, come la Gran Bretagna, dove il reddito minimo e il più generale comparto assistenziale hanno un peso maggiore.
Ciò nondimeno, si registrano diversi segnali di cambiamento nel mix fra le componenti selettive e quelle previdenziali/universali, che vanno verso un ampliamento dello spazio dei redditi minimi. Da un lato, la causa è da ricercare in cambiamenti istituzionali. […] Dall’altro lato, se le condizioni del mercato del lavoro mutano e aumenta il numero dei poveri e di chi non è protetto dai regimi previdenziali, aumenta inevitabilmente il ruolo del reddito minimo anche a parità di regime istituzionale, come sembra essere il caso della Svezia (Angelin et al., cit.).
Un ampliamento dello spazio dei redditi minimi, occorre sottolineare, non implica necessariamente una migliore protezione per chi sta peggio. Al contrario, come appena indicato, un aumento della spesa potrebbe semplicemente riflettere un aumento del numero di beneficiari e ciò potrebbe anche avvenire a fronte di una diminuzione del sostegno. Nonostante alcune eccezioni, […] questo sembra essere il caso per la maggior parte dei Paesi europei. A partire dalla metà degli anni Novanta, infatti, si registra una crescente inadeguatezza degli schemi di reddito minimo nel contrasto alla povertà dei soggetti in età da lavoro (Marx et al. 2015; Marchal et al., 2014).
L’articolo è un estratto dal volume delle autrici “Il reddito di base”, Ediesse, 2016.
Riferimenti bibliografici
Angelin A., Johansson H. e Koch M. (2014), Patterns of institutional change in minimum income protection in Sweden and Germany, in «Journal of International and Comparative Social Policy», 30, 2, pp. 165-179.
BIN Italia (2012), Reddito minimo garantito. Un progetto necessario e possibile, Edizioni Gruppo Abele, Torino.
Busilacchi G. (2013), Welfare e diritto al reddito. Le politiche di reddito minimo nell’Europa a 27, Franco Angeli, Milano.
Goedernè T. (2012) Minimum income protection for Europe’s elderly. What and how much has been guaranteed during the 2000s? in I. Marx e K. Nelson (eds.), Minimum Income Protection in Europe, Palgrave-MacMillan, Basingstoke.
Heindenreich M., Petzold N., Natili M. e Panican A. (2014), Active inclusion as an organisational challenge: integrated anti-poverty policies in three European countries, in «Journal of International and Comparative Social Policy», 30, 2, pp.180-198.
Larsen F. e Wright S. (2014), Interpreting the Marketization of Employment Services in Great Britain and Denmark, in « European Journal of Social Policy», 24, 5, pp. 455-469.
Madama I. (2012), La politica socio-assistenziale, in M. Ferrera (a cura di), Le politiche sociali, Il Mulino, Bologna, pp. 239-294.
Marchal S., Marx I. e Van Mechelen N. (2014), The Great-Wake Up Call? Social Citizenship and minimum income provisions in times of crisis, in «Journal of Social Policy», 43, 2, pp. 247-267. Marx I., Nolan B. e Olivera J. (2015), The Welfare States and Anti-Poverty Policy in Rich Countries in A. Atkinson e F. Bourguignon (eds.), Handbook of Income Distribution, vol.2B, Elsevier, Amsterdam.
Sacchi S. (2013), Lezioni da alcune esperienze europee, in http://www.frdb.org/upload/file/presentazione_sacchi.pdf