Lavoro e globalizzazione, sempre lo stesso problema

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I fautori del liberismo intendono per “globalizzazione economica” la creazione di un libero mercato che coinvolga l’intero pianeta. Essi ritengono che un mercato siffatto determini un’integrazione dell’economie dei vari Paesi che non può non essere vantaggiosa per tutti.

Se questa tesi liberista sia fondata è questione oggi discussa. Ma può essere utile ricordare che la globalizzazione non ha avuto effetti vantaggiosi per tutti quando, per la prima volta nella storia, ha coinvolto continenti diversi. Per intere popolazioni ha avuto risultati disastrosi.

La prima forma storica di globalizzazione economica nell’età moderna si è sviluppata a seguito della scoperta dell’America e della colonizzazione del Nuovo Mondo da parte degli europei. Fino ad allora le rotte del commercio marittimo avevano riguardato prevalentemente il Mediterraneo. Ma ora acquistavano maggiore importanza i commerci che si svolgevano sulle nuove rotte atlantiche e di questi commerci diventarono protagonisti i Paesi che sull’Atlantico si affacciano: Portogallo e Spagna in un primo tempo, in seguito Olanda, Inghilterra e Francia. I traffici che legavano questi Paesi con le loro colonie americane diedero origine a un mercato globale che determinò un’integrazione economica tra continenti diversi. Un mercato guidato però dall’avidità di mercanti e di compagnie coloniali che realizzavano alti guadagni rivendendo in Europa i nuovi beni che venivano prodotti nelle colonie quali l’argento, lo zucchero, il caffè, il cacao, il tabacco e il cotone.

Come venivano prodotti questi beni? I primi coloni europei non esitarono a costringere a lavorare come schiavi gli indigeni americani. Nelle miniere d’argento dell’America meridionale, ad esempio, furono forzati migliaia di schiavi, senza preoccuparsi dell’alta mortalità che questo duro lavoro provocava. Il diffondersi di questo uso privo di scrupoli degli schiavi ha così causato una drastica decimazione delle popolazioni native. Vale a dire, un genocidio che certamente non ha favorito la popolazione locale.

Ma, se le popolazioni indigene non erano in grado di sopportare il lavoro al quale venivano costrette, occorreva trovare un’alternativa. L’avidità dei mercanti europei la trovò sostituendo gli schiavi indigeni con schiavi africani, dando così origine al più grande commercio di schiavi della storia che si protrasse dal XVI fino al XVIII secolo. Questo commercio ha collegato tre continenti come l’Europa, l’Africa e le Americhe e perciò viene chiamato “commercio triangolare”: navi commerciali partivano da porti europei dirette alle coste occidentali dell’Africa; qui compravano schiavi africani da commercianti arabi pagandoli con prodotti artigianali; ripartivano poi con il loro carico umano da rivendere sui mercati americani degli schiavi; e ritornavano in Europa con lo zucchero, il caffè, il tabacco e il cotone prodotti dagli schiavi nelle vaste piantagioni americane. La rivendita di queste merci sui mercati europei garantiva guadagni ingenti ai mercanti e alle compagnie coloniali che del commercio triangolare erano i gestori.

Chi ha tratto vantaggio da questa prima forma di globalizzazione? Certamente i mercanti europei che ne sono stati protagonisti. Certamente i proprietari delle grandi piantagioni, protagonisti dell’economia schiavista instauratasi nel Nuovo Mondo. Vantaggi ci sono stati anche per i mercanti arabi dediti a organizzare razzie sistematiche di uomini, donne e bambini africani da ammassare sulle coste in attesa della loro vendita.

Ma non c’è bisogno di dire che la tratta degli schiavi è una vergogna che macchia in modo indelebile l’avvio della globalizzazione economica. Il numero degli schiavi africani deportati nel Nuovo Mondo viene stimato tra i 9 e i 12 milioni. Di questi circa 2 milioni morirono, durante la traversata dall’Africa alle Americhe, per i modi in cui venivano trasportati: incatenati in spazi ristretti nella stiva delle navi, con cibo e acqua razionati, per tutta la durata del viaggio che poteva essere di diversi mesi.

Si tratta beninteso di vicende del passato. Ma alla base di quelle vicende c’era un preciso calcolo economico che induceva mercanti europei e proprietari delle piantagioni americane ad agire in quel modo. Il problema che costoro si posero era lo stesso che ancora oggi interessa le imprese multinazionali protagoniste della globalizzazione: come produrre per il mercato con la minor spesa possibile per la manodopera? La tratta degli schiavi africani parve loro la soluzione più efficiente. Una soluzione oggi per fortuna impossibile. Resta aperta però la questione se le soluzioni che oggi danno le multinazionali vadano davvero a vantaggio di tutti.

Gli autori

Ettore Gliozzi

Gliozzi Ettore, professore emerito nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino. Si è occupato in particolar modo di diritto societario e dell'impresa. Tra le sue principali pubblicazioni: Gli atti estranei all'oggetto sociale nelle società per azioni; Dalla proprietà all'impresa; L'imprenditore commerciale. Saggio sui limiti del formalismo giuridico; Legalità e populismo.

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