Thieves of Time. Intervista a Cosima Dannoritzer

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Nel momento in cui abbiamo convertito il tempo in denaro, il capitalismo lo spreme come qualsiasi altra risorsa.
Si dice spesso che il tempo è denaro e la documentarista Cosima Dannoritzer (Dortmund, 1965) ha voluto commentare questo tema con un documentario.
La mancanza del tempo è ormai impressione diffusa tra le persone, obiettivo del documentario è esplorare come i mantra della produttività e dell’efficienza abbiano permeato il nostro (cattivo) vivere quotidiano, senza lamentarsi troppo.
«Dopo aver realizzato il documentario, mi rendo conto che, quando esco di casa, non dedico neanche un minuto per scoprire qualcosa di nuovo», spiega, «tutto è pianificato, esco correndo e se qualcuno ha bisogno di aiuto lungo la strada? Che cosa succede se sento un musicista e io voglio ascoltarlo?».
Va riconquistata la consapevolezza dell’uso – e del furto – del tempo e gettare le basi per cominciare a concepire e difendere la capacità di controllarlo come diritto inalienabile di ogni persona.

È stato il suo rapporto con il tempo che ha dato origine al documentario?

Se lavori come free lance è un argomento che hai sempre in mente. Subiamo sempre la pressione che il lavoro deve essere fatto in tempo. Un’altra cosa che ho notato è che molte volte ci fanno lavorare in posti dove prima c’era qualcuno assunto per fare quel lavoro. Riflettei all’aeroporto dove dovevo fare la gestione online, stampare la mia carta d’imbarco, controllare la valigia e, alla fine di tutto questo, dover pagare per queste attività. Mi sono chiesta: chi ha fatto il lavoro?

Nel documentario si fa riferimento a coloro che prestano le attività come “lavoratori parziali”. Che ruolo hanno queste figure?

Non è un nome che mi sono inventata. Viene dal marketing e dalla gestione di società fin dagli anni ’30, dove si considerano i consumatori nel piano aziendale, per organizzare il loro lavoro. Ritornando all’esempio dell’aeroporto: stampo la mia carta d’imbarco e controllo la mia borsa: il lavoro del consumatore è parte del budget di molte aziende e non lo si attribuisce a nessun altro. Ad esempio, nelle macchine self-service per ottenere i biglietti del treno, di solito c’è una persona della compagnia vicina alla macchina e se non so come fare il biglietto mi spiegano come si fa, ma quasi mai toccano la macchina, come se fossi una nuova dipendente che deve imparare.
Questa tecnica è in espansione. Anni fa in un fast food dovevi prendere il vassoio da solo. Ora puoi selezionare e servirti i cibi per riporli in una fila di forni a microonde per riscaldarli.

Questo fenomeno crea condizioni lavorative precarie?

È consuetudine attribuire ai “lavoratori parziali” sempre più operazioni, molte volte specifiche e specializzate. Ci trattano come impiegati: mettono una persona che spiega un po’ come funziona o inserire istruzioni sul web. L’unica differenza è che non abbiamo stipendio. Ecco l’interesse per le aziende.

Chi viene considerato con il concetto di “ladri di tempo” nel suo ultimo film?

Esistono molte tipologie di ladri di tempo. Per un’azienda, sei un ladro di tempo ogni secondo che non lavori. Abbiamo girato in una fabbrica di fast food negli Stati Uniti dove non è permesso ai lavoratori andare in bagno, perché lo considerano un furto del tempo Questo accade in molte fabbriche e call center. Può anche essere che ti diano un badge per l’ingresso nei bagni e che i cinque minuti che hai usato per andare al lavandino non vengano pagati. Le prime lotte cominciano ad avere luogo anche nei tribunali. A volte il furto del tempo avviene con lo scambio, soldi in cambio di tempo: vai a Ikea e il prezzo è più economico perché investirai una parte del tuo tempo a montare il mobile. Penso sia importante che sia una decisione consapevole.
Le reti sociali sono dei grandi ladroni del tempo: diciamo che non abbiamo tempo per nient’altro e forse abbiamo trascorso quattro nella rete.

Se lo decidiamo noi, non ci rubano il tempo, no? Può essere un divertimento.

Con il documentario vorrei aprire il dibattito in modo da essere consapevoli di quando e in che forma rubano il nostro tempo e, in quel momento, poter pensare e decidere se lo permetto o no. È più economico o più veloce se peso la frutta al supermercato? Molte volte cercano di venderci l’idea del vantaggio e dobbiamo essere consapevoli di quando è falso. Banalmente, un piccolo cambiamento potrebbe essere quello di andare nei negozi e nei servizi in cui una persona ti serve, invece di diventare lavoratore parziale. Dobbiamo rivendicare il diritto a controllare il tempo.

Il lavoro è un ladro del tempo?

Non necessariamente. È un esempio di come il nostro tempo viene trasformato in denaro. Con un contratto di lavoro, quello che faccio è vendere il mio tempo. In questo scambio il salario può essere giusto o no e, magari, possono costringerti a fare ore extra che non ti pagano, allora è un furto del tempo. L’ossessione che il “tempo è denaro” arriva con il capitalismo industriale. Non si paga più per il pezzo prodotto ma per ore passate in fabbrica. Nel momento in cui abbiamo convertito il tempo in soldi, il capitalismo lo spreme come qualsiasi altra risorsa.

La monetizzazione del tempo spiega il disagio quando ci dicono che stiamo perdendo tempo? Diresti che è qualcosa che caratterizza questa società?

Nel momento in cui entro nell’idea che nel lavoro debbo essere efficiente, è molto facile fare il passo successivo e pensare: nel mio tempo libero, debbo essere altrettanto efficiente? Quando pensiamo al nostro tempo libero, pensiamo anche che potrebbe essere venduto a qualcuno e a volte costa dire «Ho due ore e posso dedicarle a qualcuno o a una attività piacevole». Quando una persona non lavora, tendiamo a pensare che invece potrebbe farlo, anche solo partecipando a un corso per migliorare il lavoro. Viviamo con il chip della performance e dello sfruttamento totale. È vero che il nostro tempo è limitato, ma scambiarlo con soldi non è l’unica cosa che possiamo farcene.

In questa dinamica, il riposo perde prestigio?

In un laboratorio di gestione del tempo che appare nel documentario, un partecipante si vede in sogno come un ladro di tempo perché, se dormissi meno potrebbe fare di più, come altre persone che già fanno di più. Il film spiega anche il caso di un progetto di imprenditori russi che volevano mettere degli specchi nello spazio per riflettere la luce dal sole alla terra nei periodi notturni per essere più svegli, per lavorare di più, per consumare di più: il tempo del sonno è la grande resistenza che ci è rimasta. Quando dormiamo abbiamo il nostro tempo al 100 × 100. Il mercato vede le ore del sonno assurde perché così non possono monetizzate. Ora ci sono aziende che ti installano alcune macchine che raccolgono dati mentre dormi.

Qui diventa evidente la contraddizione tra accumulazione del capitale e cura per la vita che caratterizza l’economia delle donne.

Per me la questione ha a che fare con la democrazia. Il progetto di riforma oraria Fabián Mohedano, un deputato catalano, si caratterizza per difendere il diritto al tempo libero per la democrazia. Pensa che abbiamo bisogno di più tempo per relazionarci l’un l’altro ed essere in grado di fare progetti, per fare progressi democratici.
Se lascio il lavoro e torno a casa solo per cucinare e fare i compiti con i bambini, non posso andare a una riunione o partecipare a un progetto di quartiere, né ho il tempo di leggere il giornale e sapere cosa sta succedendo. C’è il rischio di diventare esseri inferiori socialmente e che non permettiamo che entrino nella nostra testa questioni che hanno a che fare con le altre persone.

Le donne sono quelle che sopportano il doppio turno, il lavoro pagato e di cura. Che diventa triplo, se aggiungiamo l’attivismo. La coppia può essere uno dei ladri di tempo?

Se il tuo partner non fa niente in casa, può essere un ladro di tempo, perché ti costringe a dedicare molto più del tuo tempo mentre lui ha più tempo per divertirsi o lavorare con le conseguenze nelle disparità di salario e nella capacità di contribuire. Il ritorno dal lavoro a casa e avere molte più cose da fare è stato una costante per le donne. Anche per loro il diritto di controllare il proprio tempo fa parte della democrazia, anche perché è correlato molte volte con il potere. Ci sono molte aziende che amano dire «mi hai venduto il tuo tempo e ti pago lo stipendio, ora il tuo tempo è mio e ti dico quando devi arrivare e quando puoi uscire». Si dimenticano che con più libertà personale nell’uso flessibile del tempo c’è più efficienza e voglia di lavorare. Minor esercizio del potere può portare a prestazioni migliori, ma molte volte, per qualcuno, il potere sul tempo è molto allettante e si arriva alla follia di non lasciare che i lavoratori vadano in bagno. Una cosa è la sostanza, il capitalismo, e l’altra è il desiderio di controllare le persone.

Quali conseguenze ha per la società un suo funzionamento con il tempo segnato da produttività ed efficienza?

Le persone non sono più lì per aiutare, non perché siamo crudeli, ma se sono stressato il cervello si chiude, non vediamo più le persone che abbiamo attorno a noi. Se pensiamo che il tempo sono solo soldi, non pensiamo alla produttività sociale e non aiutiamo gli altri come nel prendersi cura di se stessi. Questo è un pericolo.

C’è un modo per riappropriarci del nostro tempo?

La prima cosa: la consapevolezza del tempo che ho e di ciò che voglio fare con lui. Non dirò che possiamo vivere senza orologi, perché sono molto utili. Ma devi avere degli spazi in cui il tempo è libero. Il tempo non può appartenere a un’altra persona. Né essere lo strumento per metterci sotto pressione per 24 ore.

Le condizioni precarie rendono difficile uscire dalla logica del tempo-denaro. Riflettere su come vogliamo investire il nostro tempo non è forse possibile solo se garantiti nell’avere tutti i bisogni minimi coperti? In che modo povertà economica e povertà nel tempo sono tra loro collegati?

Se devi lavorare molte ore per uno stipendio che ti permette a malapena di vivere, povertà economica e povertà di tempo sono indubbiamente correlate; ma siamo a un punto del sistema economico che si propone un uso forzato ed etero diretto anche quando hai uno stipendio buono. Abbiamo bisogno di una base legale che ci dia il diritto a pause e tempo libero, accesso a posti nelle scuole per bambini e servizi sociali in modo da non dover prenderci cura di tutto individualmente. Il tempo è una risorsa, come l’acqua e la terra, ed è sfruttato allo stesso modo.

L’insostenibilità in cui viviamo immersi è un filo conduttore del documentario “ladri del tempo” in cui hai reso popolare il concetto di obsolescenza programmata: compra, butta, compra?

L’obsolescenza programmata ci ruba il nostro tempo. Ci fa lavorare di più per comprare di più e dedicare tempo per comprare di più. Vale la pena fare l’esercizio mentale del calcolo di quanto tempo vale quello che stai per comprare. Ci costa di più trovare due ore per prendere un caffè con qualcuno e ascoltarlo, piuttosto che comprare un regalo e inviarglielo. Possiamo aiutare le persone molto di più con il tempo. Da qui, le esperienze comunitarie come, ad esempio, la banca del tempo. Se condivido di più, forse devo lavorare di meno, perché spendo di meno. Guarda i volti delle persone quando qualcuno che fa un sondaggio per la strada e si avvicina per chiedere di dedicargli cinque minuti, è come se avesse chiesto loro qualcosa molto duro… ci sentiamo aggrediti. La reazione è sproporzionata. È sintomatico… tutti noi ci lamentiamo del fatto che non abbiamo tempo.

Come è avvenuto con il concetto di obsolescenza programmata, pensi che potremo incorporare il concetto di ladri del tempo nella nostra vita quotidiana?

Vorrei favorire la diffusione di un po’ di consapevolezza sul tempo. C’è una disuguaglianza fortemente influenzata dall’accesso al tempo. Ci sono persone che devono lavorare di più per poter almeno accedere.
Al minimo necessario per vivere e se non si garantisce a una persona che il sacrificio dell’orario di lavoro possa consentire, ad esempio, un alloggio dignitoso, non è uno scambio equo. Ci sono persone che escono da questo sistema, ma quasi sempre sono quelli che se lo possono permettere. Volevo fare un film sulle persone intrappolate nella ruota dell’economia. Il cambiamento di base che deve avvenire dall’interno di questa ruota è che il tempo effettivamente libero sia un diritto fondamentale, come l’alloggio e la possibilità di mangiare, per riprendere il controllo su tutti gli aspetti del nostro vivere.
Abbiamo bisogno di contatti sociali. Ci sono già abbastanza macchine.

Articolo pubblicato il 18 maggio 2018 su “Apuntes de Clase”,
supplemento digitale della rivista spagnola “La Marea”.
Traduzione di Fulvio Perini

Gli autori

Meritxell Rigol

giornalista freelance

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