Contro l’uso arbitrario del tempo, non solo quello del lavoro

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[…] la questione dell’oggetto del lavoro, dell’opera da compiere e quella delle nuove certezze che, in termini di qualità del lavoro, possono sostituire le certezze offerte dalla durata indeterminata del rapporto di lavoro acquistano una importanza centrale; la loro risoluzione diventa la condizione per la sopravvivenza di un contratto di lavoro che non regredisca verso un rapporto di tipo servile.
Bruno Trentin

Mentre l’esame dei lavori non standard ci pone di fronte, se vogliamo vederlo, al venir meno delle certezze offerte dalla durata indeterminata del rapporto di lavoro, anche la questione degli orari di lavoro ci segnala il venir meno delle certezze del tempo pieno e stabile.

È oggi possibile organizzare i sistemi di cooperazione nel lavoro usando forza lavoro intercambiabile, variando il tempo e i luoghi del lavoro, limitando così libertà e diritti della persona.

I dati internazionali possono essere esaminati nel database ILOSTAT alla voce “hours of work”. Ecco una rappresentazione degli orari a livello globale. Questo grafico e molte altre informazioni sono tratte dalla pubblicazione dell’ILO “Ensuring decent working time for the future”, 2018.

Un esame più approfondito mette in luce notevoli differenze tra Paesi specializzati a lavorare per altri a basso costo e Paesi della parte nord occidentale del mondo. Per fare degli esempi: lavorano oltre le 48 ore settimanali il 58,8% dei lavoratori in Bangladesh, il 32,8% in Bolivia e il 41,4% in Burkina Faso; mentre in Europa sono il 6,3% in Francia, il 5,6% in Germania e il 4,2% in Italia.

C’è chi non lavora, chi lavora qualche ora quando può e chi lavora per tutto il tempo a cui viene obbligato perché il salario non basta per vivere e perché il comando è cogente. Se la situazione è particolarmente esasperata a livello mondiale, le stesse situazioni, forse meno esasperate, si presentano in Europa e in Italia:

  • L’orario di lavoro non ha più dei limiti sia verso il basso (il contratto a zero ore inglese) che verso l’alto. Le regole dei contratti collettivi servono sempre più a stabilire una paga e questa paga sta ritornando sempre più a essere oraria.
  • I lavori a domicilio, il telelavoro, i lavori sulle piattaforme e i lavori “on demand” tendono sempre più a ignorare il tempo necessario, si ritorna all’800, quando si era pagati a prodotto realizzato.
  • Con le nuove tecnologie ICT è possibile lavorare in più luoghi e in più momenti della giornata.
  • In Italia, con l’esaurirsi delle integrazioni al reddito in caso di sospensione dal lavoro (cassa integrazione guadagni e contratti di solidarietà), si vanno diffondendo le riduzioni d’orario con la corrispondente riduzione del salario.
I lavori e i tempi delle donne

Lo studio sugli orari di lavoro delle donne va necessariamente approfondito oltre ai dati sul lavoro a tempo parziale, anche perché, come sappiamo, le donne devono mediamente lavorare 59 giorni in più degli uomini all’anno per avere la stessa retribuzione. (https://www.oxfamintermon.org/sites/default/files/documentos/files/voces-contra-la-precariedad.pdf)

E questi sono i tempi del lavoro come merce. C’è anche quello non pagato. Nell’UE nel 2017, il tasso di occupazione per le donne senza figli è il 66%, mentre è il 74% per gli uomini. Con un figlio, il tasso aumenta al 71% per le donne e all’86% per gli uomini. Per le donne con due figli, il tasso rimane quasi invariato al 72%, mentre quello degli uomini aumenta al 90%. Per le persone con tre o più figli, il tasso di occupazione diminuisce al 57% per le donne, mentre per gli uomini è dell’85%. È evidente la divisione del lavoro e il peso dei lavori di cura e domestici a carico delle donne.

L’ISTAT pubblica di tanto in tanto dei dati sull’uso del tempo nelle famiglie, ad esempio per l’anno 2014:

Il tempo impegnato nel lavoro retribuito è per i maschi il doppio di quello delle donne, mentre per le donne il lavoro in famiglia è tre volte superiore a quello dei maschi.

Le indagini epidemiologiche svolte a livello internazionale stanno confermando il carattere cancerogeno del lavoro notturno per le donne. Ovviamente non deriva dall’esposizione a un agente chimico o fisico ma a una particolare condizione di lavoro. Perché non dimezzare il tempo del lavoro notturno?

Sta crescendo il movimento dello sciopero mondiale delle donne dei lavori di cura e dei lavori retribuiti (oltre che contro la violenza), finora le italiane e i sindacati italiani lo hanno ignorato.

Il tempo di lavoro e l’età

Il prolungamento delle età pensionabili ha posto in evidenza una questione che nel passato si presentava in modo meno grave. L’invecchiamento delle persone che lavorano porta con sé la riduzione progressiva delle funzioni dell’organismo e l’insorgere di malattie cronico-degenerative.

Il grafico evidenzia chiaramente che le lavoratrici e i lavoratori con particolare impegno manuale saranno chiamati negli ultimi 10-15 anni di lavoro a operare in condizioni di salute progressivamente più faticose e dolorose. Con il rischio di vedersi emarginati in azienda e poi licenziati.

La cosiddetta “quota 100” derivante dalla somma degli anni di età e di quelli di vecchiaia per poter accedere alla pensione sfiora solo il problema, mentre permetterà ai lavoratori che hanno avuto una vita professionale continuativa – quindi, prevalentemente, i dipendenti pubblici – il passaggio alla vita da pensionato.

È prevedibile che tanta parte delle donne, soprattutto quelle del settore privato, ne verranno escluse. Eppure le donne hanno una speranza di vita in condizioni di benessere più breve di quella degli uomini.

La risposta a questi problemi non può più continuare con l’inseguimento della chimera della pensione anticipata per lavoro usurante. È necessario aprire una nuova prospettiva che faccia perno sulla riduzione degli orari di lavoro negli ultimi periodi della vita lavorativa con adeguati sostegni al reddito o con rinnovate politiche attive del lavoro che permettano dei tempi di permanenza massimi in lavori faticosi sul piano fisico e psicologico.

Orario e libertà

Vengono meno le antiche sicurezze e il superamento della precarietà con un atto normativo potrà al massimo valere per i lavoratori operanti nella pubblica amministrazione.

Nei fatti la riduzione d’orario la decide il padrone. La decide lavoratore per lavoratore usando tutti gli strumenti a disposizione sia per i rapporti di lavoro non standard che per quelli a tempo indeterminato. Si realizza una gestione unilaterale e arbitraria dei tempi di lavoro e, contemporaneamente, dei tempi di vita; non solo, si vanno diffondendo, soprattutto per le donne, un’imposizione di orari di lavoro incompatibili con i lavori di cura, usati come strumento di condizionamento e di licenziamento. Vengono meno libertà individuali e legami collettivi.

Il prolungamento dell’età pensionabile pone tutte le lavoratrici e i lavoratori impegnati in lavori manuali, non solo a bassa qualificazione, a dover continuare a operare con un crescente aggravamento delle condizioni di benessere derivanti dall’invecchiamento sul lavoro.

Si tratta di ripensare alle strategie contrattuali di regolazione dei temi del lavoro e di impegnare le istituzioni pubbliche a mettere al centro un’equa distribuzione e riduzione degli orari che consideri il doppio lavoro delle donne.

Gli autori

Fulvio Perini

Perini Fulvio, sindacalista alla CGIL, ha collaborato con la parte lavoratori, Actrav, dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

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