DISINTERMEDIAZIONE, negli Stati Uniti il processo avanza

Volerelaluna.it

29/07/2018 di:

USA. Il 27 giugno la Corte Suprema ha emesso (a stretta maggioranza: 5 a 4) un verdetto che cambia i rapporti sindacali negli Sati Uniti, segnando una pesante sconfitta delle organizzazioni sindacali.

La sentenza, Janus vs. AFSCME, cioè la causa di un dipendente dei servizi sociali dell’Illinois contro i sindacati del pubblico impiego, sancisce che il lavoratore non iscritto al sindacato non deve più pagare le quote al sindacato presente sul suo posto di lavoro. Tutto ciò può sembrare ovvio e ragionevole a noi, è stato il risultato di una battaglia della destra in nome del “right to work” del diritto a lavorare indipendentemente dall’appartenenza a un sindacato, ma per capire l’effetto dirompente che ha sulle relazioni sindacali negli USA, bisogna spiegare meglio qual è la situazione.

Un sindacato può essere riconosciuto dal datore di lavoro, e quindi rappresentare i lavoratori e contrattare, solo se la maggioranza di essi vota esplicitamente perché li rappresenti: e la votazione deve indicare quale sindacato. Per cui, in ogni posto di lavoro c’è – se c’è – un solo sindacato. La legislazione degli anni ’70 aveva stabilito che tutti i lavoratori, iscritti e no, dovevano versare una quota al sindacato che li rappresentava, per contribuire alle sue spese. È contro questa pratica che si è scatenata la destra, accusando i sindacati di usare quei soldi per fare campagna elettorale per i democratici: in realtà solo una piccola parte dei fondi veniva usata a questo scopo, e la legge prevedeva che i sindacati facessero pagare ai non iscritti solo la parte delle quote riguardante l’attività sindacale in senso stretto. La battaglia per il “diritto al lavoro” è in realtà una battaglia per ridurre il potere e la rappresentanza dei sindacati, già ridotta enormemente rispetto a decenni fa (ora solo circa l’11% dei lavoratori è iscritto ad un sindacato, più del 30% nel settore pubblico e solo il 7% nel settore privato), punta quindi a colpire il settore pubblico, l’ultimo bastione della presenza sindacale, e si colloca nel quadro di altre iniziative federali che vanno nella stessa direzione; si veda: https://portside.org/2018-05-26/white-house-aims-strip-federal-workers-right-representation

La sentenza vale solo per il pubblico impiego, ma in molti stati una legislazione “right to work” era già operante. Dietro a queste battaglie c’è una serie di potenti lobbies, come la National Right to Work Foundation, finanziate da industriali e finanzieri miliardari, che puntano ad usare il potere giudiziario per rendere più rigide le leggi anti-lavoratori. Il movimento è iniziato negli anni ’50, e la sua storia si può leggere su: https://www.thenation.com/article/group-turned-right-work-crusade-crush-labor/

La sentenza ha scatenato, oltre ovviamente al tripudio della destra, grida di allarme negli ambienti sindacali: le organizzazioni temono di perdere una consistente fetta di contributi, e di vedere quindi ridotto il loro ruolo. Si grida al pericolo dei “free riders”, quelli che viaggiano gratis, che beneficiano cioè della presenza del sindacato senza versare un dollaro, e qualcuno propone la versione statunitense del “sindacato degli iscritti”. La logica del sindacato degli iscritti viene usata dalla controparte conservatrice anche per far passare, sempre nel pubblico impiego, norme (“open shop”) che consentano a più sindacati di competere per la rappresentanza nello stesso posto di lavoro, che nelle condizioni date vuol dire la comparsa di sindacati gialli che offrono gli stessi servizi (consulenze, assicurazioni) a prezzi minori (anche perché molte organizzazioni sindacali oggi si limitano a poco più di questo lavoro di consulenza). https://jacobinmag.com/2018/07/member-only-unions-open-shop-janus

Anche il principio che il sindacato deve rappresentare TUTTI i lavoratori (neri, donne, minoranze) verrebbe messo in discussione. Per alcuni, in realtà, la presenza di più organizzazioni nello stesso posto di lavoro potrebbe essere positiva, creando problemi alla controparte con una maggiore contrattazione e conflittualità (oggi la rappresentanza unica comporta anche l’impegno a contenere l’uso dello sciopero). Una discussione molto dettagliata e tecnica su questi aspetti si trova al sito: http://inthesetimes.com/working/entry/21168/janus_unions_exclusive_representation_labor_right_to_work_supreme_court

Una forte obiezione a un sindacato che rappresenti solo gli iscritti viene avanzata da chi fa notare come questo metterà i lavoratori l’uno contro l’atro, individualizzando nei fatti il rapporto fra lavoratore e datore di lavoro e negando il carattere generale delle rivendicazioni (va ricordato che negli USA gli accordi sono in genere a livello locale, quindi frammentati e parcellizzati): https://jacobinmag.com/2018/07/janus-open-shop-union-working-class

Ma la maggioranza delle reazioni non si ferma agli aspetti più tecnici, e si pone l’obiettivo di cogliere l’occasione per superare le storture del sindacalismo burocratico e rilanciare l’organizzazione dal basso.

Un articolo su Jacobin ricorda come la sentenza offre ai padroni ulteriori spazi per le campagne per convincere i lavoratori a cancellare l’iscrizione al sindacato (“risparmierete un sacco”), e che mettersi sullo stesso piano è perdente: solo rilanciando i princìpi di solidarietà e la democrazia interna, discutendo apertamente con gli iscritti anche delle scelte politiche generali, rifiutando l’atteggiamento da “associazione di consumatori” si può rispondere agli attacchi della destra e rifondare il sindacato.

In effetti la sentenza arriva in un momento di forte ripresa delle lotte, non solo nel pubblico impiego. Le lotte degli insegnanti e lavoratori pubblici di aprile e maggio – in Stati come il Kentucky, l’Oklahoma, il West Virginia, tutti Stati con legislazione “right to work” – si sono sviluppate fuori dal controllo sindacale e non rispettando le leggi locali: come ha scritto Michelle Chen su The Nation prima della sentenza, questa esperienza dimostra che «organizzarsi fuori e contro la legge può rivelarsi una tattica efficace».

I 25.000 lavoratori dei casinò di Las Vegas sono riusciti a ottenere concessioni con una minaccia di sciopero: lo stesso per il 280.000 della UPS, per lavoratori di varie Università, ecc. Questo è forse il momento più basso dell’organizzazione sindacale USA dagli anni ’20, ma proprio come allora, una minoranza che non ha ceduto può essere il motore di un’inversione di tendenza: https://www.thenation.com/article/will-janus-prove-fatal-blow-unions-long-feared/

Bernie Sanders ha preso immediatamente posizione, invitando a rispondere all’attacco della destra con un rilancio della militanza sindacale.

Sanders in maggio, con l’appoggio di vari senatori progressisti, ha presentato una proposta di legge, il WorkplaceDemocracyAct, che punta a cambiare la legislazione del lavoro americana, introducendo pesanti sanzioni per i licenziamenti dovuti ad attività sindacale e semplificando le procedure per le azioni legali dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro. Sarebbe molto semplificata, a favore dei lavoratori, la procedura per fa entrare il sindacato in un posto di lavoro: basterebbe raccogliere le firme della maggioranza dei lavoratori, riducendo la possibilità per i datori di lavoro di ricattare i dipendenti minacciandoli di rappresaglie se aderiscono. Verrebbero infine abolite le legislazioni locali “right to work”.

Qui, un’altra più lunga intervista a Sanders sui temi del lavoro

Qui, altre informazioni sulla situazione post-Janus

26 luglio 2018