Palestina, 40 giorni dopo. Tra crimini di guerra e calcoli geopolitici

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A oltre 40 giorni dall’attacco terroristico di Hamas e dall’inizio dei bombardamenti di Israele sulla Striscia di Gaza (presto seguiti dall’occupazione militare) ci sono – sul conflitto in Medio Oriente, sulla situazione internazionale, sullo stato di salute delle nostre democrazie – alcuni punti fermi. Su di essi ci siamo ampiamente soffermati in queste settimane ma è utile richiamarli.

1. La trasformazione del conflitto israelo-palestinese in vera e propria guerra non è, come sostiene gran parte dell’informazione occidentale, un evento imprevedibile, un fulmine a ciel sereno determinato da un’improvvisa follia di Hamas (al pari, in qualche misura, dell’assalto alle torri gemelle dell’11 settembre 2001). È, al contrario, l’esito – prevedibile e previsto, anche se non nei tempi e nelle modalità – di un conflitto in corso da oltre un secolo, scatenato dal movimento sionista a partire dal falso assioma “un popolo senza terra per una terra senza popolo” in forza del quale la Palestina venne occupata in spregio a elementari princìpi umanitari, giuridici e politici (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2023/10/16/israele-hamas-riconoscere-luomo-anche-nel-nemico/). Questo conflitto non si è mai spento ed è stato alimentato, per evidenti interessi geopolitici, dalle grandi potenze occidentali i cui interventi nell’area sono stati costantemente diretti a tutelare gli interessi israeliani. È stato un conflitto in cui la guerra aperta si è alternata a periodi di relativa calma, sempre caratterizzati, peraltro, da politiche israeliane di apartheid e di colonizzazioni crescenti, contrastate dai palestinesi con resistenza diffusa o con violenze individuali, seguite, a loro volta, da arresti di massa, distruzione di case e di interi quartieri, sradicamento di alberi e piantagioni, confische di terre (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/11/08/israele-muoia-sansone/). È questo il contesto – noto al mondo intero – in cui il 7 ottobre è esploso l’attacco terroristico di Hamas. Ricordarlo non ha nulla a che fare con sottovalutazioni o giustificazioni. È, al contrario, una necessità per chi vuole capire e cercare, per il futuro, soluzioni giuste e durature (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/10/31/palestina-comprendere-il-passato-per-guardare-al-futuro/). Per questo la rimozione della storia, operata in Occidente da gran parte della politica e dell’informazione, è una grave responsabilità e una concausa dei tragici eventi attuali.

2. Le guerre moderne hanno una costante: sono dirette soprattutto contro i civili. Le stragi indiscriminate di vecchi, bambini, soggetti indifesi non sono “effetti collaterali” non voluti (e semplicemente tollerati): sono – come è stato finanche teorizzato: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/10/31/bombardamenti-un-po-di-storia/ – l’obiettivo diretto e immediato della guerra: per fiaccare il nemico o, addirittura, per annientarlo e cancellarlo dalla faccia della terra. La guerra, oggi, non ha regole: non ne ha di fatto, pur nel permanere di alcune (desuete) convenzioni internazionali sul cosiddetto ius in bello. Ciò vale – senza scandalo tra i potenti del mondo – per gli Stati e per i loro eserciti. Ma vale anche per i popoli (o le minoranze) che li contrastano. È sgradevole dirlo mentre i morti sono nelle strade e gli ostaggi tuttora nelle mani di Hamas, ma non si fa un buon servizio alla verità tacendolo: le azioni terroristiche non sono una novità del conflitto palestinese ma una caratteristica (tragica quanto risalente) di tutte le guerre asimmetriche, in cui v’è sproporzione tra le forze in campo. Basti pensare, senza risalire troppo indietro, alle guerre di liberazione dal colonialismo: in primis quella algerina nella quale i ripetuti attentati, con cestini pieni di esplosivo collocati in bar e luoghi affollati, venivano rivendicati e giustificati con l’affermazione «dateci le vostre mitragliatrici e i vostri aerei e noi vi daremo i nostri cestini» (pronunciata da un dirigente del Fronte di Liberazione Nazionale nel film La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo). Questa è la situazione di fatto che va affrontata nella sua interezza, con il rifiuto (o il ripudio, come dice la nostra Costituzione) generalizzato dalla guerra (https://volerelaluna.it/che-fare/2023/11/01/contro-la-guerra-la-via-della-non-violenza/ ). Esorcizzarne alcuni frammenti particolarmente efferati non basta e non mette al riparo dal loro ripetersi, nonostante l’apparente esecrazione generale.

3. Queste considerazioni trovano applicazione scolastica, oggi, in Palestina. L’attacco terroristico di Hamas, in cui sono state uccise o prese in ostaggio 1600 persone, in massima parte civili (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/10/12/palestina-guerra-o-terrorismo/ ), e i bombardamenti a tappeto di Israele su Gaza, che hanno ucciso 11.000 persone, anche in questo caso prevalentemente civili (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/10/30/gaza-non-e-difesa-e-genocidio/ ) hanno una definizione precisa: sono crimini di guerra (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2023/10/12/crimini-di-guerra-in-palestina/ ) e, prima ancora, atti di barbarie indicibile. Entrambi. Senza differenze. Graduare l’orrore è impossibile e ripugnante. Sempre. Anche se c’è chi lo ha fatto (cfr. https://volerelaluna.it/politica/2023/11/08/gli-spari-sopra-ovvero-la-guerra-e-la-fine-della-politica/ ), adombrando una maggior gravità delle uccisioni effettuate guardando in faccia le vittime. Come se non appartenesse allo stesso abisso di disumanità sganciare tonnellate di bombe, in modo scientifico e nella piena conoscenza dei loro effetti, su ospedali straboccanti di malati e feriti, staccare energia a incubatrici e sale operatorie, colpire scuole, abitazioni, mercati, ambulanze e convogli di civili in fuga. E come se non contassero anche i numeri. Ogni singola persona è un bene incommensurabile che merita tutela, ma la crescita esponenziale delle persone violate è un indice di barbarie crescente. Se non si prendono le distanze da tutte queste violenze con uguale energia e fermezza significa che i calcoli di convenienza prevalgono sul senso di umanità e di giustizia e che non c’è futuro.

4. La guerra e la violenza non seminano solo morte e orrore. C’è, a fianco, l’ottundimento delle coscienze e delle intelligenze. È quanto avviene, in riferimento al conflitto israelo-palestinese, con la considerazione unitaria, quasi fossero un’unica realtà, di ebrei, Stato d’Israele, Governo guidato da Benjamin Netanyahu. Tale acritica assimilazione, fatta propria dalla totalità dei governi occidentali e da molte forze politiche e media, è del tutto infondata. Gli ebrei sono un popolo sparso nel mondo, con tradizioni, costumi e collocazioni politiche diversificate. Ne fanno parte allo stesso titolo gli ebrei che vivono in Israele e quelli che vivono in Francia, in Spagna, negli Stati Uniti o in qualunque altro paese. Israele è solo uno (seppur quantitativamente il più rilevante) dei riferimenti degli ebrei, per di più oggetto di nette prese di distanza, all’interno e nella diaspora, soprattutto da, quando, nel luglio 2018, si è autoproclamato “Stato nazione del Popolo ebraico”, costituendosi come Stato etnico (https://volerelaluna.it/materiali/2018/07/31/israele-stato-nazione-del-popolo-ebraico/ ). Quello presieduto da Benjamin Netanyahu, poi, non solo è, come tutti i governi, una realtà contingente ma è anche il governo più screditato e impopolare della storia israeliana, come dimostrano le manifestazioni oceaniche di protesta nei suoi confronti degli ultimi mesi (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/08/07/israele-scende-in-piazza-ma-e-una-buona-notizia-solo-per-meta/ ). L’assimilazione di entità così diverse, impropriamente cavalcata dal Governo di Tel Aviv per screditare, con l’accusa di antisemitismo, chi lo contesta ed avere maggior riconoscimento e sostegno a livello internazionale, si sta rivelando un boomerang che genera nuove forme di antisemitismo e disperde il patrimonio di rispetto e di solidarietà accumulato negli anni dal popolo ebraico. Per questo, affiancare la ferma condanna di ogni forma di antisemitismo (palese e occulto) con la denuncia delle politiche di apartheid e dei crimini di guerra del Governo israeliano – come stanno facendo, in Israele e nel mondo decine di migliaia di ebrei (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/11/10/centinaia-di-intellettuali-ebrei-americani-la-critica-a-israele-non-e-antisemitismo/ ) – è il solo autentico segnale di amicizia verso il popolo ebraico.

5. Questa guerra ha effetti di grande rilievo sul piano internazionale. Anzitutto la sconfitta etica, culturale e politica dell’establishment occidentale, in particolare degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Da sempre alleati di Israele, essi avrebbero potuto e dovuto, nei decenni scorsi, farsi promotori di iniziative reali (e non di semplice facciata) per il raggiungimento di una pace stabile nella regione (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/10/16/palestina-quel-che-ci-dice-la-ragione/ ). Così non è stato. Anzi, essi hanno continuato – e continuano tuttora, nonostante l’escalation senza precedenti del conflitto – a fornire sostegno e armi in abbondanza al Governo Netanyahu rendendosi complici di crimini di guerra ogni giorno più gravi. Nell’immediatezza dell’attacco di Hamas del 7 ottobre era sembrato profilarsi un cambiamento nella strategia statunitense, allorché Biden, nel viaggio lampo in Israele, aveva ammonito Netanyahu a non ripetere gli errori commessi dall’America dopo l’attentato delle torri gemelle, scatenando guerre terribili e controproducenti. Ma si è trattato di un fuoco di paglia ché, dopo appena 24 ore, il presidente degli Stati Uniti ha ripreso i toni e le politiche di sempre (https://volerelaluna.it/mondo/2023/10/23/il-doppio-salto-mortale-di-joe-biden/). Il seguito è noto. Gli Stati Uniti e l’Europa si dimostrano succubi dell’oltranzismo di Netanyahu, incapaci di imporre (se necessario, interrompendo l’invio di armi a Israele) un immediato cessate il fuoco, fermi nel balbettio di richieste – minimali e inascoltate – di “pause umanitarie” (idonee solo a favorire l’esodo forzato dei palestinesi verso l’ignoto) e di “moderazione” nei bombardamenti (sic!), finanche irrisi, a fronte delle loro pur timide richieste, da Netanyahu. Con un doppio risultato a dir poco suicida: da un lato, condannarsi all’isolamento, plasticamente fotografato nel voto dell’assemblea generale dell’Onu del 28 ottobre sulla risoluzione per l’immediato cessate il fuoco a Gaza, approvata con 120 voti favorevoli, 14 contrari (tra cui gli Stati Uniti e i suoi “satelliti”) e 45 astenuti (tra cui gran parte dei Paese europei, compresa l’Italia); dall’altro, concorrere a porre le basi di una nuova stagione di terrorismo internazionale, ché – per usare le parole dell’ex primo ministro francese Dominique de Villepin – «ogni bomba su un’ambulanza a Gaza fa nascere decine di miliziani».

6. Ad essere fortemente indeboliti dal conflitto sono, poi, l’Onu e la giustizia internazionale, che consumano, in questi giorni, una crisi forse irreversibile (https://volerelaluna.it/politica/2023/11/08/gli-spari-sopra-ovvero-la-guerra-e-la-fine-della-politica/ ), proprio quando maggiormente se ne sente la necessità. L’Onu ha rivelato una volta di più la sua impotenza: vede da decenni le sue risoluzioni violate e irrise, da Israele e dai paesi che lo sostengono (https://volerelaluna.it/controcanto/2023/10/16/palestina-il-sonno-del-diritto-genera-mostri/); il suo segretario generale Gutierres viene zittito e “censurato” per avere detto la semplice verità (e cioè che «il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione» che «le speranze di una soluzione politica alla loro situazione sono svanite» e che «i terribili e spaventosi attacchi di Hamas non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese»: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/10/31/palestina-comprendere-il-passato-per-guardare-al-futuro/); il suo intervento mediatore è esplicitamente rifiutato da Tel Aviv; a molti suoi funzionari è addirittura negata la possibilità di ingresso in Israele; decine di suoi dipendenti sono rimasti uccisi a Gaza sotto le bombe israeliane senza che siano neppure pervenute delle scuse formali. In sintesi, l’Onu è considerato un nemico da Israele e ridotto all’impotenza dalle prese di distanza e dai silenzi degli Stati Uniti e dell’Europa. La situazione è precipitata al punto da provocare la “ribellione” di funzionari preposti a settori nevralgici e, addirittura, le rumorose dimissioni del direttore dell’Ufficio di New York dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/11/02/palestina-un-caso-di-genocidio-da-manuale-e-il-fallimento-dellonu/). Analoga crisi investe la Corte penale internazionale e la corrispondente Procura: depotenziate sin ab initio dal mancato riconoscimento della loro giurisdizione nei propri confronti dalle grandi potenze (e parallelamente usate dagli Stati Uniti come clave nei confronti dei loro avversari) appaiono oggi totalmente inerti di fronte ai crimini di guerra in atto in Palestina (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2023/10/12/crimini-di-guerra-in-palestina/) avallando l’interpretazione di chi la ritiene attenta agli equilibri politici più che alla realtà dei fatti. In questo modo la crisi si estende alla effettività del diritto internazionale facendo svanire la speranza che esso – e non la pura forza – possa guidare le relazioni internazionali.

7. Oggi, mentre le bombe continuano a cadere, l’esercito israeliano occupa stabilmente la Striscia ridotta a terra bruciata e il Parlamento di Gaza viene dato alle fiamme dalle truppe occupanti, ci si chiede come si potrà uscire da questa tragedia. La prospettiva indicata da Israele è una sola: continuare la guerra fino alla “vittoria”, annientare Hamas, espellere definitivamente i palestinesi da Gaza ed estendere il proprio controllo diretto sulla intera Striscia (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2023/11/15/israele-cosa-significa-vittoria-la-scelta-fra-pace-e-violenza/ ). Il nemico, infatti, non è solo Hamas ma l’intero popolo palestinese, come dichiarato, tra gli altri, dall’ex ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, secondo cui «per noi c’è un unico scopo: distruggere Gaza, distruggere questo male assoluto» (https://centroriformastato.it/gaza-oltre-la-vendetta-nulla/ ). È una prospettiva suicida per lo stesso Israele. Nella sua storia esso ha vinto tutte le guerre contro i palestinesi e i paesi arabi ma la sua insicurezza ha continuato a crescere e non ha avuto un solo giorno di pace (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2023/11/07/lettera-agli-ebrei-italiani/ ). Potrà vincere anche questa volta sul campo di battaglia ma ciò lo condannerà a un ancora maggiore isolamento e a vivere nella paura. Non solo, ma lo scacchiere internazionale diventerà sempre più a rischio. Anche per questo il tema del come uscire dal conflitto in corso non è solo di Israele ma dell’intera comunità internazionale e, prima di tutto, dei paesi amici di Tel Aviv (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/10/16/palestina-quel-che-ci-dice-la-ragione/ ). Cent’anni di conflitto hanno creato un solco difficilmente colmabile tra popoli che un tempo erano fratelli (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/10/27/una-volta-in-palestina-eravamo-fratelli-intervista-ad-ali-rashid/ ) e – esclusa, per ovvie ragioni di equità e di praticabilità politica, l’eliminazione fisica di una delle parti (auspicata, con obiettivi invertiti, dagli oltranzisti di entrambi gli schieramenti) – le soluzioni che si intravedono sono tutte difficili e incerte: la costituzione di due Stati, pur sostenuta dai più, appare poco realistica alla luce dei sempre più estesi insediamenti di coloni nei territori palestinesi; uno Stato unico con la compresenza di israeliani e palestinesi in condizioni di parità di diritti e di uguaglianza, pur razionale e auspicabile, cozza contro odî e diffidenze allo stato insuperabili; un governo di Gaza da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen, sostenuta dagli Stati Uniti e imposta dai carri armati di Tel Aviv, sarebbe una soluzione solo apparente, destinata a esplodere alla prima occasione. È, dunque, difficile dire che cosa potrà accadere in futuro ma è chiaro che cosa si deve fare oggi: cessare immediatamente e in modo incondizionato le ostilità e iniziare una transizione guidata e garantita, anche con dispiegamento di forze di interposizione, dall’Onu che, seppur – come si è detto – indebolito e fragile, resta la sola entità sovranazionale a cui fare riferimento (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/11/08/israele-muoia-sansone/).

8. La guerra ha conseguenze devastanti anche sulle nostre democrazie. Prima di tutto sull’informazione, che delle democrazie in genere, e di quelle contemporanee in particolare, è componente fondamentale. Siamo ormai totalmente immersi in un’informazione di guerra priva di qualsivoglia attenzione per la verità e per gli stessi fatti e interessata esclusivamente a favorire la “vittoria” della propria parte. In essa le notizie sono usate come armi, al pari delle bombe e dei proiettili. È così da sempre, in guerra, ma il fatto, in qualche misura nuovo, è che questo tipo di informazione si estende in maniera blindata e acritica dai paesi belligeranti ai loro alleati, sostenitori, amici (https://volerelaluna.it/controcanto/2023/10/24/gaza-e-il-giornalismo-che-non-ce/). Limitiamoci, per il nostro più diretto coinvolgimento, ai media occidentali (anche se lo stesso accade, in modo speculare, per quelli dei paesi arabi). La prima componente di questa informazione drogata è quella dei giornalisti embedded, che procedono al seguito degli eserciti amici. Gli inviati di guerra di un tempo – che, anche con elevati rischi personali, si spostavano sui diversi fronti di combattimento e avevano contatti con tutti i protagonisti (e le vittime) del conflitto in una posizione di (almeno parziale) indipendenza – sono oggi sostituiti da militari di complemento (spesso addirittura vestiti da soldati) che diffondono, presentandole come la “verità”, le notizie confezionate dai loro danti causa (pena, altrimenti, il venir meno dell’accreditamento e il rinvio in patria). Per loro – e per chi recepisce la loro informazione – esiste solo un versante della guerra: l’altro è un indistinto obiettivo da distruggere. La seconda componente è data dalle modalità dell’informazione, anche quando, per l’evolversi del conflitto, i contatti diventano più estesi e l’angolo di visuale più ampio. Si tratta di modalità prossime alla propaganda più che all’informazione. Le abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: sulla scena ci sono, come nei film western di un tempo, i “buoni” e i “cattivi” senza alcuna zona grigia; ai primi è dedicata la gran parte dei telegiornali, dei talk show e della carta stampata mentre ai secondi sono riservati, nella migliore delle ipotesi, i titoli di coda; alle vittime della parte amica e ai loro congiunti sono dedicate immagini e interviste (giustamente) accorate, ripetute in maniera ossessiva per giorni e giorni, mentre le vittime dell’altra parte sembrano non avere nomi, case, parenti, amici, e, se compaiono, lo fanno solo in immagini che sfilano rapidamente e in maniera anonima; i morti di una parte sono persone in carne ed ossa mentre quelli dell’altra parte sono numeri (accompagnati spesso da verbi al condizionale o dalla precisazione che si tratta di cifre incontrollate); le case e le città distrutte da una parte sono luoghi di vita, di socialità, di felicità mentre quelle dell’altra parte sono “obiettivi”; i massacri di una parte sono atti di barbarie e terrorismo (come indubbiamente è), mentre quelli dell’altra parte sono manifestazioni di “legittima difesa”, operazioni contro il terrorismo anche quando colpiscono bambini, vecchi, malati, ospedali, scuole, ambulanza, persone in fuga. Così – superfluo dirlo – l’informazione muore o si snatura al punto da diventare propaganda tout court (https://volerelaluna.it/commenti/2023/10/17/israele-la-palestina-e-il-razzismo-della-pelle-bianca/).

9. Le ricadute della guerra toccano anche la politica interna dei nostri paesi, riducendo ulteriormente gli spazi del dissenso e, dunque, della democrazia (https://volerelaluna.it/commenti/2023/10/27/requiem-per-i-diritti/ ) e producendo spostamenti politici rilevanti. Due soli flash. Primo. In gran parte dei paesi occidentali è stata vietata, almeno inizialmente, ogni manifestazione in favore della Palestina; la criminalizzazione delle opinioni dissenzienti è diventata la regola (fino alla messa all’indice, in Italia, dei “disertori” di Lucca Comics e di un fumettista come Zerocalcare); alle bandiere palestinesi è stato precluso, nel nostro Paese, l’accesso ad alcune manifestazioni (non solo dagli organizzatori ma dalla stessa polizia: https://ilmanifesto.it/sequestri-e-identificazioni-polizia-e-servizio-dordine-a-caccia-dei-simboli-di-stoffa ); alcuni profili Facebook con l’immagine della bandiera palestinese sono stati oscurati; a Londra, un ospedale è arrivato a togliere dei disegni realizzati da bambini di Gaza dopo che un gruppo pro-Israele ha affermato che gli stessi urtavano la sensibilità dei pazienti ebrei; il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha diffuso una nota interna per esortare i funzionari a non utilizzare espressioni come “de-escalation/cessate il fuoco”, “fine della violenza/spargimento di sangue” o “ripristino della calma” (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/11/10/centinaia-di-intellettuali-ebrei-americani-la-critica-a-israele-non-e-antisemitismo/) e via elencando. Sullo sfondo si staglia l’idea che le critiche a Israele siano espressione di antisemitismo e che palestinesi e musulmani siano intrinsecamente sospetti e potenziali terroristi, con quel che segue in termini di politiche sicuritarie. Secondo. Questo clima e l’atteggiamento del Governo di Tel Aviv (da tempo schierato nei fatti a fianco degli Orban e degli altri governanti di Vysegrad, dei Trump, dei Salvini, delle Le Pen: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/05/05/il-mio-rapporto-con-israele/ ) stanno producendo, in tutti i paesi occidentali, un ulteriore spostamento a destra del quadro politico. Il fatto paradossale è che ciò avviene grazie a un sostegno a Israele in chiave essenzialmente anti-araba e senza che le destre, a cominciare da quelle del nostro Paese, abbiano intrapreso percorsi critici rispetto al loro passato (e spesso alla loro attualità) razzista e antisemita (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2023/11/09/il-razzismo-di-oggi-e-lo-stesso-del-secolo-scorso-litalia-ammetta-le-sue-colpe/ ).

Gli autori

Volere la luna

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