Clima e Israele: Greta Thunberg e gli adulti nella stanza

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«La priorità oggi, dal mio punto di vista, è ripristinare il dialogo con adulti nella stanza»; così nel 2015 Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale, liquidava le richieste del governo guidato da Alexis Tsipras. Il “dialogo” consisteva nell’accettare i diktat della Trojka come condizione per non far affondare una Grecia sull’orlo della bancarotta; la capitolazione richiedeva politici responsabili, non ragazzini immaturi come Tsipras e Varoufakis.

Oggi la stessa lezione la si vuole impartire – ma ex-ante, per anticiparne una possibile radicalizzazione – al movimento per il clima, colpendone il simbolo: Greta Thunberg. Che cosa ha fatto l’attivista svedese, a lungo vezzeggiata dai media e perfino invitata a incontrare i Grandi della terra, per cadere in disgrazia? Il 19 ottobre Fridays for Future International invita a scioperare «per far risuonare la voce della gioventù araba della parte settentrionale della striscia di Gaza, in cui lo Stato coloniale di Israele ha intrapreso un genocidio, con il supporto dell’Occidente e di strumenti di disinformazione». Il colonialismo, non solo quello israeliano (che nondimeno è definito «un caso da manuale»), con la sua negazione dei diritti delle popolazioni autoctone, è messo in rapporto con la minaccia esistenziale rappresentata dalla crisi climatica. Deve quindi essere smantellato, ovunque si trovi.

Si tratta di una posizione coerente con quelle che FFF aveva espresso già prima del 7 ottobre. Israele sottopone la popolazione palestinese a un regime di “apartheid”, cacciandola dalle sue terre (si parla dei territori occupati, non del diritto di Israele ad esistere!) e distruggendone le case; «la giustizia climatica significa anche libertà per tutti gli oppressi» (Tweet del 25 luglio 2022). A fronte del neocolonialismo di Israele, «il movimento per il clima si schiera compatto dalla parte dei palestinesi e della resistenza palestinese. Forza Intifada!» (Tweet del 23 gennaio 2023). Queste dichiarazioni, che non erano soltanto di Thunberg (basta chiamarla Greta! è adulta, ormai), avevano suscitato critiche già sul momento, ma dopo il 7 ottobre sono state bollate come inammissibili; siamo in guerra, baby. Si è dunque messa in moto una macchina del fango transnazionale.

Il 20 ottobre Thunberg pubblica su X (ex Twitter) una foto che la ritrae mentre, insieme ad altre ragazze, inneggia con dei cartelli alla giustizia climatica nonché alla Palestina in generale e a Gaza nello specifico. Nella foto compare una piovra di peluche: orrore, strillano i media occidentali, si tratta di un simbolo antisemita! Per giunta, l’attivista svedese non menziona le vittime israeliane, quindi tutto torna. Stupita da tanto clamore (quanti conoscono il simbolismo della piovra?), Thunberg chiarisce che il peluche non è un messaggio in codice all’interno di un complotto antisemita, ma, più modestamente, un dispositivo per facilitare, come spiega l’azienda produttrice, la comunicazione delle emozioni nei bambini con varie patologie, tra cui la sindrome di Asperger (di cui lei soffre). L’attivista decide comunque di rimuovere il peluche dall’immagine per ribadire che il suo rigetto dell’antisemitismo è incondizionato.

Il 26 ottobre sull’account Instagram di FFF International esce un post, in inglese, che accusa i media occidentali di manipolare l’opinione pubblica a favore di Israele. A essere occultati o distorti sono i seguenti fatti: la fondazione dello Stato di Israele coincide con l’espropriazione delle terre dei palestinesi; l’attacco di Hamas e la sua stessa esistenza affondano le loro radici nell’oppressione e nella pulizia etnica perpetrate da Israele per settantacinque anni; ogni giorno la popolazione di Gaza, per metà costituita da minori, viene “martirizzata” dagli attacchi aerei di Israele, con il benestare dei suoi alleati, in quello che si configura non come un conflitto ma come un genocidio. Lo scandalo suscitato dal post ruota intorno alla frase sulle vittime di Gaza e alla categoria di genocidio. Le prime sarebbero celebrate da FFF International come “martiri”: tra i molti media che hanno accreditato questa versione figurano la televisione di Stato svedese, SVT, e il Corriere della sera. Nel post però non viene usato il sostantivo, “martyrs”, bensì il participio passato, “martyred”, che può significare “reso martire” (nel senso di ucciso per le sue idee, la sua attività o altro), ma anche ucciso nonostante non abbia colpe, oppure colpito con particolare ferocia. Non è solo una sottigliezza linguistica. La traduzione “martiri” è servita a diffondere la tesi che Thunberg e la sua cerchia abbiano assimilato il linguaggio (e le idee) di Hamas. Quanto ai termini genocidio, pulizia etnica e colonialismo, sono gli stessi che in questi giorni risuonano negli appelli delle organizzazioni per i diritti umani, che inutilmente chiedono un cessate il fuoco.

Si può essere d’accordo o meno con i contenuti del post, pubblicato in un momento in cui era ormai evidente come la risposta del Governo israeliano ai crimini di Hamas (ingiustificabili) avesse assunto il carattere di una vendetta di Stato (di per sé aberrante) che per giunta va ben oltre la legge del taglione. Peraltro, Thunberg ha più volte dichiarato in altre sedi di aborrire l’uccisione di civili e, con l’intero movimento per il clima, ha condannato senza mezzi termini l’invasione russa dell’Ucraina. Anzi, proprio dal febbraio 2022, nelle manifestazioni e nella documentazione prodotta, una parte dell’attivismo climatico ha accentuato il nesso tra clima, guerra e sistema economico; un salto di qualità che non è stato apprezzato negli ambienti politici e imprenditoriali.

Al post su Israele di Thunberg e di una parte di FFF i media occidentali, ma anche esponenti politici israeliani e tedeschi, reagiscono, da un lato, con la denigrazione personale, dall’altro, con la stigmatizzazione dell’intero movimento per il clima. Thunberg è abituata alle campagne di odio nei suoi confronti, orchestrate, in Svezia come in altri paesi, da forze di estrema destra ma anche da esponenti del capitalismo “illuminato”. Adesso però deve fronteggiare, oltre alle solite accuse (immaturità, ignoranza, presunzione), quelle di filo-terrorismo, complicità con Hamas e antisemitismo. E dire che nel post veniva enfatizzato come la giustizia per il popolo ebraico coincida con quella per il popolo palestinese. Fra le molte perle della campagna contro Thunberg e FFF, va segnalata quella di un alto esponente dell’esercito israeliano: d’ora in avanti chiunque si identifichi con Thunberg può essere equiparato a un complice del terrorismo. E dell’attivista svedese non si potrà più parlare nelle scuole israeliane, perché la sua figura è diseducativa.

Temendo di essere associate all’antisemitismo, la divisione svedese e quella tedesca di FFF si smarcano dal post incriminato, affermando che il loro è un movimento plurale, in cui coesistono opinioni diverse. L’establishment atlantista ha così buon gioco a praticare il divide et impera, schernendo l’intero movimento per il clima, che avrebbe seri problemi di organizzazione e democraticità al suo interno, e al contempo esortando (succede in Germania) la corrispondente divisione nazionale di FFF ad abbandonare il movimento di Thunberg. La tempesta non investe solo questa organizzazione: diciannove militanti di Extinction Rebellion sono stati arrestati all’Aia per aver manifestato contro i crimini di guerra di Netanyahu e l’apartheid imposto al popolo palestinese.

Potremmo liquidare la vicenda come l’ennesima dimostrazione del manicheismo del dibattito pubblico, dove il ricatto morale ha sostituito il confronto razionale: o sei con noi o sei contro di noi, e in questo caso non hai diritto di esprimerti perché sei filoputiniano / filoterrorista / antisemita, a seconda della voce che si vuole ridurre al silenzio. Qui però c’è qualcosa di più grave. Non è solo la posizione sul conflitto in Medioriente che viene rigettata, ma la titolarità delle e dei giovani che si battono contro i cambiamenti climatici a prendere parola su altre questioni. Questa è la lezione odiosa che esponenti politici e media di destra e di centrosinistra, europei e israeliani, vogliono trasmettere: baloccatevi pure con il clima, anzi, così possiamo dare una verniciata di “green” a un sistema che rimane saldamente ancorato ai combustibili fossili; ma guardatevi bene dal discutere questioni, come l’economia e le crisi internazionali, che richiedono la presenza di “adulti nella stanza”. I ragazzini non sono ammessi.

Il movimento studentesco del Sessantotto fu accolto con un atteggiamento paternalista finché rimase dentro le aule universitarie a contestare l’autoritarismo dei baroni; quando cominciò a scontrarsi con polizia e fascisti e a mettere la testa fuori dall’accademia, ogni benevolenza svanì. E quando poi si alleò con gli operai – nell’Autunno caldo – la risposta fu la repressione (anche con le bombe).

Il post dello scandalo è stato tolto, dopo l’aggressione mediatica e politica, ma rimangono post di singole divisioni di FFF a esprimere inequivocabilmente una posizione molto dura su Israele; ad esempio, quello dei MAPA, acronimo dei popoli delle aree più colpite dai cambiamenti climatici, che testimonia quanto sia diversa l’interpretazione del conflitto in corso da parte del sud del mondo. E quella di FFF Italia, che scrive sul suo sito: «Gaza è una prigione a cielo aperto senza possibilità di uscita, senza rifugi antibombe e in cui nessun edificio, scuola, ospedale o presidio umanitario è al sicuro. L’attacco terroristico di Hamas è diventato il pretesto per accelerare la pulizia etnica che Israele porta avanti da 75 anni nei territori palestinesi» (26 ottobre).

L’augurio è che proprio questa campagna infamante – e intimidatoria – segni l’ingresso definitivo del movimento per il clima nella sua fase adulta, ossia caratterizzata non dal cinismo, che non è segno di maturità bensì di fallimento morale e politico, ma dalla consapevolezza del nesso inestricabile fra un sistema economico votato allo sfruttamento illimitato del pianeta e ordinamenti politici in cui la democrazia, ridotta a guscio vuoto, viene sostituita dalla militarizzazione integrale della società. Insomma, quella battaglia per la giustizia climatica che non piace alle classi dirigenti; non a caso nelle polemiche di questi giorni qualcuno lo ha detto chiaro e tondo: parlate pure di clima, ma lasciate perdere la giustizia, che è cosa da grandi. L’obiettivo non è farsi ammettere nella stanza dove siedono gli adulti: l’obiettivo è abbattere la stanza.

Gli autori

Monica Quirico

Monica Quirico, storica, è honorary research fellow presso l'Istituto di storia contemporanea della Södertörn University di Stoccolma. La sua ricerca verte sulla storia e la politica svedese, spesso in prospettiva comparata con l'Italia. Tra le sue pubblicazioni più recenti, Socialismo di frontiera. Autorganizzazione e anticapitalismo (Torino, Rosenberg & Sellier, 2018), scritto con Gianfranco Ragona.

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