Se la Costituzione ci vuole tutti più sportivi

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In attesa che i contorni del premierato proposto dal Governo si facciano più nitidi (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/06/29/il-premierato-ovvero-il-fascino-del-capo), altre e più puntuali revisioni costituzionali sono venute alla luce. Lo scorso anno è stata introdotta, negli art. 9 e 41, la tutela dell’ambiente. Ancora lo scorso anno è stata inserita, questa volta nell’art. 119, la tutela della insularità. Il 20 settembre 2023, la Camera dei deputati ha definitivamente approvato la revisione costituzionale che introduce nell’art. 33 la tutela e la promozione dell’attività sportiva. L’abitudine a revisionare la Costituzione sembra dunque consolidarsi. Non inganni l’oggetto abbastanza puntuale e apparentemente innocuo delle riforme. Mettere mano alla Costituzione è sempre un’attività delicata, anche quando il consenso attorno al progetto di revisione è – dentro e fuori il Parlamento – piuttosto ampio. Ecco allora che anche la consacrazione costituzionale di un principio a prima vista indiscutibile (come la tutela dell’attività sportiva) può nascondere qualche insidia. Concentriamo proprio su quest’ultima revisione.

Davvero singolare il destino toccato in sorte alla pratica sportiva. Soltanto tre anni fa, nel pieno dell’emergenza pandemica, l’attività sportiva era diventata, per un momento, l’espressione emblematica di un individualismo egoista e incapace di sopportare limiti posti nell’interesse collettivo. Impossibile dimenticare i grotteschi inseguimenti da parte delle forze di pubblica sicurezza dei runners che, nonostante il lockdown, non avevano saputo rinunciare alla loro corsetta sulla spiaggia. Oggi, quella stessa attività ha trovato esplicito riconoscimento addirittura nel testo costituzionale, collocandosi dunque tra i “beni” che meritano il massimo grado di tutela previsto dal nostro ordinamento giuridico. Certamente il contesto materiale entro cui una determinata attività si colloca orienta i contingenti giudizi di valore sulla medesima attività. Ma un po’ più di cautela nella qualificazione delle attività umane sembrerebbe auspicabile, soprattutto quando quel giudizio di valore rappresenta il presupposto di una reazione “istituzionalizzata” dell’ordinamento giuridico: sia questa una sanzione (perché l’attività è considerata un male), sia questa una qualsivoglia forma di tutela e promozione (perché l’attività è considerata un bene). Ora, se nel contesto pandemico vietare (anche) l’attività sportiva poteva avere un senso, collocare oggi la medesima attività tra quelle meritevoli di tutela costituzionale può averne decisamente meno.

Davvero quella recentemente votata dalla Camera era una revisione costituzionale necessaria? Davvero dinnanzi ai giganteschi problemi che bisognerebbe affrontare (la crisi climatica, l’accoglienza dei migranti, le disuguaglianze economiche e sociali sempre più profonde, le guerre…) sentivamo il bisogno impellente di arricchire la Costituzione con un riferimento all’attività sportiva? La sensazione è che, ancora una volta, le forze politiche abbiano preferito fuggire dalla realtà, adottando – dietro il paravento della forma costituzionale – un provvedimento che ha il sapore insipido del provvedimento-manifesto. Ahimè tutte le forze politiche: la revisione è stata infatti votata, in tutte e quattro le votazioni previste dal procedimento di revisione, pressoché all’unanimità. A ben vedere, si tratta di un provvedimento che invece di elevare le garanzie di un determinato oggetto (nel caso di specie l’attività sportiva) rischia di svilire l’intera Costituzione, aprendola a contenuti che forse sarebbe meglio lasciare, per interno, alla legislazione. Vediamo perché.

Pur riconoscendone gli indubbi benefici, si può nutrire qualche dubbio circa la “statura” costituzionale dell’attività sportiva. Nessun dubbio che alcuni aspetti legati, in qualche modo, all’attività sportiva siano meritevoli di tutela costituzionale. Così – ad esempio – che le associazioni sportive siano, soprattutto in taluni contesti, insostituibili luoghi di integrazione tra persone, abilità, culture e identità diverse è fuori discussione; ma questo ruolo, come peraltro sottolineato dalla nostra Corte costituzionale, è già protetto dal riferimento alle formazioni sociali, contenuto nell’art. 2 Costituzione. Che nell’ambito sportivo ci siano lavoratori precari e malpagati è noto; ma questi soggetti sono già protetti (meglio: al pari di ogni altro lavoratore dovrebbero essere protetti) dalle numerose norme costituzionali che tutelano i lavoratori. Che l’attività fisica (peraltro non necessariamente sportiva) sia utile al complessivo benessere psicofisico della persona è altrettanto noto; ma proprio il benessere psicofisico – anche in armonia con la giurisprudenza costituzionale – rappresenta la declinazione più completa del diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 Costituzione. Sfrondata di queste particolari declinazioni già protette dalla Costituzione, cosa rimane dell’espressione attività sportiva?

Provando a fare i giuristi e utilizzando l’argomento a contrario, si potrebbe dire che, avendo utilizzato quella specifica espressione, il legislatore di revisione costituzionale abbia consapevolmente voluto escluderne altre apparentemente equivalenti, come – ad esempio – attività fisica oppure attività motoria. Insomma, ciò che la revisione costituzionale ha inteso proteggere non è la generica attività fisica e la connessa prospettiva di (maggior) benessere, bensì l’«attività sportiva» e il «benessere psicofisico» a questa collegato. È lo sport il beneficiario unico e incontrastato della nuova tutela costituzionale. Ora, nel nostro ordinamento la pratica sportiva, agonistica e non, è riservata a chi è in possesso di un certificato di idoneità. Per tutti o quasi c’è l’attività fisica e/o motoria; soltanto per gli idonei e, dunque, per i “fisicamente (più) dotati” c’è l’attività sportiva. Ma la nostra Costituzione – per sua naturale inclinazione – si occupa innanzitutto dei più deboli, non certo dei più forti. In questa prospettiva, la pratica sportiva rappresenta forse un oggetto qualificato, meritevole di una specifica tutela costituzionale? Non credo. Si tratta piuttosto di attività prevalentemente ludico-ricreativa, la cui tutela doveva rimanere nella disponibilità del legislatore (libero di scegliere se, come e quanto intervenire). Nonostante la forma costituzionale del precetto, il contenuto del medesimo rimane infatti tipicamente legislativo. Delle due l’una: o si interpreta l’attività sportiva in modo conforme alla Costituzione, ma allora la revisione è inutile (poiché protegge situazioni già protette dalle vigenti norme costituzionali), oppure le si attribuisce un significato innovativo, ma allora la revisione è inopportuna (poiché protegge situazioni che, forse, non paiono meritevoli di specifica tutela costituzionale). Tertium non datur. Senza peraltro trascurare il rischio che, un domani, altre attività ludico-ricreative “affini” (per dire: l’andar per funghi, il birdwatching, la corsa nei sacchi…), sfruttando la breccia aperta dall’attività sportiva, vogliano rivendicare la propria dignità costituzionale. E non è affatto detto che simili pretese non troveranno qualche futuro revisore costituzionale disposto a tramutare una (pur nobile) forma di svago in un vero e proprio diritto fondamentale.

Se già la scelta di costituzionalizzare lo sport pare discutibile, ancor più discutibile è la scelta relativa all’articolo costituzionale chiamato a garantirlo. Dalle relazioni che accompagnano la proposta di legge di revisione emerge che le opzioni ipotizzate sono state sostanzialmente tre e hanno riguardato: l’art. 9 che oggi – dopo la revisione del 2022 – tutela un sacco di cose: la cultura, la ricerca scientifica e tecnica, il paesaggio e il patrimonio artistico, l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi e… gli animali; l’art. 32 che tutela il diritto alla salute e, infine, l’art. 33 che tutelava – prima dell’odierna revisione – l’arte, la scienza e anche l’istruzione. Già durante i lavori del Senato le prime due ipotesi sono state scartate. A sconsigliare l’intervento sull’art. 9 è stata per un verso l’appartenenza del medesimo articolo ai principi fondamentali (e cioè a quel nucleo duro della Costituzione che, per consolidata giurisprudenza costituzionale, non dovrebbe essere oggetto di revisione costituzionale); per altro verso, proprio la revisione costituzionale del 2022 e il rischio di «problematici intrecci» tra riforme ravvicinate (come se aggiungere l’attività sportiva in un testo che spazia dalla ricerca scientifica agli animali, passando per gli ecosistemi, rappresentasse un vulnus alla linearità del precetto). Due giustificazioni – verrebbe da dire – non facilmente conciliabili. Ma tant’è. A sconsigliare l’intervento sull’art. 32 è stata invece l’omogeneità del precetto e la conseguente inopportunità di ampliarne eccessivamente il contenuto. Così facendo si sarebbe dato eccessivo risalto al legame tra attività sportiva e diritto alla salute, trascurando le altre possibili declinazioni della medesima attività (il suo valore anche educativo e sociale).

Come detto, la scelta è dunque ricaduta – per assenza di validi concorrenti – sull’art. 33. Scelta simbolicamente assai discutibile poiché immediatamente evocativa di un nostro, non certo edificante, passato nel quale proprio il culto del corpo e dell’attività sportiva (intesa come disciplina che concorre a educare la persona) sono stati utilizzati come potentissimi strumenti di propaganda politica. I tempi sono cambiati – si è detto – e oggi quel rischio non c’è più. Tutto al contrario, lo sport è diventato simbolo di integrazione e lealtà: basterebbe guardare le competizioni sportive nelle quali atleti di tutto il modo, di tutte le estrazioni sociali e di tutte le culture competono tra di loro senza badare alle differenze e spesso nell’interesse della stessa nazione. Ecco il punto delicato. Lo sport può essere un formidabile strumento di integrazione, ma può anche essere – ancora, se non soprattutto, oggi – un pericoloso veicolo di pulsioni nazionaliste e atteggiamenti discriminatori. Senza generalizzare e rimanendo ai fatti di cronaca, è sufficiente guardare cosa purtroppo spesso accade nei nostri stadi. Valorizzare in Costituzione la dimensione educativa dello sport rappresenta un atto di fede che forse non possiamo ancora permetterci. Sarebbe stato sicuramente più prudente fermarsi alla dimensione psicofisica dell’attività sportiva. D’altra parte delle nove Costituzioni dei paesi europei che spesso vengono citate poiché contenenti un riferimento esplicito all’attività sportiva, quasi tutte – seppur con tecniche redazionali differenti – collegano saldamente questo tipo di attività al diritto alla salute (di tutti o dei giovani e bambini). Solamente la nostra Costituzione e quella croata hanno scelto diversamente, inserendo la tutela dell’attività sportiva negli articoli dedicati all’arte, alla scienza, all’istruzione e alla cultura.

Le preoccupazioni rappresentate sono forse eccessive e l’accusa di benaltrismo è, senza dubbio, dietro l’angolo. Magari ciò che anima davvero la riforma è un lucido e pragmatico realismo. Perché mai continuare a rompersi la testa su come affrontare i giganteschi problemi che affliggono il mondo di oggi, gettando ombre sinistre su quello di domani? La soluzione è un’altra. Diamo ai nostri figli e nipoti un «fisico bestiale» per resistere in un ambiente sempre più ostile. Meglio dunque saper nuotare, resistere alla fame e alla sete (al freddo non credo sia più necessario) e, in ogni caso, non essere troppo gracili… Non si sa mai.

In homepage fregio di vaso greco (500 a. C.)

Gli autori

Matteo Losana

Matteo Losana è professore associato di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino. È autore di saggi e monografie in tema di fonti del diritto e diritti costituzionalmente garantiti.

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